Amarcord: Amarildo, il centravanti che distribuiva Bibbie

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E Ruben Ruben Ruben Ruben Sosa, e Ama Ama Ama Ama-rildo, e Pedro Pedro Pedro Pedro Troglio…alè alè alè, alè alè la Lazio.

Amarildo, il centravanti che regalava BibbieCantava così la curva laziale, intonando un coro per i tre stranieri  sudamericani di fine anni ottanta, l’uruguaiano Sosa, il brasiliano Amarildo e l’argentino Troglio, simboli di un calcio più povero ma forse più vero, tanto che il suddetto coro si sente ancora oggi allo stadio Olimpico quando gioca la Lazio. Di Ruben Sosa conosciamo praticamente tutto, i gol in nazionale e le ottime prestazioni con Lazio ed Inter; Pedro Troglio è stato un buon centrocampista ed è oggi un apprezzato allenatore in Argentina. E Amarildo? La storia del centravanti brasiliana è curiosa, uno spaccato di vita più che di calcio, la religione e la fede che si intrecciano col pallone, un sacro e profano mischiati dall’odore del grasso di foca.

Amarildo Souza do Amaral nasce in Brasile, a Curitiba, il 2 ottobre del 1964, e di mestiere fa il calciatore, attaccante centrale, centravanti si dice in gergo tecnico. E’ alto 1 metro e 85 ma è piuttosto magro, per cui viene impiegato sì da prima punta, ma col compito di far prevalere tecnica e velocità rispetto al fisico. Amarildo si fa una bella gavetta in Brasile, non segna molto ma è apprezzato come elemento che si sacrifica per la squadra. L’esplosione arriva nella stagione 1988-89 quando sbarca in Spagna e va a giocare nel Celta Vigo: l’attaccante brasiliano, schierato come punta di riferimento dell’attacco, mette a segno 16 reti in 34 partite, una novità assoluta per un calciatore fin lì sterile in zona gol. Su di lui si fionda la Lazio che è tornata in serie A già da un anno e si appresta ad affrontare la stagione 1989-90 con l’obiettivo di centrare una tranquilla salvezza nel girone d’andata e puntare ad un possibile piazzamento Uefa nel ritorno. I gol nel Celta Vigo hanno convinto il presidente laziale Calleri ad investire sull’attaccante brasiliano che a 25 anni è nell’età perfetta per esplodere definitivamente ed è pronto a comporre con l’uruguaiano Ruben Sosa una coppia gol affidabile per i traguardi che vuole centrare la formazione romana guidata in panchina da Giuseppe Materazzi. La tifoseria biancoceleste inizia a conoscere non soltanto il lato sportivo di Amarildo, ma anche quello umano: l’attaccante sudamericano è infatti il primo atleta di Cristo del campionato italiano, ovvero appartenente alla Chiesa Evangelica, molto devoto, ed è solito regalare una Bibbia ai suoi avversari prima dell’inizio delle partite. Una cosa così in serie A non si era mai vista, ma Amarildo non sembra turbato dalla diffidenza della gente, anzi, spiega che la fede lo porta a giocare meglio, a svolgere con maggior dedizione il suo lavoro e il regalo delle Bibbie ai giocatori avversari è un omaggio per far conoscere la sua religione anche ad altri, anche a chi in campo dovrà marcarlo e ingaggiare con lui aspri duelli. Il 19 novembre 1989 si gioca l’andata del derby contro la Roma, la gara più sentita dall’intera città; il campionato 1989-90, peraltro, viene ricordato a Roma come l’anno del Flaminio, poichè le due squadre della capitale sono costrette a giocare nel più piccolo impianto cittadino visto che l’Olimpico è in ristrutturazione in vista dei mondiali del 1990. Il Flaminio è piccolo ma raccolto, è pieno e si trasforma in una bolgia quando giocano Lazio e Roma; il giorno del derby, poi, non si intravede nemmeno uno spazio vuoto sugli spalti, la Roma ha il predominio dell’impinato perchè gioca in casa, ma i tifosi laziali sono ugualmente agguerriti e non fanno mancare il loro supporto, intonando pure il coro per Sosa, Amarildo e Troglio. Il centravanti brasiliano ha come sempre distribuito copia della Bibbia prima dell’inizio della sfida, consegnando il testo sacro al suo marcatore in campo, Lionello Manfredonia, che è pure un ex della partita, ripudiato dai laziali per aver scelto la Roma dopo la gloria in biancoceleste, non amato dai romanisti che non riescono a sentirlo uno di loro. Al minuto numero 6 del secondo tempo, sul risultato di 0-0, Amarildo rifila una testata in faccia a Manfredonia che stramazza al suolo: l’arbitro vede tutto ed espelle l’attaccante laziale che si infila negli spogliatoi senza protestare più di tanto, consapevole di averla fatta grossa. Nel dopo partita l’ambiente laziale parla di provocazioni di Manfredonia che hanno scatenato la reazione di Amarildo e in effetti riguardando le immagini si nota come i due si stessero stuzzicando già da un po’; a Roma, si sa, l’ironia fra laziali e romanisti è fortissima e il derby dura tutto l’anno. La parte giallorossa inizia a paragonare malignamente la Bibbia regalata da Amarildo a Manfredonia come antipasto della capocciata rifilatagli dopo. Amarildo tace, solamente anni dopo rivelerà che Manfredonia lo aveva insultato e provocato per tutto il primo tempo dicendogli: “Il tuo Dio non esiste”.

