Amarcord: dalla tragedia di Contigliano alla sfida con la Juve, gli anni d’oro de L’Aquila Calcio
Una sfida d’altri tempi, il profumo di un calcio che non c’è più, una storia di sport ma anche di vita, una partita di calcio con lo sfondo di un dramma italiano impossibile da dimenticare.
A L’Aquila nei primi anni trenta si respira aria di grande calcio: la locale squadra rossoblu, dopo la costruzione dell’avvenieristico e all’epoca moderno stadio Tommaso Fattori (attivo fino al 2016), infatti, punta alla promozione in serie B, risultato mai raggiunto fino a quel momento da formazioni abruzzesi. L’impresa riesce al termine della stagione 1933-34, ma L’Aquila non vuole smettere di stupire l’Italia. La squadra viene affidata al tecnico ungherese Joseph Ging ed al primo storico torneo cadetto si piazza addirittura al quarto posto della classifica del suo girone e a soli 5 punti di distacco dal Bari capolista. La stagione successiva (la prima di serie B a girone unico) è però meno soddisfacente per gli aquilani, relegati per tutto il campionato nei bassifondi della graduatoria cadetta e con una salvezza ottenuta con relativa tranquillità da una squadra convinta di poter fare molto di più: per l’annata successiva la presidenza rafforza l’organico da mettere a disposizione del confermato allenatore, il romano Attilio Buratti; il campionato 1936-37 deve essere quello della riscossa, addirittura, si vocifera in città, quello della promozione in serie A per la compagine abruzzese a soli dieci anni dalla sua fondazione, ma la mattina di sabato 3 ottobre 1936 l’Italia si risveglia scossa da un dramma, uno dei primi a coinvolgere il mondo dello sport: alle 7:40 del mattino, una littorina si mette in viaggio dalla stazione di L’Aquila sulla ferrovia Terni-Sulmona; all’interno del convoglio, fra gli altri, c’è l’intera rosa dell’Aquila calcio che deve raggiungere Verona dove la domenica giocherà un’importantissima sfida di campionato contro gli scaligeri. All’improvviso, verso le ore 10 e nei pressi della stazione di Contigliano in privincia di Rieti, lo scontro con un treno postale proveniente da Terni, causato da un errore del capostazione di Rieti. L’impatto è terribile, la carcassa della littorina in arrivo da L’Aquila penzola paurosamente fra i binari e uno strapiombo sottostante, solo per puro miracolo non precipita nel crepaccio.
I morti sono 15, fra cui l’allenatore della squadra, Buratti, mentre i feriti gravi sono 70, compresi quasi tutti i calciatori abruzzesi. L’attaccante Marino Bon, nativo di Trieste, perde i sensi subito dopo lo scontro e viene inizialmente dichiarato morto dai soccorritori, ma il presidente aquilano Colella, giunto immediatamente sul luogo del disastro, posata una mano sulla testa del calciatore, forse in un gesto di commosso saluto, si accorge che l’atleta respira ancora, si mette a gridare e richiama l’attenzione dei sanitari che prestano immediatamente le cure al ragazzo, salvandogli la vita. La tragedia è immane per l’Italia e per la squadra abruzzese che perde l’intera rosa di 13 calciatori, feriti gravemente, molti dei quali non torneranno mai più a giocare a calcio. Solamente tre giocatori scampano all’incidente: gli squalificati Brindisi e Michetti, e il portiere di riserva Stornelli che non aveva sentito la sveglia e non era riuscito a raggiungere in tempo la stazione. Il mondo dello sport si mobilita per aiutare la formazione rossoblu: la FIGC propone all’Aquila la salvezza d’ufficio senza disputare le restanti partite del campionato di serie B, ma la dignità della società abruzzese è altissima e il presidente rifiuta l’onorevole invito della federazione affermando con orgoglio: “La mia squadra finirà regolarmente la stagione, la salvezza proveremo a conquistarla sul campo e senza regali”. Il calciomercato viene straordinariamente riaperto solo per i rossoblu a cui viene consentito di tesserare calciatori svincolati o in esubero da altre società, a patto di non aver ancora giocato neanche un minuto in campionato, mentre in panchina arriva l’ungherese Andràs Kuttik. La stagione, tuttavia, finisce male per L’Aquila che retrocede in serie C a causa di un attacco anemico e della difficoltà di giocare le gare in mezzo alla settimana insieme a quelle domenicali e rese necessarie per i recuperi del mese di inattività successivo al disastro ferroviario. Una retrocessione moralmente ingiusta ma caratterizzata da un orgoglio immenso del popolo aquilano, unito attorno alla squadra di calcio che con dignità e coraggio lotta contro avversari e destino.
