Wimbledon 2016: Murray e Williams vincono nel tempio del tennis
Tutti gli appassionati di tennis aspettano con ansia il torneo di Wimbledon, il regno dell’erba verde è infatti, con molta probabilità, il torneo più amato, per la sua storia e le sue tradizioni, con quei vestiti bianchi e un certo charme che così a pelle rende tutto più magico, come quel cartello “no selfie sticks allowed”, un esempio di civiltà che personalmente amerei vedere in almeno 3/4 del globo, ma questo è solamente un mio parere.
Veniamo al tennis, quello vero, fatto di sudore e lacrime, di emozioni e colpi incredibili, e di record, quelli mancati e quelli raggiunti e infranti.
La più grande delusione di questo Wimbledon 2016 è sicuramente l’uscita prematura dal tabellone di Novak Djokovic, il serbo aveva un grosso appuntamento con la storia, poteva infatti centrare il Grand Slam ossia la vittoria di tutti i tornei Slam della stagione, ma il suo sogno si è infranto contro un onestamente non irresistibile Querrey in grado di mettere in ginocchio l’attuale n°1 della classifica con un gioco solido ma poco spettacolare.
Tra i grandi caduti durante il torneo certamente il tonfo più grande è stato quello di Roger Federer, che ha perso in semifinale contro Milos Raonic, il giocatore canadese, forte di quello che al momento sembra il servizio più letale del circuito e che è riuscito a far cadere lo svizzero, anche se Roger gli ha certamente dato una mano sprecando 3 palle del match ed andando poi a perdere il quinto e decisivo set, con un intervento in campo del massaggiatore, segno indiscutibile di un campione che avanza con l’età, perdendo forse l’ultima occasione per vincere di nuovo Wimbledon, ma mostrandosi ancora una volta grande anche nella sconfitta.
Il percorso del vincitore, Murray, è stato invece piuttosto liscio, un gioco difensivo quanto mai solido unito ad una forma fisica straordinaria e all’uscita dei più grandi ostacoli, hanno permesso al giocatore scozzese di centrare il terzo titolo Slam (su un totale di 12 finali disputate), e il secondo sull’erba verde di Wimbledon.
La finale è stata, in definitiva, l’esatto specchio di questa situazione, chiusa con un 6-4 7-6(3) 7-6(2), due sole palle break concesse all’avversario e per il resto è la storia di un giocatore che ha incontrato sulla sua strada dei campioni obiettivamente troppo più forti nelle finali precedenti, ed un ragazzo che giunto in finale ha capito che un servizio strabiliante ed il dritto non bastano per vincere una finale slam, non contro uno dei fab4.
Malgrado i due tie-break Murray è stato sempre solidamente in controllo del match, concedendo poco o niente all’avversario, a dire il vero incolpevole in questa sconfitta, ma certamente abbattuto dalla prestazione solidissima di Andy, capace di rispondere a servizi a 236 km/h e conquistare di conseguenza il punto, la vittoria dei Championship è certamente meritata.
Nel femminile invece l’appuntamento con la storia è stato di una certa portata, Serena Williams con la vittoria di ieri è riuscita ad eguagliare il record di vittorie Slam di Steffi Graf, per la precisione 22 vittorie.
Di queste ventidue, ben sette (compresa quella di ieri), sono state conquistate sui campi d’erba dell’All England Club, e la vittoria di ieri è forse la più bella, non solo per il record eguagliato, ma perché avvenuta all’età di 35 anni, mostrando un gioco solido, granitico, per certi versi inattaccabile, malgrado il tempo, malgrado un Grand Slam fallito l’anno scorso, malgrado le recenti finali perse, una anche contro la stessa Angelique Kerber, avversaria degna dello scontro, ma che si è trovata dinnanzi una pantera che ha fatto tesoro della recente sconfitta agli Australian Open per trasformare le debolezze in punti di forza e la sconfitta stessa in vittoria.
Sono bastati 81 minuti per chiudere 7-5 6-3, senza mai mettere in dubbio il proprio gioco, senza mai vacillare malgrado l’incontro con la storia, grazia e potenza, da una giocatrice che, almeno nell’aspetto esteriore potrebbe non lasciar trapelare questa idea, ma sul rettangolo di gioco tutto cambia.
E chissà se ora, la leonessa americana, riuscirà a diventare a 30 anni suonati, la giocatrice più vincente dell’era Open, per me, c’è da scommetterci.