Amarcord: Luciano De Paola, “il calciatore comunista”

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luciano-de-paola-il-calciatore-comunistaCalcio e politica: un binomio antipatico, spesso forzato, eppure purtroppo presente negli stadi, vessilli e cori a visioni del mondo ormai passate e sepolte, amicizie e gemellaggi sugli spalti solo perchè le fazioni ultras hanno gli stessi connotati estremisti. E poi ci sono i calciatori: spesso evasivi circa le domande sulle loro posizioni politiche, a volte invece troppo impertinenti nello sbandierarle al limite dello stucchevole, infine c’è chi viene tirato in mezzo e si porta dietro un’etichetta per tutta la vita, come accaduto a Luciano De Paola, il calciatore comunista che forse comunista non è mai stato.

Luciano De Paola nasce a Crotone il 30 maggio 1961, di professione fa il calciatore ma non è di quei calciatori che finisce sui giornali spesso, è un mediano di rottura, ruvido e cattivo, gli allenatori affidano a lui i compiti di copertura e lo mandano quasi sempre in campo con la maglia numero 4, quella dei medianacci. La svolta per De Paola, dopo anni di apprendistato in serie C, arriva nel 1988 quando Claudio Ranieri siede sulla panchina del Cagliari ed allestisce una squadra che punti al ritorno in serie B, il minimo per una grande piazza come il capoluogo sardo; il tecnico romano chiede un mediano di corsa e bravo a recuperare i palloni per novanta minuti, possibilmente non giovanissimo: gli segnalano Luciano De Paola, 27 anni, esperto della categoria dopo le esperienze a Crotone (pure nei dilettanti), Frosinone e Francavilla. La scelta è perfetta: De Paola diventa titolare fisso del Cagliari che centra immediatamente la promozione in serie B e vince la Coppa Italia di serie C, ma non solo, perchè l’anno dopo i sardi raggiungono addirittura un altro salto di categoria e tornano in serie A quasi dieci anni dopo l’ultima volta. De Paola è sempre titolare e Ranieri punta su di lui anche per l’esordio in serie A, mantenendo il gruppo storico della squadra e rinforzandola con i tre uruguaiani che in Sardegna lasceranno pesantemente il segno nel cuore dei tifosi rossoblu: il regista Josè Herrera e gli attaccanti Daniel Fonseca ed Enzo Francescoli. Il campionato 1990-91 inizia malissimo per il Cagliari, ultimo staccatissimo per tutto il girone d’andata e con uno spogliatoio nervosissimo: durante il debutto alla prima giornata in casa contro l’Inter, De Paola viene espulso, l’Inter vince 3-0 e alla ripresa degli allenamenti a Cagliari succede di tutto perchè lo stesso mediano calabrese si scaglia contro il compagno di squadra Francescoli: “Tu fai finta di allenarti – gli urla in faccia – il tuo talento non basta, devi tirar fuori anche le palle”. Non gliene manda a dire, insomma, ma la cosa a non piace a Claudio Ranieri che, nonostante la stima verso De Paola, lo mette fuori rosa assieme agli attaccanti di riserva Paolino e Provitali. A novembre nel mercato di riparazione De Paola finisce al Brescia dove l’anno dopo conquista un’altra promozione e nella stagione successiva, 1992-93, torna in serie A dove gioca e si impone come uno dei mediani migliori del campionato, sempre in relazione alla squadra in cui gioca.

