Nobel 2016. Premio alla letteratura a Dylan, tra consacrazione e dilemmi
Il premio Nobel alla letteratura del 2016, assegnato a Bob Dylan, ha spaccato il mondo. Quello dell’intellighenzia, quello dei detrattori storici di Dylan, quello dei “un premio alla letteratura non può essere dato ad un cantautore” e poi quelli delle fazioni dell’è giusto e del perché no.
Ritengo giusto dichiarare le mie intenzioni, io sto dalla parte di quelli che lo ritengono corretto, di quelli che non si formalizzano troppo; perché dietro a certi ragionamenti ci vedo un pensiero stantio, un’idea romantica – nella peggiore delle accezioni del termine – che cozza in modo troppo forte con l’era che viviamo e che appunto non mi piace.
Il Nobel sin dalla sua nascita come premio non ha mai seguito una logica chiarissima e come è giusto che sia ha sempre generato reazioni discordanti, basti pensare ai Nobel per la pace, no? Ma allora perché un premio alla letteratura, dato a quello che probabilmente è stato – e forse sarà – uno dei più grandi e per certi versi passivi influencer della storia moderna, dovrebbe spaccare così tanto il mondo della letteratura?
Si dice che Bob Dylan, nome d’arte di Robert Allen Zimmerman cantautore statunitense nato a Duluth, non possa vincere il Nobel per la letteratura…ma perché?
Nei versi di Dylan c’è poesia, filosofia, rivolta sociale e personale, fede, e musica: è forse questa a rendere meno “nobile” l’arte scritta di Dylan? Non me ne voglia Alessandro Baricco ma è l’esempio perfetto di quell’intellighenzia di cui sopra, snob e senza capacità di guardare oltre il medium. In grado di sostenere la tesi che Dylan non ha scritto per meritare il Nobel non ha senso, i suoi testi emozionano – spesso più della musicalità degli stessi – e dietro c’è tutto il necessarie per poterli definire delle produzioni letterarie.
A questo poi si aggiunge, a favore di Dylan, una dedizione all’arte in tutte le sue forme che gli rende onore, così come la sua più volte “sbandierata” volontà di non voler rappresentare nessuno se non una immagine del suo sé, che, tra l’altro, ha più volte smaterializzato e ucciso per poi ricostruirne nuove e diverse, come la sua musica, come i suoi testi.
Ora a qualche giorno dall’annuncio del premio, Dylan non ha ancora fatto sapere nulla e forse scopriremo solo il 10 dicembre se si presenterà a ritirare il premio.
Una cosa però è certa: Dylan continuerà a dividere finché sarà in vita e per i tempi a venire, facendosi carico della responsabilità che viene assegnata a chi, nel bene o nel male, lascia una traccia indelebile a cavallo di tre generazioni. Dylan col suo tour, praticamente ininterrotto da 28 anni, ha sicuramente avuto molto da raccontare con le sue canzoni, forse più di testi di letteratura in grado di vincere premi assegnati in commissioni di pari; appare quindi corretto che chi ha cantato per la prima volta che The Times They Are A-Changin’, segni di nuovo un cambio.
Sì il Nobel alla letteratura ai cantautori può essere assegnato, senza vergogna e senza ipocrisie.
(di Francesco Galati)