A Genova gli impressionisti delle collezioni americane
La storia dell’arte europea tra Ottocento e Novecento arriva dagli Stati Uniti. Non è un controsenso, bensì il percorso inverso che da Detroit riporta a Genova cinquantadue opere dei più grandi artisti che hanno rivoluzionato la cultura mondiale.
La mostra si intitola Dagli impressionisti a Picasso ed è ospitata fino al 10 aprile nel Palazzo Ducale del capoluogo ligure.
I capolavori esposti provengono dal Detroit Institute of Arts, il museo che già nei primi decenni del secolo scorso era ritenuto la principale via d’accesso delle avanguardie europee negli Stati Uniti. Basti pensare che il gruppo di opere delle avanguardie tedesche qui conservato è senza paragoni rispetto agli altri musei nordamericani. D’altro canto il Detroit Institute of Arts possiede una risorsa che lo differenzia: per oltre vent’anni (1924-1945) è stato diretto dallo storico dell’arte tedesco William Valentiner. Forte di una solida competenza nell’espressionismo teutonico, legato da amicizia personale ad alcuni artisti, Valentiner ha portato a Detroit i primi Van Gogh e Matisse. Nel 1937 ha anche fatto decorare il museo con un ciclo di dipinti murali di Diego Rivera.
La lungimirante direzione, insieme al mecenatismo dei privati tra cui la famiglia Ford, hanno collocato l’Institute fra i principali musei statunitensi. Tra le figure di spicco va ricordato Robert H. Tannahill, che la lasciato numerose opere d’arte e un cospicuo fondo per l’ampliamento delle collezioni. Il fenomeno del collezionismo americano è un aspetto non secondario che la mostra mette bene in evidenza. Nell’arco di pochi decenni a partire dalla fine dell’Ottocento le ingenti somme economiche a disposizione incentivate da un gusto artistico scevro da pregiudizi furono i detonatori di una corsa all’acquisizione delle opere. Non è un caso che gli impressionisti o il primo dei fauves, Matisse, siano stati acquistati da collezionisti americani e russi e solo in un secondo momento apprezzati anche dagli europei.
Detroit, storico centro dell’industria automobilistica che le è valso il soprannome di “Motor City”, guarda al Vecchio Continente e si fa protagonista di questa nuova avventura imprenditoriale che porterà alla nascita dei grandi musei, ritenuti fondamentali per lo sviluppo culturale statunitense.
La Parigi della Belle Époque è senz’altro il punto di riferimento principale. Né potrebbe essere diversamente, dal momento che è sulle due alture alle estremità opposte della Senna, Montmartre e Montparnasse, che mettono radici quelli che diverranno i sempreverdi nell’Eden dell’arte.
Nell’esposizione di Genova si potranno quindi ammirare gli interpreti di quello straordinario periodo storico che va dall’impressionismo a Van Gogh e Cézanne, dall’Ecole de Paris alle avanguardie, dall’astrattismo di Kandinskij a Picasso. Tra i capolavori esposti: i Gladioli di Claude Monet, che vibrano della freschezza primaverile, e i Gladioli rossi di Chaim Soutine, piccole fiamme che si sprigionano da un vaso; l’Autoritratto di un pensoso Paul Gaugin, quello di Otto Dix e l’Autoritratto con cappello di paglia di Vincent Van Gogh: un’esplosione di colore e pathos com’è usuale per le opere del pittore olandese, sempre così cariche di drammaticità e di una dimensione spirituale tanto vicina all’Espressionismo; la miscela di colori caldi e freddi del fiabesco Paesaggio invernale al chiaro di luna di Ernst Ludwig Kirchner; la libertà nell’Evocazione di farfalle di Odilon Redon; cinque tele di Edgar Degas, con le sue inconfondibili ballerine e i cavalli; una sala monografica dedicata a Pablo Picasso con sei tele tra cui la Donna seduta (1960); il massimo esponente della corrente der blauer Reiter (“il cavaliere azzurro”) ovvero Kandinskij, il quale afferma candidamente: “Mi sembrava che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita”.
(di Laura Guadalupi)