La Giornata nazionale antimafia è festa nazionale
Lo Stato, si sa, ha bisogno dei suoi tempi, mentre le cosche mafiose continuano a colpire: a Palermo nuove scritte infamanti contro don Ciotti
Ci volevano il sì della Camera e sei legislature perché la Giornata in ricordo delle vittime di mafia diventasse festa nazionale. Dopo due decenni di storia e circa 1000 uomini e donne uccisi dalla mafia – colpevoli soltanto di non aver voluto piegare il capo alle minacce o di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato – è arrivata la notizia tanto attesa da Libera e soprattutto dai familiari delle vittime.
Alla vigilia dell’annuale appuntamento del 21 marzo (quest’anno a Locri), una legge dello Stato, approvata all’unanimità dalla Camera dei Deputati, ha ufficialmente riconosciuto la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafie”.
Un risultato sperato, inseguito, una richiesta lanciata dai palchi di tutte le città dove in questi anni si è celebrato il ricordo delle vittime innocenti proprio il 21 marzo, primo giorno di primavera.
“Si potrebbe obiettare che l’istituzione di una giornata della memoria possa rappresentare solo una formale occasione di ricordo, simile a tante altre; che essa possa rapidamente trasformarsi in una ipocrita e vuota celebrazione piuttosto che in un momento di vero e sentito cordoglio; che la lotta alle mafie necessiti di ben altro per essere continuata e vinta” è il commento del presidente del Senato Pietro Grasso.
Lo Stato, si sa, ha bisogno dei suoi tempi per vedere, riconoscere, ammettere le cose: è accaduto per il riconoscimento della presenza della mafia in alcune regioni d’Italia (in altre questo iter è ancora in corso) e per la sua condanna da parte della magistratura. Tuttavia, dall’altro lato della barricata ci sono le cosche mafiose che non perdono tempo: è delle ultime ore la notizia della comparsa di scritte infamanti contro Don Ciotti, il sacerdote in prima fila contro le mafie e fondatore di Libera.
“Sbirri siete voi, don Ciotti secondino” si legge sui muri di Palermo, appena una settimana dopo quelle comparse a Locri, la stessa città dove il sacerdote è stato sostenuto da 25mila persone. Un messaggio scritto all’ingresso di un’area pubblica intitolata a Rosario Di Salvo, il collaboratore di Pio La Torre ucciso con lui nell’agguato mafioso del 30 aprile del 1982. Su un muro accanto: “Dalla Chiesa assassino”, in riferimento al prefetto ucciso da Cosa Nostra.
Sempre a Locri, don Ciotti aveva sottolineato con forza: “Oggi a Locri siamo tutti sbirri. Ricorderemo tanti nomi di esponenti delle forze dell’ordine che hanno perso la vita e nessuno li può etichettare e insultare. Ci vuole una rivoluzione culturale, etica e sociale che ancora manca nel nostro Paese perché non è possibile che da secoli ancora parliamo di mafia”. Una rivoluzione culturale troppo spesso richiamata, bramata, sudata, in un Paese che probabilmente non è ancora pronto ad aprire gli occhi.
Concludendo la manifestazione di Locri don Ciotti si era scagliato anche contro l’omertà che “uccide la verità e la speranza. La prima mafia si annida nell’indifferenza, nella superficialità, nel quieto vivere, nel girarsi dall’altra parte”. Contro l’omertà e l’indifferenza, è stato il monito di don Ciotti, non serve l’eroismo ma “coraggio e umiltà che richiedono generosità e responsabilità”.
(di Anna Piscopo)