I rapporti Turchia-Russia dopo l’assassinio dell’ambasciatore Karlov
I rapporti tra Ankara e Mosca dopo l’uccisione del diplomatico Karlov: per alcuni è un tentativo di far fallire l’intesa di pace in Siria o un atto terroristico per danneggiare i legami tra Mosca e Ankara, per altri semplicemente l’azione scellerata di un lupo solitario.
Lo scorso 19 dicembre l’ambasciatore russo ad Ankara Andrey Karlov è stato ferito a morte mentre teneva un discorso alla Galleria di Arte contemporanea in occasione della mostra fotografica “La Russia vista dai turchi”. Un video mostra il momento dell’attacco. Tre le persone ferite. L’assassino ucciso dalle forze speciali turche.
Mevlut Mert Altintas, l’uccisore, aveva 22 anni, era un diplomato dell’accademia di polizia di Smirne e faceva parte delle unità anti-sommossa di Ankara. In due occasioni aveva anche prestato servizio nella scorta del presidente Recep Tayyip Erdogan. Al momento dell’attentato ai danni del diplomatico, con la pistola in pugno ha gridato “Non dimenticatevi di Aleppo, non dimenticatevi della Siria“. Poi l’urlo “Allah Akbar“.
Russia e Turchia hanno subito reagito al fine di contenere ogni eventuale speculazione politica, economica e diplomatica individuando – dietro l’attentato – un possibile tentativo di cospirazione e confermando diversamente, tutti gli incontri negoziali previsti sul conflitto siriano (ad esempio, l’incontro tra Russia, Turchia e Iran sulla Siria di martedì 27 dicembre).
“Si è trattato di un attentato pianificato, volto a minare i rapporti tra Mosca e Ankara. Ma il gioco non riuscirà“, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.
“Una provocazione per far deragliare le relazioni russo-turche e il processo di pace in Siria“, aveva già detto Vladimir Putin subito dopo il tragico evento.
La convinzione russa è che l’uccisione “in diretta” del diplomatico sia un atto terroristico volto a “colpire e indebolire la nostra attività contro il terrorismo internazionale“, ha spiegato il ministro della Difesa Sergei Shoigu.
Il quotidiano russo filo-governativo – Komsomolskaya Pravda – intervistando diversi esperti, ha concluso che non c’è motivo di incolpare la Turchia per l’assassinio di Karlov. “Se lasciamo che i rapporti con Ankara si deteriorino, facciamo il gioco dei terroristi che hanno organizzato l’attentato”.
Tali dichiarazioni inducono a pensare che l’assassinio dell’ambasciatore Karlov potrebbe “giovare” al legame tra Russia e Turchia. Così Alexey Malachenko, responsabile della divisione sicurezza e rapporti con l’Islam del think tank Carnegie di Mosca “Si infittirà lo scambio di informazioni, grazie anche all’inchiesta su quanto avvenuto ad Ankara. La cooperazione e la solidarietà tra Mosca e Ankara per combattere il terrorismo adesso sarà maggiore, come ha subito detto anche Erdogan. E si aumenterà l’impegno nelle trattative in corso sulla Siria“.
Nessun raffreddamento nei rapporti russo-turchi, dunque. Russia e Turchia unanimemente hanno rinunciato alle accuse reciproche e hanno deciso di continuare le loro strategie mediorientali, il loro impegno nella lotta internazionale e la loro politica sulla Siria. Nessuna “conflagrazione” in vista tra Mosca e Ankara, quindi. Il conflitto siriano avrebbe già potuto innescare un’escalation di violenza tra i due Paesi ma in realtà, in questo come in altri casi, a prevalere sembra essere il realismo della politica estera intesa come strumento di raggiungimento di precisi obiettivi nazionali e di tutela di specifici interessi.
