La Roma che non c’è più: il quartiere Alessandrino
Quante volte ci siamo ritrovati a camminare lungo Via dei Fori Imperiali, durante un’inebriante “passeggiata archeologica” capitolina, ritenendo che l’incredibile e romantica magnificenza del complesso dei fori sia da tempo immemore il visibile cuore pulsante della romanità?
Ebbene, non è cosi. L’area infatti, insieme alla Crypta Balbi nei pressi di Largo Argentina, rappresenta uno dei rari casi in cui è stato possibile riportare alla luce la moltitudine di strati archeologici a testimonianza delle molte fasi insediative che vi ebbero luogo dall’XI sec a.c. ai giorni nostri, contribuendo allo sviluppo di una scienza di recente formazione : l’archeologia urbana.
La zona dei fori imperiali, che in età repubblicana era probabilmente sfruttata ad uso commerciale, inizia ad essere adibita allo scopo forense dal 54 a.c. quando Caio Giulio Cesare chiese ad alcuni collaboratori, tra cui Marco Tullio Cicerone famoso oratore tardo-repubblicano, di studiare le possibilità di costruzione del nuovo complesso. Tutto ciò giustificato come estensione del ben più antico Foro Romano, ormai non più adeguato dal punto di vista funzionale e monumentale. Da questo momento molti imperatori appronteranno la costruzione del loro foro personale : Augusto, Vespasiano ( con il tempio della pace), Domiziano( il cui foro per damnatio memoriae fu dedicato a Nerva) e Traiano. L’insieme dei complessi occupava quasi completamente l’avvallamento tra il Campidoglio ed il Quirinale, complice l’abbattimento della sella collinare che anticamente univa i due colli da parte di Traiano, di cui l’omonima colonna ricorderebbe l’altezza.
Nel corso dei secoli ( IV-XVI sec d.c.), con la decadenza ed il conseguente crollo dell’impero romano prima e con il passaggio al medioevo e all’età moderna poi, i fori imperiali iniziarono ad essere usati come cave di marmo e con il progressivo innalzamento del livello del terreno vi si insediarono nuclei abitativi, aristocratici e non, monasteri e chiese. Questo processo di sovrapposizione raggiunse il culmine, nella seconda metà del 500’, con l’azione del priore dei Cavalieri di malta, al tempo possidenti di gran parte della zona, il quale intraprese un grande progetto di urbanizzazione per la zona dei complessi imperiali. Costui era il “Cardinal nepote” di papa Pio V, Michele Bonelli detto “L’alessandrino”, data la sua provenienza da Alessandria in Piemonte e proprio da questo deriverà il nome popolare del nuovo quartiere.
I lavori di predisposizione iniziarono a partire dagli anni 80’ del XVI sec. , favoriti da un periodo di forte espansione demografica e dall’assetto delle proprietà che erano concentrate prevalentemente nelle mani di pochi grandi proprietari, i quali vedevano cosi una grande possibilità di arricchimento. Furono approntati lavori di bonifica di zone soggette a impaludamento, uniformato il livello del caplpestio e riattivata la Cloaca Maxima, il grande condotto sotterraneo dell’antica Roma che nel tratto in cui attraversava il foro di Nerva venne sotituito con con un nuovo collettore che ripercorreva a quota più alta il tratto originale, il cosiddetto “ Chiavicone della Subura”( la Subura era un popoloso e modesto quartiere alle pendici del Quirinale e del Viminale che confinava con la zona dei Fori).
I lavori di urbanizzazione vera e propria iniziarono dal 1584, soprattutto grazie alla potente famiglia dei Della Valle, che già nel 1590 aveva completato la bellezza di trentacinque case. Il quartire continuò a crescere nel corso del XVII sec. fino ad arrivare alla massima estensione riscontrabile nella pianta di Roma del Nolli (1748), nei pressi della Velia, collina attaccata al Palatino ora scomparsa.
Per quantificare ed esemplificare il livello di sovrapposizione insediativa del quartiere Alessandrino sull’area dei Fori Imperiali basti considerare i mutamenti contemporanei tramite il confronto tra foto o stampe odierne e d’epoca. Per esempio nel caso delle cosiddette “Colonnacce” del Foro di Nerva, che ai tempi del Quartiere erano sepolte per più della loro metà ed erano una pittoresca componente del complesso abitativo; o come la parete di delimitazione del Foro di Augusto, alla quale era addossato un monastero risalente al XII-XIII sec. e che era quasi raggiunta in altezza dalle abitazioni alessandrine.
