Federico Aldovrandi. Quello che resta dieci anni dopo

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federico-640x380«Che dire di così tanta partecipazione e affetto. Sospiro commosso e penso a Federico se potesse parlare per ringraziarvi di tanto amore. Questa notte non ho dormito. 10 anni fa alle 6 e 4 minuti Federico se ne andava. Fu subito il buio più profondo. Ora voi siete tante piccole luci di una grande luce… che quel buio avete contribuito a sconfiggere giorno dopo giorno, per quel calore umano che mancò maledettamente agli albori di quell’alba assurda. La vostra luce e il vostro calore rimanga per sempre una carezza al cielo, mentre qui sulla terra, un qualcosa di grande da donare ai nostri figli vivi. Senza mai stancarci di lottare contro le ingiustizie. Lino».

Con queste parole condivise attraverso Facebook, Lino Aldovrandi, padre di Federico, ha ricordato il decennale della morte di suo figlio, avvenuta all’alba del 25 settembre 2005 a causa delle percosse di quattro agenti di polizia: Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri.

È difficile raccontare la vicenda di Federico Aldovrandi senza scadere nella retorica, senza ricordare l’indignazione popolare, la rabbia, la frustrazione e il dolore di una famiglia dilaniata da una tragedia alla quale si è aggiunto il vergognoso trattamento ricevuto, del processo Aldovrandi bis che ha affrontato i depistaggi messi in atto durante le indagini. Senza parlare del massiccio movimento dal basso, che ha contribuito a mantenere accesi i riflettori su questa faccenda, dai contorni simili a molte altre, che non hanno avuto e forse non avranno mai soddisfazione. Senza sottolineare il coraggio e la fermezza di una madre e di un padre che non si sono arresi, che hanno ingoiato le lacrime e non hanno abbassato la testa, nemmeno quando una folla di agenti, al Congresso nazionale del Sap, applaude per 5 lunghissimi minuti i carnefici di Federico.

Solo due anni prima, nel giugno del 2012, la Corte di Cassazione aveva reso definitiva la condanna a 3 anni e 6 mesi per Forlani, Segatto, Pontani e Pollastri, con l’accusa di “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”. Ma i quattro responsabili della morte di Aldovrandi beneficiano dell’indulto e il tempo da scontare in carcere per aver causato la morte violenta di un diciottenne, si riduce a 6 mesi. Monica Segatto, viene però scarcerata dopo un solo mese di detenzione e ammessa al regime degli arresti domiciliari, sulla base del decreto Severino (il cosiddetto “svuota-carceri”), tentano la stessa via anche Forlani e Pollastri, ma per loro il magistrato di sorveglianza respinge la richiesta.

A raccontare Federico, che oggi avrebbe 18 anni, ci sono i suoi amici, quelli che dopo quella notte di fine settembre sono stati accusati ingiustamente di averlo abbandonato solo per strada, scaricato da una macchina in corsa, sono stati chiamati “drogati” e “sciacalli”, sono stati interrogati e torchiati come pericolosi criminali, rei di aver passato insieme ad “Aldo” la sua ultima serata di festa e baldoria, al Link di Bologna, di averlo accompagnato vicino casa, all’altezza di quel parchetto dove si faceva lasciare sempre, di averlo visto l’ultima volta all’alba di quel 25 settembre di dieci anni fa.

Andrea Boldrini, Matteo Parmeggiani e Paolo Burini oggi hanno 28 anni. Burini racconta di come vennero a sapere della morte di Federico, mentre erano interrogati da un agente della narcotici: «Il tuo amico è morto perché era un drogato. Anche tu sei un drogato. Siete tutti dei drogati. Dicci da chi avete preso la droga». I primi giorni dopo la morte di Aldovrandi sono stati durissimi per i ragazzi, trattati come tossici pericolosi, assassini e vigliacchi colpevoli di aver massacrato Federico ed averlo lasciato per strada, agonizzante.

A distanza di dieci anni, quei liceali del 2005 sono uomini ormai: «Siamo diventati adulti tutto d’un colpo – racconta Boldini – far parte di una storia come questa ti lascia il segno e ti fa aprire gli occhi su come vanno le cose al mondo. Non dico che sia come fare la guerra, ma all’improvviso guardi tutto attorno a te in modo diverso, disincantato». Burini continua: «Da allora c’è chi ha smesso gli studi, chi ha voluto andare all’estero» e Parmeggiani aggiunge: «Chi ha voluto rimanere per testimoniare a tutti che la battaglia per ottenere giustizia e verità sulla morte di Federico appartiene a tutti».

(di Azzurra Petrungaro)

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