Conclusi accordi TPP: nuova fase della globalizzazione
Il 5 ottobre scorso ad Atlanta (Georgia, Stati Uniti) dopo negoziati lunghi, difficili e “segreti” iniziati nel 2002, Stati Uniti e altri undici Paesi dell’area dell’oceano Pacifico hanno concluso la Trans-Pacific Partnership (TPP), l’accordo di libero scambio del Pacifico che interesserà il 40% dell’economia globale e un terzo degli scambi mondiali.
Si tratta di un accordo internazionale volto a promuovere gli scambi commerciali in settori merceologici diversi, integrando e promuovendo la crescita e lo sviluppo dei Paesi che si affacciano sui due lati del Pacifico. La TPP si è distinta per la totale mancanza di trasparenza durante i negoziati condotti a porte chiuse, senza informazioni e comunicazioni ufficiali da parte delle delegazioni degli Stati partecipanti. Lo stesso annuncio della conclusione dell’accordo è stato diffuso pochissimo dai media internazionali.
La TPP nasce su iniziativa di Cile, Nuova Zelanda e Singapore nel 2002 ed è arrivata a includere altre nazioni: Australia, Giappone, Brunei, Malesia, Vietnam, Stati Uniti, Canada, Messico e Perù.
Cavallo di battaglia ma anche spina nel fianco dell’amministrazione Obama, alla fine il presidente statunitense porta a casa un’importante risultato negoziale. Per facilitare il suo operato, lo scorso giugno il Senato statunitense aveva approvato (dopo la Camera) il fast track, il provvedimento che dà al presidente degli Stati Uniti più poteri nell’approvazione di accordi commerciali con altri Stati, bypassando l’iter in seno al Congresso. Proprio grazie a questa legge, Obama ha velocizzato l’approvazione della TPP.
Il round finale della TPP si è concluso dopo le ultime resistenze di alcuni Paesi su brevetti farmaceutici, automobili, latticini e proprietà intellettuale. L’accordo è istitutivo di un’area di libero commercio dalle dimensioni enormi, maggiore di quella nata con la NAFTA (l’Accordo nordamericano per il libero scambio stipulato tra Stati Uniti, Canada e Messico ed entrato in vigore nel 1994).
Con la TPP si ottengono due risultati importanti. In primo luogo, l’accordo crea i presupposti per un’area di libero scambio in grado di contenere l’influenza economica della Cina (esclusa dall’accordo) nella regione. In secondo luogo, l’intesa allarga esponenzialmente il mercato agroalimentare (soprattutto quello giapponese e canadese) e rende più stringenti le norme sui brevetti, a tutto vantaggio soprattutto dei colossi farmaceutici.
Se Obama canta vittoria, molti altri hanno accolto con viva preoccupazione l’annuncio della conclusione dell’accordo per via delle conseguenze negative in termini di occupazione, dei dubbi circa l’aumento del PIL e della minaccia per il diritto alla salute (per la questione brevetti, che vedremo avanti). Ora l’accordo dovrà ottenere il via libera dal Congresso statunitense (che dopo le elezioni di midterm del 2014 è in mano ai Repubblicani, che controllano sia il Senato sia la Camera, e così possono bloccare le leggi e le nomine presidenziali).
Come si è detto, sul Partenariato transpacifico le opinioni sono discordanti. Chi lo appoggia e ne tesse le lodi, lo fa sottolineando il ruolo che questo tipo di accordi ha nel generare l’aumento del PIL e quindi della crescita e della ricchezza nonché nel favorire l’allineamento degli standard qualitativi delle merci interessate. Questo trattato (come la TTIP di cui parleremo più avanti) elimina e riduce le barriere tariffarie e regolamentari al libero commercio e alla libertà degli investimenti. Ma questo non sempre è un aspetto positivo e vantaggioso. Infatti, anche Hillary Clinton, principale candidata dei Democratici alle presidenziali USA del 2016, ha fatto un passo indietro sulla TPP se si considera che ai tempi in cui era capo della diplomazia statunitense lo definì un accordo “proficuo e importante”. In questi giorni la Clinton ha detto: “A oggi, per quanto ne so, non sono favorevole all’accordo. Non credo sia all’altezza dei principi che mi sono data”. Il timore è che l’accordo favorisca eccessivamente le compagnie farmaceutiche a danno dei consumatori. L’economista Paul Krugman, neo-keynesiano e Nobel nel 2008, è scettico. In particolare, Krugman contesta l’eccessiva importanza che viene data alla politica commerciale e la continua necessità di imputare al protezionismo le responsabilità della recessione mondiale. Non sempre la liberalizzazione degli scambi rappresenta la chiave per la ripresa e i costi del protezionismo sono, ad oggi, ridotti. Così Krugman: “A mio parere, è implausibile che il TTP possa aggiungere più di uno zero virgola qualcosa al reddito delle nazioni coinvolte”. Secondo Krugman, il reale interesse dell’accordo non sono gli aspetti commerciali ma le questioni legate alla proprietà intellettuale (cioè monopolio, che è una distorsione del mercato perché riduce la concorrenza e mantiene alti i prezzi dei farmaci) tanto cara agli Stati Uniti e alle sue lobby più potenti (l’industria del cinema e quella farmaceutica).