La stagione di Amarildo con la Lazio terminerà con 8 reti realizzate e la doppietta al Napoli di Maradona il 30 dicembre del 1989 come apice di un’annata comunque positiva. Il brasiliano, oltre ai gol contro i partenopei, andrà in rete anche contro Lecce (altra doppietta), Atalanta, Milan, Cesena ed Ascoli, tutti in casa. In estate, però, la Lazio ha la possibilità di acquistare il forte centravanti tedesco Karl-Heinz Riedle, conferma Sosa e Troglio e, potendo tesserare solamente tre stranieri in organico, sacrifica Amarildo che viene acquistato dal Cesena che va a caccia della quarta salvezza consecutiva in serie A. La stagione 1990-91, però, si trasforma ben presto in un calvario per la squadra romagnola che non riesce ad ingranare e si stacca quasi subito dal treno salvezza. Amarildo fa quel che può, si trasforma da uomo gol a uomo assist supportando il compagno di reparto Massimo Ciocci che chiuderà il campionato con 11 reti all’attivo, inutili però per un Cesena che retrocede senza tanta gloria e senza lottare più di tanto. Amarildo segna 5 reti, ma concentrate in sole tre partite: alla quinta giornata ne fa due nel 4-2 dei bianconeri al Bari aggiungendo pure un assit per Ciocci; nel turno numero 23, dopo quasi un girone intero d’astinenza, il brasiliano si ripete con un’altra doppietta nel derby contro il Bologna che il Cesena vince per 3-2, una delle poche soddisfazioni per i tifosi cesenati in un campionato disastroso. L’ultimo gol in serie A per Amarildo arriva tre settimane più tardi nel 3-1 della sua squadra al Lecce. Il Cesena retrocede in serie B, ma conferma Amarildo per tentare l’immediato ritorno in massima serie e il brasiliano accetta, quasi in debito con la piazza romagnola dopo una stagione molto deludente; in estate viene prestato al Torino per giocare la Mitropa Cup che i granata riescono pure a vincere. Il campionato 1991-92, invece, è deludente più o meno come il precedente per il Cesena che manca la promozione e non riesce nemmeno a stazionare nelle zone alte della classifica; Amarildo segna 8 gol che non sono pochi, ma comunque insufficienti per riportare il Cesena ai vertici. L’avventura di Amarildo in Italia termina così nell’estate del 1992 dopo che il Cesena decide di cambiare molto e tentare l’inizio di un nuovo ciclo per tornare in serie A; il brasiliano chiuderà la carriera giocando in squadre minori di Spagna, Brasile e Portogallo, scomparendo dai radar internazionali.

Oggi l’ex attaccante di Lazio e Cesena ha aperto tre scuole calcio in Brasile che gestisce con passione. In una recente intervista ha ricordato gli anni in Italia, ripercorrendo la tappa di Roma, iniziata senza conoscere la lingua e chiusa coi tifosi che non avrebbero voluto il suo sacrificio, nonostante l’arrivo di un attaccante più prolifico come Riedle. Si dice stupito Amarildo che ancora oggi allo stadio i sostenitori laziali intonino il coro composto anche per lui, ma ne è orgoglioso perchè il suo lavoro e il suo modo di giocare, il suo lavoro e il suo impegno sono ancora ricordate ed apprezzate. Forse in Italia il brasiliano è ricordato più per la curiosa abitudine di regalare le Bibbie in campo, forse in un’epoca in cui in serie A giocavano Van Basten, Klinsmann, Voller e Diaz, il nome di Amarildo suonava come un rincalzo, come una nota anonima in un mondo di campioni, come un Dio minore, tanto per rimanere in tema. Amarildo è contento così, a Roma e a Cesena lo ricordano con simpatia: non era Van Basten, e questo lo sa bene anche lui, ma nella carovana di bidoni stranieri giunti in Italia negli anni ottanta e novanta, il nome di Amarildo Souza do Amaral non c’entra proprio nulla.

di Marco Milan

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