Ma L’Aquila vuole tornare immediatamente in serie B: nel campionato successivo al disastro di Contigliano e alla retrocessione, la formazione abruzzese, ancora guidata da Kuttik, sfiora la promozione che svanisce solo all’ultima giornata e a vantaggio della Salernitana. Ma la stagione 1937-38, nonostante la cocente delusione per il mancato ritorno in serie B, verrà ricordata per sempre per l’epico cammino in Coppa Italia dove i rossoblu fanno strada nonostante l’organico di serie C: gli abruzzesi, superato il turno preliminare, infatti, affrontano la Juventus nei sedicesimi di finale allo stadio Comunale di Torino, ribattezzato stadio Mussolini per l’epoca. L’Aquila si sente parzialmente ripagata da questa sfida dopo il dramma ferroviario e la retrocessione dell’anno prima: nonostante il testa a testa in campionato con la Salernitana, i rossoblu stanno onorando la Coppa Italia e vogliono mettere paura alla compagine juventina. E’ l’8 dicembre 1937 quando Juventus e L’Aquila scendono in campo per la loro partita della coppa nazionale: dopo 5 minuti gli abruzzesi vanno in vantaggio con Battioni e nel corso del primo tempo sprecano almeno tre palle gol nettissime per raddoppiare, la Juve sbanda e rischia il tracollo. Ma nel calcio, si sa, chi sbaglia paga e Juventus-L’Aquila non fa eccezione alla regola: una volta riassestata tatticamente, la squadra bianconera segna 4 gol, vince la partita e manda a casa gli aquilani con le pive nel sacco e qualche rammarico per una gara che con un po’ più di cinismo avrebbero potuto vincere. Resta l’orgoglio e la tenacia di aver tenuto testa allo squadrone juventino che vincerà quella Coppa Italia nel derby in finale contro il Torino, prima coppa per la formazione bianconera nella sua storia.
Gli anni d’oro de L’Aquila terminano qui: la squadra abruzzese, infatti, manca l’accesso alla serie B e non tornerà più nella serie cadetta, vivendo annate di anonimato e svariati campionati nei dilettanti fra l’indifferenza generale di un’Italia che forse neanche conosce la storia dell’orgoglioso L’Aquila anni trenta. Solo nella stagione 2000-2001, la compagine rossoblu torna a ruggire nel campionato di serie C1: guidata dal tecnico Paolo Stringara, ex centrocampista dell’Inter di Trapattoni, la squadra abruzzese termina il girone d’andata al primo posto della classifica grazie soprattutto ai gol del bomber Davide Di Nicola. Nella seconda parte dell’annata, tuttavia, L’Aquila perderà terreno calando notevolmente alla distanza e chiudendo il torneo con un deludente nono posto, fuori anche dai playoff promozione. Un ritornello tristemente noto a L’Aquila, una città ed una tifoseria orgogliosa, toccata e segnata da un incidente che ha tagliato le gambe ad una squadra forse destinata a grandi traguardi, senza toglierle dignità e voglia di lottare, con la speranza un giorno di tornare a quei fasti ingiustamente interrotti.
di Marco Milan