Invidia e disoccupazione dietro l’omicidio di Bari. Intervista ai giovani sul Sud
Qualche fiore e una sciarpa del Bari posate sul cemento ancora fresco. E una folla di gente che si reca a far visita alla tomba di Giuseppe Sciannimanico, il ragazzo di 28 anni, promettente agente immobiliare, freddato lo scorso 26 ottobre in uno dei vicoli del quartiere Japigia di Bari. Un’esecuzione quasi perfetta, degna degli omicidi commissionati dai clan rivali baresi che da qualche mese sono tornati a scontrarsi in campo aperto a colpi d’arma da fuoco per spartirsi il controllo del territorio. L’aria che si respira nel capoluogo pugliese è tesa. Ma l’uccisione di Sciannimanico è più di un fatto di cronaca, tra l’altro uno dei più tristi delle pagine della storia pugliese degli ultimi tempi. E’ un episodio che ha scosso l’opinione pubblica, non solo barese. Il movente dell’omicidio, forse, è quello che più di tutti lascia l’amaro in bocca. Odio, invidia, timore di perdere il monopolio del mercato immobiliare proprio nel quartiere Japigia. Questi sarebbero stati i sentimenti che hanno lacerato e distrutto la vita di un uomo, Roberto Perilli, e fatto scattare in lui il desiderio di vendetta.
47 anni, ex titolare della filiale Tecnocasa della periferia e ora proprietario di una sua agenzia, Perilli si è servito di un esperto della mala barese, Luigi Di Gioia, 51 anni e vecchi precedenti penali per contrabbando, per architettare l’omicidio del giovane agente immobiliare, ucciso perché la passione per il suo lavoro lo aveva portato a fare carriera e presto sarebbe diventato anche lui un titolare. Una vita stroncata, un sogno che si sarebbe potuto avverare. Finalmente i sacrifici di una vita sarebbero stati premiati. Finalmente un ragazzo ce l’avrebbe fatta. E invece Giuseppe Sciannimanico è stato ucciso perché troppo bravo e avrebbe potuto costituire un problema. Quindi, meglio eliminarlo in partenza.
Da questa assurda quanto triste verità sono scaturite alcune riflessioni sul rapporto tra i giovani e il lavoro qui nel Sud Italia. Terra baciata dal candore del sole, ma che nasconde e riflette i ritardi, le contraddizioni, le deformazioni dell’intero Paese. Terra dalla quale, oggi, anche gli immigrati vogliono scappare. La tragica morte di questo ragazzo induce a interrogarci su quanto noi stessi e le istituzioni facciamo concretamente per il Bene Comune. Se è vero che esiste. Com’è possibile che un ragazzo di 28 anni che cerca di realizzarsi e di costruirsi un futuro con i pochi strumenti che ha a disposizione venga brutalmente ammazzato perché svolge il suo lavoro con dedizione? Dove e quando si è persa la bussola del buon senso e abbiamo lasciato prevalere la logica del “dove non posso arrivare io non deve arrivare l’altro”? E non nascondiamoci dietro la crisi che da anni non fa che mettere alla prova la resistenza economica ma anche morale e intellettuale di molte famiglie. Poiché il rancore e la disperazione, come nel caso dell’omicidio di Sciannimanico, sono anche figlie dell’arrendevolezza e della consapevolezza che tanto, con pochi anni di carcere, gli assassini se la potranno cavare. Una guerra tra poveri. Il desiderio smodato di affermare se stessi, di prevalere sull’altro, l’invidia accecano l’uomo, lo rendono schiavo e lo allontanano da qualsiasi libertà.
Lontani dal voler fare semplice retorica, ma convinti che il Sud contenga davvero quel potenziale cui tanti politici e imprenditori inneggiano, tanto da farne lo slogan delle proprie campagne elettorali, abbiamo chiesto ad alcuni giovani che abitano nelle province di Bari -tra loro qualcuno conosceva Giuseppe- quali sono i loro sogni, se credono sia possibile realizzarli nella loro città o se sono disposti a scendere a compromessi. E infine se avvertono tutela e supporto nella loro crescita umana e professionale da parte delle Istituzioni.
Manuel, 22 anni, laureando in lingue e letterature straniere.
“Il mio sogno è quello di diventare insegnante, ma non credo sia realizzabile. Vedo dei limiti e delle contraddizioni per esempio nella riforma del lavoro (Job Act) prevista dal governo. Inoltre lo stipendio minimo di un docente si aggira intorno ai 1.200 euro con i quali è impossibile vivere. Mi piacerebbe trasferirmi in una città del nord Italia, in particolare in Veneto. Lì vedo più apertura mentale, più civiltà. Non mi sento supportato dall’Università, anzi ora le tasse per gli universitari sono persino aumentate. Non è un caso che dei numerosi iscritti alla triennale della facoltà di lingue di Bari nemmeno un terzo si iscrive alla laurea magistrale, preferendo andar via. Lo stesso vale per le istituzioni: io abito a Santo Spirito (Bari) nella zona adiacente all’ex stabilimento SCAC, complesso che potrebbe costituire un valore per il territorio e, invece, versa in uno stato di totale abbandono e incuria da diversi anni. Anche in questo mi sento tradito dalle promesse vane di chi si è candidato alla provincia e alla regione”.