Rapportata ai tempi della “Città eterna”, la vita del quartiere Alessandrino fu assai breve, appena tre secoli. Infatti, sin dall’annessione di Roma al Regno d’Italia ( 1870) uno dei primi lavori di cui si auspicava l’avvio era il prolungamento di Via del Corso fino a Via Cavour e al Colosseo. L’apertura di Via Cavour, che si arrestava nei pressi dei fori imperiali, rendeva necessario transitare nelle intricate vie del quartiere Alessandrino creando evidenti problemi di viabilità. A queste complicazioni si aggiunse un grande interesse archeologico di matrice purista (tipico di inizio 900’ , privileggiava i resti di roma antica rispetto ad altre fasi storiche) che sfociò negli scavi guidati da Corrado Ricci iniziati nel 1911 e continuati nel 1924 a causa della grande guerra, che riportarono alla luce i resti del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto.
Il piano regolatore Fascista del 1931, che riprendeva il progetto di unione di via Cavour a Piazza Venezia, si propose anche di continuare sul tratto che avrebbe condotto al Colosseo aggirando però la Velia da est. In realtà quando iniziarono le demolizioni, nell’agosto dello stesso anno, non si aveva chiaro nè il tracciato né cosa fare degli spazi lasciati liberi. Alla fine nel 1932 si cambiò il piano regolatore optando per una strada rettilinea tra Piazza venezia e il Colosseo sbancando completamente la collina della Velia.
La “Via dell’Impero” della “Terza Roma” venne inaugurata il 28 ottobre 1932 per il decennale della marcia su Roma e testimonia un tratto importante della politica urbanistica fascista, la quale prevedeva grandi vie trionfali che dovevano condurre ai fulcri monumentali della capitale, i quali dovevano essere rigorosamente isolati dalla fitta rete urbana per emergere prepotentemente, come si deduce chiaramente da una parte del discorso tenuto da Mussolini nel 1925 al governatore di Roma :” Fra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti del mondo: vasta ordinata e potente come fu ai tempi del primo impero di Augusto. Voi continuerete a liberare il tronco della grande quercia da tutto ciò che ancora l’aduggia. Farete largo intorno all’Augusteo, al Teatro di Marcello, al Campidoglio, al Pantheon. Tutto ciò che vi crebbe intorno nei secoli della decadenza deve scomparire. […] Voi libererete anche dalle costruzioni parassitarie e profane i templi maestosi della Roma Cristiana. I monumenti millenari della nostra storia devono giganteggiare nella necessaria solitudine”. Esempio lampante di “tempio maestoso della Roma cristiana” liberato è quello di San Pietro, attraverso la costruzione di Via della Conciliazione, preceduta da altre demolizioni.
La fretta e i modi in cui vennero approntati i lavori impedi di ottenere una significativa conoscenza a livello topografico del complesso dei Fori imperiali, la cui maggior parte rimase chiusa sotto la strada e i giardini laterali, i quali secondo i piani avrebbero dovuto ospitare i palazzi del governatorato ma le ristrettezze di bilancio ne impedirono la costruzione. L’assetto rimase quindi quello definitivo e dopo la guerra il nome cambiò in Via dei Fori Imperiali. Dal 1989 iniziarono gli scavi che riportarono alla luce tutta una parte del complesso imperiale sepolta sotto le aiulole mussoliniane.
L’area divenne quindi, a partire dagli anni 70’, di grande interesse archeologico e si susseguirono diverse campagne di scavi dall’89’ fino al 2007 che riportarono alla luce diverse componenti archeologiche , anche se purtroppo molto poche rispetto a quello che si trova al di sotto della grande arteria che collega piazza Venezia al Colosseo.
Durante una “passeggiata archeologica” a Via dei Fori Imperiali è quindi antropologicamente interessante constatare le innumerevoli fasi in cui si alternano la magnificienza, la decadenza, la sua lenta copertura ad opera del tempo e dell’uomo per una nuova rinascita ed una nuova decadenza, fino a giungere all’assetto odierno, incentrato sull’esaltazione e l’ammirazione dell’intero passato in quanto necessario all’essenza del presente. Tutto ciò è ravvisabile nel modo in cui al giorno d’oggi è gestita l’area : sparse nella sua interezza sono presenti tutte le fasi insediative dall’inizio fino ai giorni nostri, caratteristica che ne fa, oltre che un museo di archeologia urbana a cielo aperto, un testamento su come l’uomo ha inteso i concetti di insediamento ed urbanizzazione, che sono figli del modello di società che vige in un determinato momento storico.
(di Andrea Checchi)