Istat: sempre più culle vuote in Italia, i dati 2015
Istat: tasso di nascite più basso dall’Unità, tasso di mortalità più alto dal secondo dopoguerra
Istat. Per il quinto anno consecutivo si registra in Italia la riduzione della fecondità, raggiungendo un minimo storico dall’Unità. A certificarlo è l’Istat, con la diffusine dei dati demografici del 2015. Con solo 488 mila nascite, circa 8 per mille residenti e 1,35 figli per donna, l’anno passato si qualifica come un annus horribilis dal punto di vista demografico.
La popolazione residente italiana, quindi, continua a ridursi; al 1 gennaio 2016, i residenti in Italia sono 60 milioni e 656 mila, con un calo di 139mila unità. Aumenta il numero di stranieri, che arrivano a comporre l’8,3%, diminuisce quella degli italiani, con 179mila residenti in meno. Di questi, circa 100mila sono italiani che si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero, il 12,4% in più rispetto al 2014. I rientri in patria sono stati solo 28mila.
Cala la popolazione in età attiva, aumentano gli ultrasessantacinquenni, con un conseguente aumento dell’età media a 44,6 anni. In controtendenza rispetto a questi dati, la diminuzione della speranza di vita alla nascita, calata a 80,1 anni per gli uomini e 84,7 anni per le donne. Nel 2015 si è anche registrato un picco della mortalità, il più alto dal secondo dopoguerra ad oggi. Con 653mila decessi, si ha avuto un incremento del 9,1%, registrato soprattutto nella fascia d’età tra le più anziane, tra i 75 e i 95 anni. La ragione di questo picco è dovuta non solo al generale invecchiamento, ma anche al posticipo delle morti del biennio 2013-2014. Il saldo naturale scende comunque a -165mila, un dato ancora fortemente negativo che continua a far preoccupare.
I dati Istat confermano la posizione di coda dell’Italia nella natalità: in Irlanda e Francia la media di figli per donna è di 2,01, in Gran Bretagna 1,92, dati in linea con Svezia e Finlandia, stando ai dati Eurostat riferiti al 2014. Il dato importante è che la fertilità per donna risulta maggiore in quei Paesi dove ance il tasso di occupazione femminile è più alto. Ad oggi in Italia la differenza tra l’occupazione maschile e quella femminile è del 19,4% (66,5% maschile e 47,1% femminile), una delle più alte dell’Unione Europea. Un dato spiegato anche dal fatto che 3 donne su 10 hanno abbandonato il lavoro dopo la gravidanza. Tutti i campanelli d’allarme, quindi, indicano come colpevoli principale di questa decrescita in natalità lo Stato e la società in Italia. Lo stato perché non esistono ad oggi politiche effettive che incentivino alla maternità e tutelino le donne lavoratrici e madri. La società perché c’è ancora una diffusa percezione dell’avere figli e gestire una casa come un problema principalmente femminile. Non deve stupire, quindi, che meno donne decidano di imbarcarsi nell’avventura della maternità e sempre più tardi, con un’età media del primo figlio che arriva ai 31,6 anni.
Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha dichiarato che verranno prese delle misure per sostenere le donne lavoratrici e madri, spiegando che: “Le culle vuote sono il principale problema economico del Paese”. Politica sostenuta da Enrico Costa, ministro per gli Affari Regionali con delega alla famiglia, che ha dichiarato: “L’impegno del Governo è chiaro: realizzare politiche attive che mettano la famiglia al centro. Non un provvedimento, ma una rete organica di misure, atti, scelte, in primo luogo in ambito fiscale, orientate a favorire e a sviluppare la spina dorsale del Paese.”.
(di Francesca Parlati)