Attira così l’attenzione della Lazio che sta costruendo una squadra molto competitiva ed ha bisogno di un centrocampista di riserva che sia esperto e che abbia dinamismo e tanto fiato nei polmoni. La società romana offre quasi 3 miliardi di lire al Brescia (2,8) e De Paola viene acquistato ufficialmente dalla squadra presieduta da Sergio Cragnotti ed allenata da Dino Zoff. Per il mediano crotonese sembra un sogno, ma ben presto il quasi trentatreenne centrocampista si ritrova in un incubo. Un giornalista della carta stampata romana, infatti, spulciando negli archivi trova un’intervista del settimanale Il Guerin Sportivo del 1988, rilasciata da De Paola dopo il suo arrivo al Cagliari e nella quale il centrocampista dichiarava di aver votato ad inizio anni ottanta per Rifondazione Comunista, affermando però anche di non andare più alle urne da svariato tempo. Lo zelante cronista pensa bene di rivoltare le dichiarazioni di De Paola, vecchie ormai di cinque anni, per sparare il titolone che rimarrà per sempre attaccato all’atleta e all’uomo: “Luciano De Paola dichiara: sono un calciatore comunista”. In realtà non ci sarebbe neanche nulla di male se comunista De Paola lo fosse veramente e se veramente avesse detto così non appena arrivato a Roma, ma una frangia della tifoseria laziale, notoriamente schierata su posizioni di estrema destra, non prende affatto bene l’idea che il neoacquisto biancazzurro sia un comunista e che lo dichiari così apertamente. Il fatto che De Paola sia inoltre un giocatore di medio livello e non un campionissimo, accentua la polemica e aizza ancora di più quei tifosi laziali di destra e anticomunisti. Nella zona nord della capitale, ovvero quella più popolosa di sostenitori della Lazio, compaiono scritte poco piacevoli nei confronti del calciatore comunista: “De Paola vattene”, “Roma è fascista, De Paola sei il primo della lista”, fino ad arrivare al celebre “De Paola come Sollier: tornate a Mosca”. Paolo Sollier era stato un calciatore degli anni settanta, lui sì ufficialmente comunista, che dichiarava di provare un gusto particolare nell’andare a vincere nelle “tane nere”, ovvero in casa delle squadre con la tifoseria schierata a destra, e che aveva definito la Lazio come la squadra di Mussolini e, pertanto, i tifosi laziali non lo avevano certo in simpatia.

La Curva Nord della Lazio, il feudo del tifo biancazzurro, si dissocia dalla contestazione a De Paola, ma un gruppo organizzato della frangia che lo contesta chiede un incontro ufficiale col calciatore per chiarire la situazione. De Paola accetta ed è costretto a ribadire che a lui la politica non interessa, che l’intervista era di cinque anni prima e che in ogni caso non aveva dichiarato di essere comunista, ma di aver votato una volta per Rifondazione Comunista e di essere peraltro rimasto deluso dall’apporto politico del movimento di sinistra, smettendo così di andare anche alle urne. Qualcuno gli crede, qualcuno no, alla maggioranza dei tifosi non gliene importa un fico secco delle posizioni politiche di Luciano De Paola a cui Roma resta indigesta comunque, fuori dal campo per le note vicende ma anche all’interno della squadra dove Zoff lo vede poco e gli fa toccare il campo appena 6 volte, poi a novembre De Paola chiede la cessione e va a giocare all’Atalanta, lontano dalle polemiche romane, lontano dagli sguardi anticomunisti che lo vedevano come il rivoluzionario venuto dalle campagne rosse per contaminare l’ambiente di destra di una tifoseria politicamente molto schierata, al contrario di un normale calciatore, passato per comunista e invece totalmente avulso da qualsiasi connotazione.

La carriera di De Paola vivrà il suo picco dal 1996 al 1998 nel ritorno a Brescia dove conquista salvezza in serie B, promozione in A ed un ruolo importante nella massima serie nella stagione 1997-98 quando con la squadra lombarda il centrocampista calabrese non eviterà la retrocessione in B ma reciterà un ruolo importante in campo e nello spogliatoio bresciano, risultando uno degli elementi più esperti della formazione lombarda. De Paola lascerà il calcio giocato nel maggio del 1999 dopo un ultimo campionato in C2 nel Pergocrema, prima di intraprendere la carriera di allenatore con buoni risultati fra serie C e serie D, identico nell’aspetto con i capelli ricci e spettinati, lunghi al vento e quell’espressione da marinaio, da lavoratore, da comunista insomma, esattamente quell’etichetta che per sempre lo accompagnerà, pur non essendolo forse mai stato veramente.

di Marco Milan

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