L’uccisione dell’ambasciatore è stata presa a pretesto da Mosca per legittimare il suo ruolo nella lotta internazionale al terrorismo e convincere Donald Trump ad appoggiare la sua strategia siriana, cioè la presenza militare nonché politica dei russi in Siria e più in generale sullo scacchiere mediorientale. “Quanto dichiarato dal presidente-eletto statunitense riguardo alla necessità che la comunità internazionale ripensi il suo atteggiamento rispetto al terrorismo è in sintonia con quanto il presidente della Federazione Russa invoca da almeno 15 anni: una maggiore cooperazione tra gli Stati nella lotta contro la più pericolosa sfida del nostro secolo”“, ha detto il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov. “Neanche la più potente forza economica e militare è in grado di combattere il terrorismo da sola: può essere fatto solo lavorando insieme”, ha aggiunto Peskov.
L’assassinio del diplomatico è l’ultimo episodio, in ordine di tempo, che interferisce nelle relazioni diplomatiche tra Russia e Turchia.
Dopo mesi di scontri e tensioni che hanno raggiunto l’apice nel novembre 2015 con l’abbattimento di un jet russo, Russia e Turchia hanno lavorato per ripristinare “la normalità delle relazioni”, in particolar modo puntando su politiche anti-terrorismo condivise e sulla ricerca di una soluzione per la guerra in Siria.
Dopo l’annessione russa della Crimea (febbraio 2014), momento più critico dei rapporti tra Mosca e l’Occidente, Putin nel dicembre 2014 compie una visita ufficiale in Turchia. In quell’occasione, molti esperti hanno parlato della nascita di un asse Mosca-Ankara. La Turchia, che aveva rifiutato di partecipare alle sanzioni occidentali contro la Russia, veniva invitata da Putin a partecipare al progetto “Turkish Stream” (attraverso il quale fornire l’Europa di gas russo e i cui lavori per il primo tratto saranno terminati nella seconda metà del 2019) destinato, nelle intenzioni del presidente russo a rimpiazzare il gasdotto “South Stream”, vittima dell’andamento dei rapporti tra Russia e Unione europea.
Tuttavia, esistono tra i due Paesi, divergenze geo-strategiche che sono antecedenti e che risalgono alla guerra tra Russia e Georgia (2008). La stessa occupazione della Crimea ha modificato i rapporti di forza nel Mar Nero rendendo la Russia, a danno della Turchia, il principale attore dell’area. Poi, in occasione delle “primavere arabe”, Ankara si è schierata con le forze rivoluzionarie in Tunisia, Libia, Egitto e Siria mentre Mosca ha sostenuto Gheddafi, l’egiziano generale golpista al-Sisi e il presidente siriano al-Assad.
Da ultimo, la decisione di Putin (settembre 2015) di inviare forze aeree e terrestri in Siria a supporto di al-Assad ha sorpreso il governo di Ankara, che negli ultimi anni aveva deciso di muoversi verso il rovesciamento del regime siriano (anche pagando il prezzo, eventuale, di avere rapporti con interlocutori ambigui come il Fronte al-Nusra o lo Stato islamico).
L’abbattimento del bombardiere russo poi, ha avuto profonde ricadute sui rapporti politici ed economici. Le sanzioni decise da Putin in reazione all’incidente hanno limitato fortemente l’esportazione turca in Russia e ridimensionato il turismo russo in Turchia.
Ciò nonostante, l’interdipendenza reciproca continua: le forniture di gas non hanno subito cambiamenti sostanziali e mentre continua la costruzione della centrale nucleare di Akkuyu (finanziata per oltre il 90% dai russi), nonostante voci contrarie.
Infine, la Turchia ha assicurato che le sue incursioni nel nord della Siria non interferiranno con l’assedio russo e delle milizie pro-Assad ad Aleppo (dove sono state denunciate gravissime violazioni dei diritti umani). Un compromesso che permette di superare le principali divergenze tra Ankara e la Russia sul conflitto siriano: l’appoggio di Mosca al dittatore siriano Bashar al-Assad (inviso alla Turchia) e l’opposizione turca al separatismo curdo sostenuto da Mosca.