Amarcord: Gianni Comandini, re di Milano per una notte
Gianni Comandini e quella notte in cui diventò Re di Milano. La carriera sfortunata del bomber di Cesena
Quanto ci si mette a diventare campioni? Difficile dirlo, ma ancor più difficile è prevedere quanto complicato sia restare in alto, confermarsi e ripetersi, rimanere costanti in un mondo, quello del calcio, che riesce a stritolare chiunque, neanche fosse un pitone di enormi dimensioni. Per maggiori informazioni a riguardo, chiedere pure a Gianni Comandini, attaccante di belle speranze di inizio anni duemila.
Gianni Comandini nasce a Cesena il 18 maggio del 1977, si appassiona da subito allo sport e in breve tempo capisce che il calcio è la sua passione, la sua strada che lo condurrà al successo, vuole che il pallone diventi il suo mestiere. Talento ne ha, voglia idem, entusiasmo neanche a parlarne, così ben presto finisce nelle giovanili del Cesena e fa il suo esordio in prima squadra in serie B nella stagione 1995-96, in attacco nella formazione bianconera la coppia Hubner-Bizzarri, icone per il campionato cadetto. Comandini è alto, forte fisicamente e dotato di ottima tecnica, è un centravanti classico ma non resta statico in mezzo all’area di rigore avversaria, si muove lungo il fronte d’attacco e dialoga bene coi compagni; ha tutto per sfondare e di lui si dice un gran bene a tal punto che gli osservatori di mezza serie A si muovono per andarlo a visionare. Il Cesena lo presta in serie C al Montevarchi dove segna 3 gol nella stagione 96-97 pur non giocando sempre da titolare, poi i romagnoli, caduti in C1, se lo riprendono affinchè contribuisca all’immediato ritorno in B e il giovane Comandini non si lascia pregare: segna 6 reti che aiutano il Cesena a risalire subito, quindi, al primo vero campionato di serie B nel 1998-99, si fa largo fra i titolari e piazza 14 gol in 36 partite, un bottino non indifferente considerando anche che il Cesena disputa un campionato più o meno anonimo. Ormai Comandini è sul taccuino di tutti gli esperti di calcio italiano, il Vicenza fa prima di tutti e, forte di un accordo stupulato già l’anno prima, nell’estate del 1999 porta l’attaccante romagnolo in Veneto e gli affida il ruolo di centravanti titolare in una squadra che punta dritta alla promozione in serie A; l’annata è sfavillante per Comandini e per il Vicenza: il ragazzo segna 20 reti, spesso, oltre che il bomber, è anche il trascinatore del gruppo, diventa l’uomo simbolo della promozione vicentina e l’idolo di una tifoseria che se lo godrà troppo poco; già intorno alla metà di febbraio del 2000, infatti, iniziano a rincorrersi voci secondo cui il Milan avrebbe bloccato Comandini, voci che diventano realtà a fine campionato: lo squadrone rossonero sborsa 20 miliardi di lire e porta la punta del Vicenza a Milanello, a lui il compito di fare da riserva a Shevchenko e Bierhoff in un Milan che giocherà campionato, Coppa dei Campioni e Coppa Italia.
Per Comandini si spalancano le porte del Paradiso, in meno di quattro anni è finito dalla serie C al Milan, coronando il sogno di giocare nei più grandi ed importanti stadi d’Italia e d’Europa, e nella squadra italiana più popolare ed rispettata nel mondo, il Milan appunto. La tifoseria rossonera si aspetta molto da Comandini, ne ha apprezzato la prolificità e la regolarità di rendimento, rimanendo colpita dalla tenacia e dalla voglia di gol di un ragazzo che non può fallire l’appuntamento con l’esplosione definitiva nel grande calcio. L’avventura milanista inizia col botto per l’ex centravanti di Cesena e Vicenza: a fine agosto i rossoneri devono giocare il preliminare di Coppa dei Campioni contro i croati della Dinamo Zagabria; l’andata si gioca a San Siro, è una gara difficile per la squadra di Zaccheroni, ancora in difficoltà atletica dopo la preparazione iniziata in ritardo per via degli Europei terminati da poco più di un mese. La Dinamo va in gol, poi Shevchenko con una doppietta ribalta il risultato, anche se il 2-1 è un vantaggio esiguo in vista del ritorno a Zagabria; ecco allora che Comandini si prende la scena dell’afosa serata milanese: al 90′ e col Milan in chiara difficoltà fisica, il numero 9 rossonero dà il via ad un contropiede micidiale, poi corre verso il lato destro dell’area di rigore avversaria e chiama palla a Demetrio Albertini: il regista rossonero alza la testa e serve il compagno con uno dei suoi millimetrici passaggi, Comandini stoppa la sfera col destro, la mette giù e lascia partire di sinistro un bolide dai sedici metri che si infila sotto l’incrocio dei pali. E’ il 3-1 finale che avvicina il Milan alla qualificazione, è il gol della liberazione, l’attaccante corre per tutto il campo urlando la sua gioia, San Siro è tutto ai suoi piedi. Si preannuncia una stagione ricca di soddisfazioni per un ragazzo appena approdato in serie A, inoltre Zaccheroni gli dà fiducia: a Barcellona, sempre in Coppa Campioni, il tecnico lo manda in campo nella ripresa col Milan già avanti per 2-0 e Comandini sfiora il tris colpendo il palo nel finale; da qui, però, il centravanti cesenate inizia a giocare col contagocce, spesso si ferma per problemi alla schiena, spesso non riesce a rendere al meglio ed avverte la pressione che la maglia del Milan inevitabilmente produce; i rossoneri, inoltre, faticano in campionato e a marzo escono pure dalla Coppa Campioni, tanto che Zaccheroni, da tempo in rotta con Silvio Berlusconi, viene esonerato e lascia spazio a Cesare Maldini. Comandini è sempre più ai margini della squadra, di lui si ricorda una pessima gara a febbraio in casa del Vicenza (sua ex squadra) nella quale sbaglia gol a ripetizione ed esce fra i fischi in una gara che il Milan perde pure per 2-0.
