Lotta alla mafia, addio a Pina Maisano Grassi

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Scompare la vedova dell’imprenditore Libero, una delle figure più emblematiche nella lotta alla mafia. Un simbolo di coraggio, tenacia e normalità

Pina Maisano Grassi

Ci sono nomi che non possono essere dimenticati. Donne e uomini che con le loro azioni e il loro coraggio hanno lasciato un segno nella storia dell’Italia. Tra questi, Pina Maisano Grassi, vedova dell’imprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia nel 1991 per essersi opposto pubblicamente al pizzo.

A causa di un malore, Pina è scomparsa pochi giorni fa all’età di 87 anni, senza avere mai abbandonato nel corso della sua esistenza la lotta alla mafia iniziata da suo marito. E’ sempre stata presente ad ogni evento, iniziativa a favore della legalità, diventando inconsapevolmente un simbolo di resistenza, di coraggio, di tenacia ma, soprattutto, di normalità. La stessa normalità che si nascondeva dietro al gesto di ribellione di Libero Grassi.
«Libero non è stato un eroe, né voleva esserlo. Era un uomo normale con i suoi saldi valori. Gli eroi sono quelli dei fumetti». Così Pina parlava di suo marito, nel ricordo che conserva di lei Marcello Ravveduto, storico, scrittore e giornalista, che ha fatto della biografia dell’imprenditore Grassi la sua tesi di laurea, incontrando sua moglie due anni dopo l’omicidio.

Nel racconto di quell’incontro, Ravveduto riflette proprio sulla necessità di riportare le azioni di Pina e delle tante altre persone che quotidianamente resistono alla mafia nella sfera della normalità. Perché forse, oggi, l’errore sta proprio nel considerare straordinario ciò che invece dovrebbe rientrare nella più semplice ordinarietà. Libero Grassi era un imprenditore che voleva continuare a lavorare spinto dai sani valori del suo spirito, scegliendo di non sottostare a un “ordine” fuori dalla legalità. Cosa c’è di straordinario in tutto ciò? Non dovrebbe essere il comportamento più naturale e spontaneo che dovrebbe scaturire da una società sana?

Ecco, qui sta il punto e Pina Maisano Grassi lo aveva individuato. Libero, e insieme a lui tutte le vittime di mafia, sono diventati eroi perché hanno saputo distinguersi dalla mafiosità che aleggiava nella Sicilia di 25 anni fa e che, purtroppo, permane parzialmente ancora oggi. Eccolo il gesto davvero straordinario. Eccolo il segno di coraggio. Perché, dopotutto, l’omologazione è rassicurante, anche quando è malata. Ci vuole forza, determinazione, tenacia per scegliere una strada diversa rispetto a quella intrapresa dagli altri, anche se quest’ultima non è quella giusta. E a volte, quindi, si preferisce seguire l’andamento confortante dell’onda comune, perché è l’unica soluzione per evitare di mettere la testa fuori e correre il pericolo di far sentire la propria voce.

Pina Grassi ha sempre lottato contro questa inettitudine che, a pensarci bene, si cela dietro molte azioni che tutti intraprendiamo quotidianamente e che nulla hanno a che vedere con la sottomissione alla mafia. La società in cui viviamo è permeata sull’ipocrisia del “mal comune mezzo gaudio” e la nostra normalità è fatta di compromessi, di teste piegate e di occhi abbassati.

Pina ha lottato affinché la straordinarietà di suo marito diventasse ordinarietà. Lo ha fatto con enorme dignità e discrezione, lavorando incessantemente con i volontari di Addio Pizzo, l’associazione nata a Palermo per sostenere le vittime del racket e continuando la battaglia intrapresa da Libero.  Sempre presente nelle cerimonie di commemorazione con parole brevi e concrete lontane da ogni retorica.

Lei, come tutte le altre donne che hanno lasciato un segno nella lotta alla mafia, ha trasformato il suo dolore in una linfa vitale di cambiamento che continuerà ad essere tramandata da tutte quelle persone che hanno avuto la fortuna di conoscerla e assaporarla.

Fonte immagine: palermomania.it

(di Giulia Cara)

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