Amarcord: la storia di Berardino Capocchiano, el pibe de piombo

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Ci sono storie, tante storie, di giovani promesse che partono a mille e non mantengono le aspettative: infortuni, caratteri spesso poco incisivi, voli pindarici che fanno pesantemente crollare su sè stessi ragazzi che dal pallone si aspettavano la gloria. Eppure non tutti i calciatori nascono e crescono con le stimmate del predestinato, del piccolo fenomeno che incanta tutti e a cui il mondo pronostica una scintillante carriera; c’è anche chi, per sua stessa ammissione, sa di essere un onesto mestierante con doti non particolarmente eccelse.

E’ il caso di Berardino Capocchiano, centravanti pugliese di Zapponeta (FG) classe 1965, una meteora del calcio italiano, ricordato ancora oggi con qualche sorriso, più per i suoi soprannomi che per le reti messe a segno. Capocchiano nasce il 16 agosto del 1965 in un piccolo paese del foggiano dove il pallone rotola a tutte le ore e dove il piccolo Berardino inizia a giocare, convinto che un giorno arriverà in serie A. A farlo esordire nel calcio dei medio grandi ci pensa la Carugatese nel 1987, poi la famiglia Capocchiano si trasferisce in Germania per motivi personali e lavorativi, il giovane Berardino segue mamma e papà ma non abbandona il sogno di diventare calciatore, anzi, grazie al suo fisico possente si afferma nella serie B tedesca giocando prima nell’Arminia Bielefeld e poi nel TSV Havelse: 14 reti in 43 partite totali, tutto sommato un bottino discreto per un ragazzo di vent’anni o poco più. Nell’estate del 1991, dopo quasi quattro anni passati in Germania, le porte della serie A italiana si spalancano a sorpresa per il giovane Capocchiano di cui si innamora la Lazio che vuole acquistarlo come riserva del tedesco Riedle e dell’uruguaiano Ruben Sosa; Capocchiano è così entusiasta della chiamata del presidente Calleri e del tecnico Dino Zoff che ignora il pre contratto firmato con i tedeschi del Monaco 1860 e vola a Roma a firmare coi biancocelesti. La società di Monaco di Baviera, però, non ci sta e pretende dalla Lazio un pagamento ulteriore al cartellino di Capocchiano e il caso diventa noto e popolare in tutta la Germania, con tanto di prime pagine sui giornali sportivi locali; una bega burocratica che rende effettivo il trasferimento di Capocchiano alla Lazio solamente a novembre. Berardino si presenta a Roma con umiltà e coraggio, ma l’impressione che desta in conferenza stampa non rassicura i tifosi laziali: “Non so giocare il pallone – afferma il gigante foggiano – e non sono certo un calciatore di classe, anzi, quella ce l’hanno gli altri”. Una frase che diventerà un marchio di fabbrica nella poco esaltante esperienza romana di Capocchiano che esordisce in Coppa Italia durante uno sfortunato Lazio-Torino in cui l’ex attaccante dell’Arminia Bielefeld fallisce clamorosamente l’unica occasione da rete che la formazione di Zoff costruisce nell’intera partita, suscitando fischi ed ululati del già prevenuto pubblico laziale a cui inizia a risuonare cupamente l’eco delle parole di Capocchiano in conferenza stampa. Il giovane centravanti inizia col piede sbagliato e le cose non fanno che peggiorare, perchè Zoff lo tiene sovente in panchina e il debutto in serie A arriva solamente nel febbraio del 1992 in un’altra gara disgraziata in cui la Lazio impatta all’Olimpico per 1-1 contro l’Ascoli ultimo in classifica; altri fischi per Capocchiano che, poveretto, si impegna ma non riesce a mettersi in mostra. Altra panchina, qualche tribuna, Zoff non si fida proprio di quel ragazzone dalla tecnica grezza e dal fisico possente, così Capocchiano colleziona nel deludente campionato 1991-92 solamente un’altra presenza, contro la Sampdoria, peraltro neanche degna di nota. Il pubblico laziale lo ha intanto definito “Foppapedretti”, dal nome dell’azienda produttrice di mobili in legno, paragondandolo così ad un armadio, sottolineando le doti fisiche ma anche la staticità. Nell’estate del 1992 l’armadio finisce al Bari, in serie B, dove davanti si ritrova Protti, Tovalieri e Joao Paulo, cannonieri di una squadra che vuole tornare immediatamente in serie A dopo la retrocessione; Capocchiano parte ancora dalla panchina, dunque, ma il Bari dimostra di credere in lui facendogli sottoscrivere un contratto di ben 5 anni. La prima stagione non va neanche male guardando i numeri: da riserva, Capocchiano realizza 4 reti, tre delle quali decisive: due nella partita contro il Bologna, una contro il Monza. Ma anche il pubblico barese non gli perdona la tecnica tutt’altro che irresistibile, quel piede un po’ goffo che spesso manda la palla lontanna anni luce dalla porta avversaria, nonostante un impegno costante in allenamento e durante le gare in cui viene chiamato in causa. Anche a Bari, tuttavia, Capocchiano si becca il suo bel soprannome che viene coniato da un duo comico locale: el pibe de piombo, grottesca allegoria dell’appellativo di Diego Armando Maradona, da sempre definito el pibe de oro. Quando è il metallo, insomma, a fare la differenza. Nella stagione 1993-94, il Bari è sempre in serie B ed otterrà la tanto sosiprata promozione agli ordini di Giuseppe Materazzi che lascia in disparte Capocchiano facendogli collezionare appena 6 spezzoni di partite, la tifoseria biancorossa che detesta il calciatore ed un contratto di altri tre anni che balla sul groppone della società che decide a quel punto per il prestito: prima Avellino in serie C (zero presenze), poi Chieti (sempre in terza serie) dove il centravanti foggiano ritrova un po’ di verve realizzando 13 reti in due stagioni fra il novembre del 1994 e il giugno del 1996 quando scade il suo contratto con il Bari e Capocchiano è libero di cercare una nuova sistemazione. Ma tra i professionisti nessuno si fida e si affida ad un attaccante che non ha grande tecnica e confidenza con il gol, così Berardino si accontenta di chiudere la carriera nei dilettanti, prima nel Latina (stagione 1996-97, 7 partite e 2 reti) infine in Toscana nella Rondinella con cui chiude la vita da calciatore nel 1998 segnando i suoi ultimi 2 gol nelle poche apparizioni con la formazione fiorentina. 35 reti in 11 anni di carriera, pochine per un attaccante, anche se Capocchiano non è mai stato un bomber di razza, un centravanti nato e vissuto per il gol; le etichette, poi, non hanno di certo aiutato la punta pugliese, giunta forse troppo presto in un ambiente ambizioso, verace ma anche cinico come quello di Roma in cui poco viene perdonato.

Dopo il ritiro dal calcio, Berardino Capocchiano è diventato un imprenditore di discreto successo ed oggi è a capo della Coesi Group, una società di servizi che gli ha portato un discreto successo nel campo dell’imprenditoria ed un ottimo ritorno di immagine a tal punto che l’ex calciatore ha tentato pure, con pessimi risultati, l’avventura in politica nel 2009 candidandosi alle elezioni per il consiglio provinciale della provincia di Monza con la lista UDC. Nel 2011 ha provato a salvare il Piacenza Calcio tentando di acquisire la società che stava fallendo, rinunciando poi all’acquisto del club emiliano dopo aver visionato le carte dal curatore fallimentare. Grezzo da calciatore, scaltro da uomo in carriera, la storia del pibe de piombo, in fondo, è col tempo migliorata.ù

di Marco Milan

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