Alessandro, 21 anni, disoccupato.
“Ho frequentato una scuola industriale con indirizzo informatico, ma ad oggi non ho le idee chiare. Non mi sento tutelato dal mio territorio, ad esempio aprire un’attività soprattutto qui al Sud è difficile. Se per noi l’obiettivo è quello di rimanere nella nostra terra, la politica fa ben poco per sostenere i giovani imprenditori. Spesso tendiamo a lamentarci, invece, dovremmo fare memoria storica e ricordare che una volta eravamo il vero polo industriale.
Francesca, 20 anni, ha frequentato un corso per diventare consulente turistica finanziato dalla regione Puglia.
“Sognavo di fare l’hostess di volo, ma non credo sia un’ipotesi realista. Ho deciso di non frequentare l’Università perché oggi, nel 2015, non vedo nessuna differenza tra me e un laureato, mi riferisco alle possibilità di sbocchi lavorativi. Vorrei aprire un’agenzia viaggi online rivolta a una clientela straniera più che italiana. Purtroppo quello che manca in Puglia e più in generale nel Sud, nonostante internet e i canali social, è la corretta informazione. Per cui anche volendo essere creativi nell’immaginare un lavoro, non si hanno le basi e non si sa da dove partire. Non mi sento supportata dal territorio, nonostante io abbia frequentato un corso formativo di 900 ore, realizzato grazie ai fondi europei e rivolto alle donne residenti in Puglia. Inoltre il corso prevedeva una parte teorica e una pratica con una retribuzione di 2,50 euro l’ora. In realtà al termine del corso speravo in una possibilità concreta di lavoro, ma non è arrivata. Non vedo un futuro per la mia città. Se un giorno andrò via, spero sarà per una scelta personale e non perché è lo Stato che mi caccia”.
Vito Macina, 29 anni, consulente di tecnologie informatiche e digitali.
Vito ha le idee più chiare. È determinato ma punta sulla condivisione. Ha vinto una borsa di studio per il progetto “Eccellenze in digitale Made in Italy” e ora lavora presso la Camera di Commercio di Bari.
“Il nostro obiettivo è far avvicinare le piccole e medie imprese, il vero tessuto del Sud Italia, al mondo digitale, ma stiamo riscontrando delle difficoltà. Spesso gli imprenditori sono vittime di truffe e della scarsa informazione. Vorrei poter lavorare anche con le scuole, così da sensibilizzare le giovani generazioni alla cultura digitale. I bandi pubblici per creare nuovi progetti ci sono, ma c’è anche un grosso spreco di denaro. Credo che il problema sia radicato nelle istituzioni, ovvero nella scuola e nell’Università che devono creare un ponte reale con il mondo del lavoro, essere davvero “professionalizzanti”, non solo a parole. Sono anche molto deluso dalla politica, non tanto dagli assessori, quanto dai dipendenti comunali. C’è poca comunicazione tra loro e ciò contribuisce a rendere la politica sempre più burocratica. Purtroppo prevale ancora l’interesse del singolo. ABBIAMO BISOGNO DI UN CAMBIO GENERAZIONALE. Spero di poter raggiungere una posizione professionalmente più avanzata, senza scendere troppo a compromessi, in modo da poter proporre nuove idee e soprattutto fare gruppo. Per anni abbiamo assistito alla politica dell’ “Annuncite” e di contenuti non ne abbiamo visto nemmeno l’ombra”.
Marco, 20 anni, studente di conservatorio.
“Vorrei diventare musicista. Ma temo che le classiche raccomandazioni me lo impediscano. Non vuole essere una scusa perché farò il possibile per rimanere nel mio paese. Dal 2010 il conservatorio è diventato un’Università a tutti gli effetti, così potrà rilasciare il diploma accademico di primo livello (equivalente a una laurea) e il diploma accademico di secondo livello (laurea magistrale). Finalmente ci siamo adeguati agli standard europei. Mi auguro che la cosiddetta “fuga di cervelli” si blocchi, e se non riuscirò a trasformare questa mia passione in una vera professione, mi attrezzerò in altri modi, come ad esempio diventare insegnante di musica”.
Da sognatori, a irriducibili realisti. Ragazzi che conoscono bene il significato della parola “gavetta” e della sottile linea che passa tra quest’ultima e il lavoro non pagato. O meglio lo sfruttamento al quale molti giovani volenterosi si sottopongono pur di “fare esperienza”. Nomi improbabili di occupazioni camuffati da lavori veri, contratti full time con retribuzione pari a zero euro. E la faccia tosta di pubblicare certi annunci.
La vicenda di Giuseppe Sciannimanico ci lascia sì l’amaro in bocca, ma non toglie, non deve togliere ai giovani la speranza di trovare nel lavoro della loro vita qualcosa in più di una semplice occupazione. Una Promessa di Dignità che lo Stato e le istituzioni dovrebbero tutelare.
(di Anna Piscopo)