Con la TPP Washington ha infatti negoziato tutele più ampie per copyright e brevetti. A tal proposito, secondo Medici Senza Frontiere, l’accordo è la peggiore intesa commerciale per quanto riguarda l’accesso ai medicinali nei Paesi in via di Sviluppo, in quanto ne aumenterà i costi. Secondo MSF, le conseguenze non riguarderanno solo i Paesi firmatari dell’accordo: l’effetto sarà globale. La volontà di concedere alle aziende farmaceutiche maggiori tutele e facilitazioni attraverso il rafforzamento della protezione brevettuale e di uniformare e armonizzare la regolamentazione a livello internazionale è in antitesi con la necessità di garantire l’accesso ai farmaci dei Paesi poveri o con scarse risorse. È in pericolo il diritto alla salute e MSF non è l’unica voce contraria. Anche il Vaticano, i membri del Partito democratico USA (lo stesso del presidente), vari sindacati, diverse Organizzazioni Non Governative e l’International AIDS Society (IAS) hanno protestato chiedendo, in una lettera aperta, soluzioni più eque e sostenibili.
Nel frattempo Wikileaks (l’organizzazione internazionale di Julian Assange che riceve in modo anonimo documenti coperti da segreto e poi li rende pubblici) ha pubblicato il 9 ottobre il capitolo del TPP relativo alla proprietà intellettuale. In particolare, si legge che i Paesi membri della TPP potranno “adottare le misure necessarie a proteggere la salute pubblica e l’accesso al cibo, promuovere il pubblico interesse in settori di vitale importanza per il loro sviluppo socio-economico e tecnologico” ma potranno agire solo nell’ambito del rispetto delle regole della TPP.
Non solo farmaci ma anche libertà della Rete, diritti digitali e libertà d’espressione sono in pericolo a causa della TPP, sia per il rafforzamento del copyright (la TPP allunga la durata del diritto di autore oltre i termini attualmente previsti da molti Stati), sia per il coinvolgimento degli Internet Provider nella lotta alla diffusione di contenuti “pirata”. Assange ha dichiarato “Se tu leggi, scrivi, pubblichi, pensi, ascolti, balli, canti o inventi, se tu coltivi la terra o consumi cibo, se oggi sei malato o se un giorno lo sarai, il TPP ha te nel mirino”.
Ora l’attenzione si sposta su un altro accordo in corso di negoziato. Come previsto, i negoziati della TPP si sono conclusi prima di quelli del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), l’accordo commerciale di libero scambio tra UE e Stati Uniti. Ma è in dubbio che la TPP dia un’incredibile spinta propulsiva alla conclusione della TTIP. Quest’ultima, i cui negoziati sono iniziati nel 2013, vede coinvolte le due sponde dell’Atlantico: l’Unione europea e gli Stati Uniti. L’Europa sembra essere nuovamente al palo di fronte all’accelerazione negoziale per la conclusione di accordi sul commercio mondiale e regionale, presa da altri problemi in agenda (Grecia, emergenza migranti e recessione). Il Pacifico sta diventando il nuovo baricentro del commercio internazionale e l’Europa rischia di scontare il trade diversion ossia la riduzione del commercio per i Paesi extra area, non interessati dal processo di integrazione commerciale mondiale. Così l’economista Giorgio Bava Navaretti “La frammentazione geografica dei processi produttivi,che sempre più caratterizza i flussi del commercio internazionale, avviene in aree geografiche con bassi costi commerciali, ossia all’interno di un’area di libero scambio piuttosto che tra aree diverse. Ne consegue che l’attrattività dell’Europa come base produttiva di gruppi multinazionali con operazioni in Asia e in America si riduce”.
Tuttavia, Bruxelles non è totalmente immobile. Lo scorso settembre, la Commissione europea ha presentato una proposta formale relativa a un nuovo sistema giudiziario per la protezione degli investimenti tra investitori e Stati che dovrebbe sostituire il meccanismo di risoluzione delle controversie investitore-Stato (ISDS), meccanismo applicato in tutti i negoziati in materia di investimenti dell’UE, compresi quelli con gli Stati Uniti. Prossime tappe: discussioni tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo e presentazione della proposta dell’UE agli Stati Uniti nell’ambito dei negoziati commerciali tra Bruxelles e Washington.
(di Alessandra Esposito)