Ma la grande notte di Gianni Comandini non è ancora arrivata e il destino gli consegna una rivincita da sogno che vale forse una carriera intera: è l’11 maggio del 2001, si gioca Inter-Milan, primo derby milanese a disputarsi di venerdì; le due squadre sono lontane dal quarto posto che vale l’accesso alla Coppa Campioni, ma è pur sempre la stracittadina ed ha un sapore speciale che nemmeno una classifica mediocre può rendere scialbo. Comandini è la sopresa di Cesare Maldini che lo spedisce in campo dal primo minuto. Neanche il tempo di chiedersi se il ragazzo possa soffrire di vertigini ed ecco il primo lampo: Serginho sguscia via sulla sinistra e crossa rasoterra, Comandini in controtempo e in mezza scivolata di sinistro spedisce la palla in rete, Inter 0 Milan 1 dopo soli 3 minuti. Esplosione del settore milanista dello stadio, ammutolito quello interista; ma non è finita, l’Inter prova a reagire, Vieri sbaglia un gol davanti al portiere e dà il là ad un contropiede rossonero ancora orchestrato da Serginho ed ancora finalizzato da Comandini che con uno stacco prepotente inchioda il 2-0: un gol da centravanti di razza, un gol che annichilisce l’Inter e porta in estasi lui e il Milan. Sono passati appena 19 minuti dal fischio d’inizio e già il derby è tinto di rossonero; sarà una partita storica, il Milan farà subire all’Inter un’onta epocale vincendo per 6-0, un risultato che ancora oggi i tifosi milanisti utilizzano come emblema dello sfottò agli avversari cittadini. Comandini è il re indiscusso della serata, il ragazzo fin lì incompreso si è preso più di una rivincita sugli scettici diventando il protagonista del derby di Milano, idolo indiscusso del pubblico rossonero.
Quelli contro l’Inter, ironia della sorte, saranno gli unici gol in campionato per Comandini con la maglia del Milan: dopo altre fugaci apparizioni senza lasciare il segno, infatti, l’ex vicentino viene ceduto all’Atalanta dopo che i rossoneri acquistano Filippo Inzaghi dalla Juventus. Per Comandini inizia un calvario fisico che lo porta a chiudere la carriera nel 2005 dopo l’ennesimo doloroso guaio alla schiena; Atalanta, Genoa e Ternana sono le tappe successive al Milan: 9 reti totali in poco meno di sei stagioni di cui solamente la prima a Bergamo (2001-2002) disputata da titolare e con continuità (30 presenze e 4 gol). Comandini lascia il calcio a 29 anni nel gennaio del 2005 dopo appena un gol con la maglia della Ternana in sole 7 presenze e una schiena malconcia e dolorante che non gli lascia alternative.
Dopo il calcio, Comandini ha sfruttato la passione per i viaggi e i soldi guadagnati col pallone e se n’è andato in giro per il mondo, dall’Australia alla Cina passando per il Sud America, con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di conoscere posti e culture lontane. Tornato in Italia, ha lavorato come dj da appassionato di musica e nuove sonorità, quindi ha aperto un ristorante a Cesena che continua a gestire ancora oggi; del calcio ha detto: “Molti trovano nella consacrazione calcistica il massimo traguardo della vita, io ho usato la fama del pallone come tappa di passaggio per fare altro, sono felice di aver giocato in serie A ma sono felice di aver saputo intraprendere anche attività extra sportive“. Riflessioni sagge di chi una volta, per una sera, è stato l’uomo più popolare d’Italia.
(di Marco Milan)