Italicum: le motivazioni della Corte Costituzionale

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Pubblicate le motivazioni della sentenza della Consulta che ha decretato la parziale incostituzionalità dell’Italicum. Una o più leggi elettorali? L’importante è la garanzia di “maggioranze parlamentari omogenee”

Lo scorso 25 gennaio la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’Italicum, la legge elettorale del governo Renzi, oggetto principale delle discussioni politiche degli ultimi giorni. La sentenza della Consulta ha dichiarato tale legge parzialmente incostituzionale e ne ha modificato, di fatto,alcune caratteristiche essenziali. In breve, stop al ballottaggio ma nessun dubbio sulla legittimità del premio di maggioranza, assegnato al partito che raggiungerà il 40% delle preferenze; via libera ai capilista bloccati e attenzione alla garanzia di maggioranze omogenee tra Camera e Senato, alla luce dei risultati referendari del 4 dicembre 2016.

All’indomani della pubblicazione delle motivazioni della sentenza, proprio l’aspetto relativo alle maggioranze omogenee ha catturato l’interesse generale dei partiti. Uno dei passaggi centrali contenuti nelle 99 pagine di motivazioni, infatti, afferma che la Costituzione”se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”. Tale monito, di fatto, sancisce la possibile coesistenza di due sistemi elettorali: l’Italicum per la Camera e il Consultellum per il Senato.

In merito alla bocciatura del ballottaggio, invece, la Consulta ha indicato come motivazione la necessità di “non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell’assemblea elettiva e l’eguaglianza del voto”. Secondo quanto espresso nell’Italicum, infatti, una lista che ha ottenuto un consenso piuttosto basso, può comunque accedere al turno di ballottaggio e ottenere il premio, così da raddoppiare i seggi conseguiti sulla base dei voti del primo turno. Per i giudici, tale processo produrrebbe “un effetto distorsivo analogo a quello che questa corte aveva individuato nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente” riferendosi al Porcellum, divenuto poi Consultellum.

La Consulta ha poi espresso favore per l’assegnazione del premio di maggioranza alla lista che ottiene al primo turno il 40%. Tale condizione non è irragionevole in quanto, spiega la motivazione della Corte, “consente di attribuire la maggioranza assoluta dei seggi in un’assemblea rappresentativa alla lista che abbia conseguito una determinata maggioranza relativa”. Infine, in relazione al sistema di capilista bloccati, la Consulta ha affermato che si tratta di un sistema diverso dai criteri, bocciati in precedenza, del Porcellum che “imponevano all’elettore di una lista di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati – che non aveva avuto modo nè di conoscere nè di valutare”. Nel caso dell’Italicum i capilista bloccati non determinano “una lesione della libertà del voto dell’elettore”.

Dunque, all’indomani della sentenza e delle motivazioni, la situazione elettorale risulta piuttosto chiara: l’Italia non presenta alcun vuoto l’elettorale se si considera l’applicabilità dell’Italicum per la Camera e del Consultellum per il Senato. L’importante, spiega la Consulta, non è utilizzare un unico sistema elettorale ma fare in modo che sia garantita la formazione di maggioranze parlamentari omogenee per i due rami del Parlamento.

Per quel che riguarda i tempi di arrivo alle urne, la Corte Costituzionale si tiene ben lontana da qualsiasi polemica e lascia la palla ai partiti. La Consulta, infatti, afferma semplicemente che non è necessario che le due leggi elettorali siano identiche per andare a votare; l’importante, come già sottolineato, è la garanzia delle maggioranze omogenee.

Resta, dunque, totalmente aperta la lotta tra le fazioni del “voto a giugno” e del “voto nel 2018”. Da questo punto di vista, infatti, tanto la sentenza quanto le motivazioni non hanno rappresentato un gancio utile a sostenere l’una o l’altra posizione politica.

Ora, parola al Parlamento che dovrà decidere, in queste condizioni, se legiferare nuovamente oppure scegliere la via delle elezioni con una doppia legge elettorale.

(di Giulia Cara)

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