Sanremo 2016. Carlo Conti e il perfetto mix nazional-popolare che tanto piace
Una media di oltre 10 milioni di spettatori a serata per Sanremo 2016. È il secondo dell’era Conti: l’onnipresente conduttore Rai è riuscito a doppiare se stesso
Amato e avversato, Sanremo, il Festival della Canzone italiana, alla sua 66esima edizione è tornato a vestire i panni del nazional-popolare nella sua essenza più pura. È si il Festival di Sanremo, ma è anche una lunga trasmissione di Carlo Conti, una tra quelle che da lunghe stagioni Rai intrattengono gli sguardi stanchi degli italiani, la sera, di ritorno dal lavoro.
Disimpegno, divertimento e leggerezza, il mix perfetto del successo del presentatore toscano, sempre sapientemente miscelati con l’eleganza, il savoir faire e il politicamente corretto, come piace a mamma Rai.
Con quest’impronta è stato organizzato il Sanremo del 2015 e dato che “squadra che vince non si cambia”, la formula è stata ripresa esattamente anche quest’anno. Tempi di esibizione serrati, sfide dirette, scontri repentini al televoto, serata dedicata alle cover. Conti sembra aver trovato la quadratura del cerchio, tutto ciò che ha sempre annoiato di Sanremo e cioè, ovviamente, le canzoni, sono diventate un ingranaggio perfetto con il quale alternare scialbi siparietti faticosamente portati avanti con i supervalletti Garko e Ghenea, le interviste ai superospiti e le irresistibili imitazioni della Raffaele.
Lo scotto che si paga sul palco di Sanremo è il carattere istituzionale proprio dell’occasione, allora succede che Virginia Raffaele è spassosissima, ma si esibisce al 40% delle sue potenzialità. Anche un supercomico, attore e intrattenitore come Brignano sul palco dell’Ariston ha ceduto il passo del “facce ride” a un monologo malinconico, serio e un po’ forzato sulla paternità, annullando per presenziare alla quarta serata, lo spettacolo romano (con conseguente ira degli spettatori paganti); per non parlare della fiacchezza di Panariello e Pieraccioni.
Ora la squadra scelta da Conti possiede tutti gli elementi per far parlare e sparlare di sé, perciò tutti i tanti e vari “Perché?” della vita che hanno riguardato Garko sono stati attentamente contemplati e voluti, così come le generose forme della supermodella Madalina, che ha però piacevolmente colpito per grazia e garbo.
Canzoni orecchiabili in perfetto stile sanremese, nessuna pretesa di abbracciare l’alta cultura, una spinta in avanti con tanta nostalgia del passato: tutto funziona per dare l’impressione che la musica sia davvero protagonista, quando in realtà, come al solito, è solo una grande scusa per fare spettacolo.
Ma la retorica esplode impertinente e ci fa domandare: “Non è forse questo Sanremo?” e dato che la domanda è retorica, vi risparmiamo la risposta.
Questa non è una standing ovation per il Sanremo di Conti, è più una presa di coscienza del fatto che Sanremo deve esistere e se proprio deve farlo, meglio in questo modo che metterlo in piedi con l’assurda pretesa di renderlo una kermesse elitaria, che parla a pochi.
Numeri alla mano, sono più di dieci milioni gli spettatori che hanno scelto di guardare Rai Uno e quel format vecchio di settant’anni e chissà quanti milioni lo hanno letto, sbirciato e spiato vergognosi dai social network. In questo Sanremo nazional-popolare targato Conti bis e così seguito, ha trovato posto anche un’esibizione di rara bellezza, portata a termine da un’eccellenza italiana: Ezio Bosso. Il pianista, compositore e direttore d’orchestra ha incantato il pubblico con la sua “Following a Bird”, offrendo la possibilità a tutti di conoscere il suo valore come artista e come uomo, anche a chi non aveva mai passato 3 minuti della sua vita ad ascoltare le note di un pianoforte. La trasversalità di un messaggio è raramente negativa e Bosso è riuscito a sfondare il muro del pietismo e del finto buonismo che permeano tanti salottini televisivi, lo ha fatto quando suonava e ancora più forte quando ha risposto a Spinoza.it. Sullo stesso palco Cristina d’Avena ha snocciolato i suoi successi e Roberto Bolle ha ballato sulla musica dei Queen. Gli Elii hanno cantato travestiti da Kiss e Patty Pravo a cantato la cover di se stessa. Presente e passato, alto e basso, si sono incrociati in un miscuglio inscindibile, tutto ha proceduto come doveva, nessun rischio: estrema cautela. Altro tocco personalissimo di Conti, niente si inventa, tutto si ricicla.
Ogni italiano, di prima, seconda, terza o quarta generazione, acquisito, momentaneo, casuale o involontario, almeno una volta nella sua vita ha pensato o pronunciato la frase “Ma perché lo fanno ancora, dico io?”, quesito esistenziale che basterebbe a rendere italiano un qualunque aspirante tale, da sostituire a requisiti poco identificativi come lo ius sanguinis. Ma poi, possiamo ammetterlo o meno, ci appassiona, o almeno ci incuriosisce. È come un vecchio parente, che quando arriva ti infastidisce, perché fa parte di un tempo che non c’è più, è anacronistico e inopportuno. Solo che poi anche se proprio non lo sopporti, di sicuro un ricordo in comune con lui ce l’hai e quello, può esserti fatale.
Chissà quale ricordo deve aver commosso a tal punto Giovanni Toti, Presidente della Regione Liguria che sul palco dell’Ariston ci ha ricordato: “Due ragazzi che non possono essere qua stasera ma che servivano il nostro Paese e che spero tornino presto” e allora certo, questo ci fa storcere un po’ il naso. Dato che alla fine i due Marò, li possiamo pure aver messi nel presepe, ma non è che stanno lontani perché li abbiamo mandati a portare incenso e mirra ai pescatori indiani. Però poi basta guardare Garko e la fiducia nel progresso del nostro grande Paese torna a risplendere e l’epifania della necessità annuale di Sanremo è una conseguenza istantanea.
Per la cronaca, il campione delle Nuove Proposte è Francesco Gabbani, con la canzone “Amen”, forse per ristabilire un po’ d’equilibrio dopo che tutti, ma proprio tutti, si sono colorati d’arcobaleno a sostegno dei diritti civili. Tra i big, vincono Sanremo gli Stadio con “Un giorno mi dirai”.
(di Azzurra Petrungaro)