Charlie Hebdo: un anno dopo la strage
Era il 7 gennaio 2015 quando alle 11.30 due individui mascherati e armati fanno irruzione nella redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo e, invocando in nome di Allah, uccidono 12 persone. L’incubo sembra placarsi due giorni dopo, quando gli autori della strage, i fratelli Kouachi, sono stati uccisi durante l’irruzione nella tipografia presso la quale si erano barricati dopo un conflitto a fuoco nella cittadina di Dammartin-en-Goële. Ma ancora un colpo basso: gli attentati del 15 novembre scorso nei quali hanno perso la vita 130. La Francia e l’Europa non potevano immaginare che la libertà di stampa, la libertà di espressione, semplicemente la Libertà, sarebbero state colpite in poco tempo, proprio lì, nel cuore di una città che è stata l’avamposto di ogni diritto umano.
Dal 7 gennaio dello scorso anno impazza sul web l’hastag “jesuisCharlie” e poi qualche mese dopo “JeSuisParis” e ancora “PrayforParis”. Oggi, a un anno dall’attentato di Charlie Hebdo, Parigi e la Francia ricordano le vittime dell’attentato allo storico giornale dedicando l’intera settimana a eventi commemorativi: il primo si è tenuto al numero 10 di rue Nicolas-Appert dove si trovava la vecchia redazione del settimanale, ospitato presso la sede di Libéretion, giornale della sinistra francese.
Il presidente della Repubblica François Hollande e il sindaco di Parigi Anne Hidalgo hanno inaugurato una targa commemorativa in onore delle vittime dell’attacco, Frédéric Boisseau, Franck Brinsolaro, Cabu, Elsa Cayat, Charb, Honoré, Bernard Maris, Mustapha Ourrad, Michel Renaud, Tignous, Georges Wolinski. Hollande ha poi scoperto una lapide anche al supermercato kosher, colpito dall’attentatore Amedy Coulibaly. Le commemorazioni si sono poi concluse domenica 10 gennaio con una cerimonia sobria a Place de la République, diventata negli ultimi tempi il centro delle commemorazioni delle vittime.
In occasione del primo anniversario, i redattori di Charlie insieme al nuovo direttore Laurent Sourisseau, alias Riss, hanno deciso di pubblicare circa un milione di copie, andate letteralmente subito a ruba e per questo ristampate per soddisfare l’enorme numero di richieste.
Ma a suscitare ancora una volta le polemiche è stata l’immagine provocatoria esposta in copertina, opera del disegnatore Riss: un dio con la barba, armato di kalashnikov ritratto mentre tenta di fuggire con la scritta in alto “L’assassino è ancora in fuga”. Questa volta l’ironia e l’irriverenza, alcune delle costanti che accompagnano la mission del giornale fin dalla nascita negli anni 60, non sono piaciute né ai vescovi francesi né tantomeno al Consiglio del culto musulmano. Per tutta risposta nell’editoriale del direttore e autore del disegno è esplicitato in maniera netta il messaggio di laicità senza compromessi di Charlie. Sotto accusa sono soprattutto “i fanatici abbrutiti dal Corano”, ma anche con i “baciapile di tutte le religioni” per gli attacchi a Charlie e al suo “aver osato scherzare sulla religiosità” e sul sacro.
Ma quale futuro si prospetta per lo storico settimanale parigino che più volte ha rischiato di chiudere i battenti? Di fatto la mobilitazione mondiale che ha fatto seguito all’attentato del 7 gennaio 2015, aveva portato la tiratura del numero 1.178, quello successivo alla strage, a quasi 8 milioni di copie, contro le 60 mila abituali, facendo impennare anche il numero degli abbonamenti (da 7 mila a 220 mila).
Dunque, se fino a dicembre 2014 Charlie Hebdo correva il rischio di chiudere a causa della diminuzione degli introiti pubblicitari, dopo l’attentato sono arrivati fondi pubblici e privati (molti
sotto forma di donazione) che hanno portato nelle casse di Charlie circa 15 milioni di euro. Improvvisa ricchezza che ha causato dei malumori all’interno della redazione.
Tuttavia, le impennate nelle vendite hanno coinciso proprio con gli attacchi avvenuti alla sede del giornale, i primi nel 2011 e poi nel 2015, quando in copertina c’erano le caricature di Maometto e dell’Islam.
Alle tensioni tra gli azionisti, sono seguite quelle sulla linea editoriale da seguire dopo l’ultimo attentato: aderire al ruolo simbolico che gli è stato assegnato, quello cioè di combattere l’estremismo islamico, oppure in qualche modo ammorbidire i toni? Un grafico pubblicato da Le Monde nel febbraio 2015 (http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/02/24/non-charlie-hebdo-n-est-pas-obsede-par-l-islam_4582419_3232.html) raccoglie i principali argomenti trattati in prima pagina dal 2005 al 2010. Su 523 copertine analizzate risulta che al primo posto c’è la politica, poi la presa in giro di personaggi famosi, l’attualità economica e sociale e infine la religione. Tra le religioni, inoltre, quella cattolica ha avuto maggiore spazio, mentre l’islam è al terzo posto.
Lo scorso settembre il giornale ha assunto il nuovo statuto di “entreprise solidaire de presse”, che impone di reinvestire almeno il 70% dei benefici annuali: un modo per rassicurare alcuni collaboratori sull’uso dei fondi e dei dividendi. Sempre a settembre i superstiti di Charlie hanno lasciato i locali di Libération per trasferirsi in un’altra redazione ben più sicura della prima.
Sebbene Laurent Sourisseau nel momento della nomina come nuovo direttore annunciò di non voler più caricature di Maometto, gli obiettivi della testata restano chiari, e visibili nel proprio sito internet CharlieHebdo.fr: “La laicità senza aggettivi , il sì senza ma, l’antirazzismo senza comunitarismo, l’ecologia senza le battaglie di clan, l’universalismo senza le colombe della pace che piangono, la parità tra i sessi senza Nadine Morano, la lotta contro la sofferenza animale senza tofu, gratuito brodo di coltura”. Al di là della critica verso ogni credo religioso, diventata nel corso del tempo piuttosto un pretesto da chi crede che la battaglia per la libertà di espressione si combatta da soli.
Anna Piscopo