Lo spezzatino inglese riportato in Serie A, e l’obbligo di rimanere sul divano
Eravamo alla metà degli anni 2000, quando i capoccioni che gestiscono il calcio capirono che il divario che c’era tra i club italiani, che ad eccezione del Milan arrancavano in Europa, rispecchiava la difficoltà che stava vivendo il campionato in termini di appeal. Come per ogni tipo di azienda il mercato genera ricchezza ed una lega in particolare era stata lungimirante e nonostante non fosse famosa per la qualità di gioco praticato, con squadre fotocopia ed un invariabile 442, era diventata il centro del mondo calcistico. Si parla ovviamente della Premier League, la loro riforma è iniziata nel lontano 1992, quando la massima serie inglese prese questa denominazione. Gli inglesi presero il motto americano “show must go on” ed eliminarono le pause invernali, facendo scendere in campo i loro atleti anche durante Santo Stefano, Natale o Capodanno. Tutto ciò dà grande visibilità al campionato, che non ha nessun competitor calcistico in quei giorni e sportivamente parlando si divide le attenzioni con le partite della NBA, che utilizza da sempre questa tecnica, ma che per motivi logistici vengono disputate in orari diversi.
Inoltre gli inglesi, grazie anche agli stadi di proprietà ottengono molti soldi legati al merchandising, ma soprattutto per primi hanno pensato che essendoci più fan in giro per il mondo, piuttosto che in patria, la Premier League sarebbe dovuta essere esportata e prima che ci fosse il boom di ricchezza nel sud est asiatico, erano già riusciti a diventare il primo campionato seguito in quella parte del mondo, tanto che si narra che addirittura i monaci tibetani seguano le partite del Manchester United. Fatta questa doverosa introduzione, torniamo ad una decina di anni fa, con i vertici del calcio nostrano alle prese con una perdita di competitività (con la Bundesliga che spingeva alle spalle nel ranking europeo per soffiare una posizione Champions alla Serie A, riuscendoci poi nel 2012) e la voglia di inseguire ricavi per tornare al vertice del calcio mondiale. L’Italia decise così di prendere il sistema inglese e trasportarlo nel bel paese, la riforma fu sostanzialmente questa: Serie A che passava da 18 a 20 squadre (come in Inghilterra), retrocessioni che da 4 diventavano 3 (come in Inghilterra), Serie B che da 20 squadre saliva a 24 (come in Inghilterra, complice anche l’affair Catania, per poi stabilizzare la serie cadetta a 22 squadre) ed istituzione dei playoff promozione per accedere alla Serie A (anche questo esattamente come accade in Inghilterra).
Tutto ciò avvenne tra la stagione 2003-2004 e 2004-2005. Presupponendo che due partite di campionato in più giocate in casa abbiano portato benefici economici alle squadre di Serie A in termini di botteghino e che una retrocessione in meno abbia aiutato anche le “piccole” piazze ad accettare di buon occhio la riforma. Non venivano risolti i problemi logistici, come far vedere un campionato molto simile alla Premier League per esempio in Asia o negli Stati Uniti? Così le TV, i maggiori azionisti del calcio italiano spinsero per uno spacchettamento della giornata calcistica, venne istituito il Monday Night (indovinate quale Lega già lo attuava da anni?) e lo spezzatino fu completo con la partita delle 12:30. Come spesso capita però in Italia, fatta la regola trovato l’inganno, per evitare di colpire gravemente i tifosi delle piazze più importanti non sono praticamente mai stati messi incontri di grande rilevanza in quella fascia oraria, ne passati al lunedì. Viene allora da chiedersi, se proprio si dovesse fare questo cambio epocale, perché non è stato portato a compimento completo? Come non ricordare, ad esempio, il derby di Liverpool giocati alle 12:45, tutto ciò sarebbe possibile in Italia? Juventus-Inter all’ora di pranzo verrebbe mai programmata, o un match valido per lo Scudetto? Probabilmente no, perché le TV spingerebbero per dargli un orario in grado di prendere la massima fascia di pubblico, le 20:45 per esempio. Prima della riforma quindi, la FIGC avrebbe dovuto pensare ad accentrare più potere, come avviene in Premier League con la FA? Forse gli inglesi non hanno l’equivalente della nostra Lega Calcio o quanto meno essa non ha un potere che travalica i suoi limiti?
Ma soprattutto ci spiegate l’utilità di quello che è successo nello scorso week end, con addirittura 7 fasce orarie di partite? In Premier League non accade così, gli orari sono fissi, i tifosi di calcio inglese sanno che vedranno una partita alle 13:45 del sabato (orario italiano), molte partite alle 16:00 del sabato, una partita alle 18:30 del sabato, ed un paio di partite la domenica alle 14:30 ed alle 17:00, per finire la giornata lunedì alle 21:00. E’ uno spezzatino? Sicuramente. Piace? Probabilmente gli inglesi non lo vedono così problematico come in Italia, ma quanto meno hanno fasce orarie fisse. Lo scorso week end abbiamo assistito alla nascita dell’anticipo di sabato delle 15:00, a due partite sempre di sabato alle 18:00 ed alle 20:45, all’ormai classico anticipo di pranzo di domenica al turno delle 15:00 a due partite di cartello alle 18:00 (non un esordio, ma qualcosa di cui potevamo far a meno) ed a Chievo Verona Napoli alle 20:45.
Con questa varietà di orari non c’è sicurezza per chi a inizio anno voglia fare un abbonamento, ma soprattutto stiamo perdendo quella magia di seguire tutte le partite insieme, accendere la radio, vedere diretta goal o semplicemente sintonizzare la TV su Quelli che il calcio. Tutto ciò aveva reso magica la Serie A, non solo i campioni, anche, ma soprattutto le atmosfere. La Serie A ha provato ad imitare il campionato inglese, perdendo la sua essenza e correttivi vanno istituiti immediatamente, Tavecchio ha promesso una riforma che riporti il campionato a 18 squadre è un buon inizio, ma tanto ancora va fatto, altrimenti anche costruire gli stadi più belli del mondo non riavvicinerà l’italiano al calcio live, costringendolo a rimanere incollato sul divano, nella speranza che la Lega Calcio non gli cambi l’orario della partita alle 4 di mattina per permettere di vederla ad un’ora decente in Giappone.
di Flavio Sarrocco