Amarcord. Italia ’90, le notti magiche degli Emirati Arabi Uniti
Di storie piccole in un mondi grandi è piena la letteratura calcistica, specialmente ai campionati del mondo dove sovente si è assistito a sorprese, minuscole realtà che hanno provato a sovvertire i pronostici: dal Camerun nel 1990 al Senegal nel 2002, passando per la Bulgaria nel 1994 e arrivando alla Costarica nel 2014. E poi ci sono quelle storie che calcisticamente valgono meno, ma restano negli annali per la loro unicità, per il valore di aver rappresentato un popolo anche se per una manciata di giorni, storie di cui nessuno ricorda granchè ma che finiscono di diritto nella storia dello sport più appassionante che esista.
Alla vigilia dei campionati del mondo italiani del 1990 non si parla che delle favorite alla vittoria finale: la Germania Ovest di Klinsmann e Matthaus, l’Olanda dei tre campioni del Milan, Gullit, Rijkaard e Van Basten che è campione d’Europa in carica, l’Argentina di Maradona e naturalmente l’Italia padrona di casa. Ma si guarda con curiosità anche alle possibili sorprese e alle nazionali esordienti: c’è la Costarica che si è ritrovata in Italia per caso grazie alla squalifica del Messico, c’è l’Eire e poi c’è la nazionale degli Emirati Arabi Uniti, qualificata per l’Asia assieme alla Corea del Sud. La storia della compagine emiratina nasce da lontano, dal girone di qualificazione preliminare partito nel gennaio del 1989 quando i mondiali italiani erano ancora lontani e l’approdo per la ricca ma calcisticamente povera nazione araba ancora una chimera. Gli Emirati Arabi vengono dapprima inseriti in un raggruppamento con Pakistan, Kuwait e Yemen del Sud: un girone tutto sommato abbordabile che parte però male con la sconfitta in Kuwait per 3-2, sovvertita poi dalle successive tre vittorie nelle restanti gare che consentono alla nazionale in maglia biancorossa di qualificarsi come prima nel girone e passare al turno successivo. E’ una squadra compatta e che segna molti gol, guidata in panchina da Mario Zagallo, ex calciatore e poi tecnico del Brasile. La nazione, poi, è particolare: una penisola di 7 emirati in cui spopolano lusso, sfarzo e ricchezza, garantiti dai giacimenti di petrolio scoperti ad Abu Dhabi e a Dubai all’inizio degli anni sessanta, epoca dalla quale le due città sono state rinominate le New York del Golfo Persico. Il calcio è un passatempo, soprattutto quello locale che non sa produrre talenti degni di nota, mentre la passione è per i grandi calciatori d’Europa e Sud America che gli sceicchi vorrebbero portare sulle coste del golfo. Ci riusciranno con qualcuno una ventina d’anni dopo Italia ’90.
Eppure negli Emirati qualcosa cambia con l’accesso al girone finale di qualificazione per i mondiali: il raggruppamento comprende 6 squadre e le prime due classificate staccheranno i due biglietti per i mondiali riservati alla zona asiatica. Oltre agli Emirati Arabi ci sono i cugini dell’Arabia Saudita, la Cina, il Qatar e le due Coree; favoritissime sono proprio la Corea del Sud e l’Arabia Saudita, mentre Emirati Arabi e Qatar sono le possibili rivelazioni. Tutto facile per i coreani che vincono il raggruppamento senza sconfitte, mentre la lotta per il secondo posto è acerrima con Emirati Arabi e Qatar in lotta serrata e con Cina ed Arabia Saudita dietro a non mollare il colpo. Le partite sono secche e si giocano tutte in campo neutro, a Singapore, gli Emirati Arabi la spuntano per un soffio, grazie al particolare ruolino di marcia che riescono a tenere nelle 5 gare: un solo successo (2-1 sulla Cina), 4 pareggi e nessuna sconfitta, mentre per il Qatar è decisivo il ko contro la Corea del Nord fanalino di coda. Gli Emirati Arabi si qualificano a sorpresa ma con merito per i mondiali italiani, una nazionale tutta da scoprire, con tanti punti interrogativi ed uno scossone improvviso proprio a ridosso della rassegna internazionale: a gennaio, infatti, la federazione licenzia il tecnico Zagallo e pesca il suo sostituto sempre in Brasile, chiamando in panchina Carlos Alberto Parreira, altro ex commissario tecnico della Seleçao e che diventerà campione del mondo alla guida dei verdeoro nel 1994. Solo un mese prima si erano svolti i sorteggi della fase finale e la nazionale araba si trova inserita nel gruppo D assieme alla Germania, alla Jugoslavia e alla Colombia, un girone difficile, duro ed impegnativo per la nazionale asiatica che però sapeva già dall’inizio che l’avventura mondiale si sarebbe rilevata assai complicata.
Il 9 giugno 1990 alle ore 17 parte l’esperienza degli Emirati Arabi Uniti ai campionati del mondo: allo stadio Dall’Ara di Bologna si apre il girone D con la sfida fra la nazionale asiatica e la talentuosa Colombia di Maturana che annovera fra le sue fila calciatori come Valderrama, Rincon e il bizzarro ma carismatico portiere Higuita. La nazionale degli emiri non ha talenti e punta tutto sulla compattezza e sull’organizzazione, le armi che le hanno permesso di arrivare in Italia. Sugli spalti la predominanza è di tifosi colombiani, peraltro rumorosi e variopinti, contrapposti alla sobrietà e alla compostezza dei pochi sostenitori arabi presenti a Bologna. La gara è più equilibrata del previsto, la Colombia sembra patire il ruolo di favorita e il ritorno ai mondiali a 28 anni di distanza dall’ultima partecipazione in Cile nel 1962; il primo tempo termina 0-0, gli Emirati Arabi tutto sommato offrono uno spettacolo decente, soprattutto in relazione alle poche qualità a disposizione. All’inizio della ripresa, però, da un’azione di calcio d’angolo in favore dei colombiani, la difesa di Parreira sbaglia completamente il fuorigioco e Redin insacca di testa l’1-0; gara sbloccata ed ora in discesa per i sudamericani che sprecano il raddoppio in un paio di occasioni e poi lo siglano a cinque minuti dal termine grazie ad una sgroppata di Valderrama, conclusa da un tiro ad effetto dal limite dell’area da parte del biondo numero 10 colombiano. Finisce così 2-0, gli Emirati tornano negli spogliatoi senza punti, senza gol ma con la dignità di aver perso con l’onore delle armi e senza sfigurare. Sarà per la prossima volta, dice Parreira nel dopo partita.
La prossima volta arriva il 14 giugno, stadio San Siro ore 21, di fronte Germania ed Emirati Arabi. Partita proibitiva per la nazionale biancorossa, anche perchè lo stadio milanese spinge i tre interisti Klinsmann, Matthaus e Brehme, mostrando, oltre ai tifosi tedeschi, anche la predominanza di italiani a favore della compagine europea. Il dislivello fra le due formazioni è evidente, i campioni tedeschi assaltano subito la porta difesa da Musabah e in un minuto, fra il 35′ e il 36′, portano la Germania sul 2-0 grazie a Voller e Klinsmann, entrati come una lama nel burro nella difesa emiratina. Tutto finito? Non proprio, perché al primo minuto della ripresa l’attaccante Khalid Ismail scrive il suo nome nella storia della nazionale degli Emirati Arabi realizzando la prima storica rete dei biancorossi ai mondiali e riaprendo, almeno teoricamente, la partita. Festa grande per la squadra araba, capace almeno di togliersi la soddisfazione di aver fatto gol ai mondiali e ad una nazionale blasonata ed affermata come quella tedesca. La gioia dura una sessantina di secondi, perchè rimessa la palla al centro, la Germania va immediatamente sul 3-1 con Matthaus, una rete che taglia le gambe agli Emirati Arabi Uniti che subiscono pure il 4-1 di Bein e il 5-1 finale ancora di Rudi Voller; la Germania passeggia sugli arabi, scriveranno i giornali il giorno dopo, eppure la squadra di Parreira è apparsa meno scarsa del previsto, forse un po’ sprovveduta in difesa, ma del resto la Germania ne aveva fatti 4 anche alla Jugolsavia nella prima partita, segno che probabilmente i futuri campioni del mondo non potevano e non possono essere il termine di paragone migliore per valutare la consistenza degli emiratini che però, alla resa dei conti, dopo due giornate sono di fatto eliminati dalla competizione, senza poter sperare neanche nel ripescaggio come una delle migliori terze.
L’ultima gara si gioca il 19 giugno a Bologna contro la Jugoslavia che invece di motivazioni ne ha ancora e vuole qualificarsi come seconda dietro la Germania, evitando i rischi del ripescaggio con la paura di restare fuori. La sfida parte malissimo per gli arabi, sotto di due gol dopo dieci minuti: segnano Susic e Pancev, poi al 20′ la nazionale di Parreira va in rete con il centrocampista Ali Thani, secondo calciatore a segnare ai mondiali per gli Emirati Arabi e che legherà a questo gol la sua unica gioia in nazionale. Quindi il copione ricalca quello già visto contro la Germania, ovvero la squadra araba cede e la Jugoslavia segna ancora con Pancev e nel finale con Prosinecki: 4-1, gli Emirati Arabi Uniti tornano a casa con zero punti, 2 gol segnati e 11 subiti, tutto sommato un epilogo già scritto e, sotto sotto, anche messo in preventivo dall’intera nazione, consapevole dei propri limiti.L’esperienza mondiale degli Emirati Arabi dura lo spazio di tre partite, nulla di impressionante, nessun calciatore da segnalare, forse solamente gli autori dei due gol, tenuti presenti probabilmente solo ai fini statistici, lo stesso Parreira, che chiuderà proprio con Italia ’90 la sua breve avventura araba, poco altro avrebbe potuto fare alla guida di una nazionale fondamentalmente mediocre e con nessun calciatore in grado di fornire spunti e guizzi degni di nota.
La storia degli Emirati Arabi ai mondiali passa quasi inosservata nelle notti magiche di Italia ’90, fra i gol di Schillaci, le polemiche e la delusione di Italia-Argentina, le lacrime di Maradona dopo la finale persa contro la Germania sotto i fischi dell’Olimpico durante l’inno nazionale argentino; eppure, nelle piccole storie di calcio c’è spazio per una nazionale povera di talento, a dispetto della ricchezza del paese, di una nazionale orgogliosa e dignitosa, nonostante tre sconfitte su tre e nonostante ad oggi non sia mai più tornata alla ribalta mondiale, pur di fronte all’allargamento della competizione che ha regalato all’Asia altri due posti più la possibilità di vincere qualche spareggio intercontinentale. Nell’autunno del 1990, il Bari (che ha sulle maglie lo stesso sponsor tecnico degli Emirati Arabi ai mondiali) sfoggia in serie A la stessa identica tenuta della nazionale araba ai campionati del mondo: qualcuno sorride, qualcuno neanche ci fa caso, eppure quella similitudine cromatica appare come il commiato e il saluto della compagine emiratina all’Italia.
(di Marco Milan)