Addio a Stefano Rodotà, una vita per il diritto
Giurista e uomo politico, è morto a Roma all’età di 84 anni, dopo una malattia vissuta con discrezione e dignità. Ha dedicato tutta la vita allo studio e alla difesa dei diritti
È stato molto più di un illustre giurista. Il ritratto di Stefano Rodotà va ben oltre la sua carriera accademica. In prima fila per la tutela dei diritti, individuali e collettiva, è stato un intellettuale brillante al passo con i tempi, animato da una fervida passione civile e politica. A pochi giorni dalla sua scomparsa, il ricordo della sua vita fa apprezzare ancora di più l’operato di un uomo libero e vivace, un punto di riferimento per generazioni di studenti e per la cultura del nostro Paese. “Sono considerato un ‘maniaco dei diritti’, perché questi fanno parte della nostra persona e della nostra vita”, aveva detto agli studenti di un liceo classico romano alcuni anni fa.
Lunedì 26 giugno, la sua Università, la Sapienza di Roma, ha voluto salutare Rodotà per l’ultima volta con una cerimonia laica che si è svolta nella Facoltà di Giurisprudenza, dove si era laureato nel 1955. A rendergli omaggio, nel luogo in cui aveva insegnato a lungo diritto civile, molti rappresentanti delle istituzioni e tanta gente comune, che sabato e domenica scorsi avevano affollato la camera ardente allestita a Montecitorio. Il Rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio, intervenendo alla cerimonia funebre, ha voluto ricordarlo come “un professore che ha saputo interpretare con coerenza e impegno straordinari i principi costituzionali, facendo dell’insegnamento una missione al servizio dei giovani a cui non ha mai fatto mancare ascolto e consigli”.
Stefano Rodotà era nato a Cosenza nel 1933, da una famiglia di origine italo-albanese. Dopo la laurea in legge, rifiuta un’offerta di lavoro da parte di Adriano Olivetti e inizia a collaborare con diversi giornali e riviste, tra cui “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Oltre a una brillante carriera accademica (docente a Roma, Macerata e Genova, e in molte università europee, negli Stati Uniti, in America Latina, Canada, Australia e India) ha ricoperto importanti cariche politiche ed istituzionali. Amico di Marco Pannella, nel 1976 e nel 1979 rifiuta la candidatura nel Partito Radicale e nel ‘79 viene eletto deputato come indipendente nelle liste del PCI. Nominato nel 1989 Ministro della Giustizia nel governo ombra di Achille Occhetto, nell’aprile del 1992 siede tra i banchi del PDS, viene eletto Vicepresidente della Camera dei deputati, sostituendo Oscar Luigi Scalfaro proprio alla presidenza durante la votazione per l’elezione al Quirinale. Lo stesso Rodotà, nel 2013 è tra i “papabili” per la carica di Presidente della Repubblica. Candidato del Movimento 5 Stelle, ai primi posti nelle “Quirinarie” online dei pentastellati, viene votato da M5S, Sinistra Ecologia Libertà e alcuni parlamentari del Pd. Non abbastanza per occupare la più alta carica dello Stato: Giorgio Napolitano verrà rieletto al secondo mandato. Prima osannato poi attaccato da Beppe Grillo, viene definito dal leader del Movimento “un ottuagenario miracolato dalla Rete”, reo di avere mosso delle critiche al M5S sulla perdita di voti alle elezioni comunali di quell’anno.
Dal 1997 al 2005 è stato il primo a ricoprire il ruolo di Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. “Il nostro Paese – e non solo – deve a lui molto, quasi tutto, di quel diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, che rappresenta sempre di più la garanzia di libertà nella società digitale”, ha affermato l’attuale Presidente Antonello Soro, appresa la notizia della scomparsa, ricordandone il contributo insostituibile. Rodotà era e resterà una figura autorevole nel dibattito pubblico, uno dei massimi esperti di diritto nel panorama nazionale ed internazionale. Non aveva mai rinunciato a dire la sua, come quando si era opposto alla cosiddetta “legge bavaglio” sulle intercettazioni dell’ultimo governo Berlusconi o, più di recente, si era schierato con il “No” alla riforma costituzionale voluta da Renzi nel dicembre 2016.
Strenuo difensore della Costituzione, si è sempre distinto per autorevolezza e professionalità, fino all’ultimo, anche durante la malattia, vicenda tenuta il più possibile privata. La figlia Maria Laura, editorialista del Corriere della Sera, ha voluto ringraziare, con un post su Facebook, i medici che hanno aiutato suo padre “ad andare via senza star troppo male”, garantendogli “un diritto a cui teneva, il diritto a morire con dignità”. Quella stessa dignità che il noto giurista poneva a fondamento del diritto, come aveva esplicitato anche nel prologo del suo libro “Il diritto di avere diritti”, la summa del suo pensiero. «Il “diritto di avere diritti” connota la dimensione stessa dell’umano e della sua dignità, rimane saldo presidio contro ogni forma di totalitarismo», diceva. «I diritti parlano – sosteneva Rodotà – sono lo specchio e la misura dell’ingiustizia, e uno strumento per combatterla [….]».
Nelle sue pubblicazioni, Stefano Rodotà si era soffermato soprattutto sul diritto alla conoscenza, indagando le implicazioni tra l’accesso ai dati e la libertà delle persone. Si era occupato anche di bioetica, eutanasia, diritti fondamentali dell’Unione europea, solo per citare alcuni dei temi a lui più cari. Aveva parlato del rapporto tra democrazia e nuove tecnologie dell’informazione, riflessione confluita nel celebre scritto “Tecnopolitica”. L’eredità che lascia è enorme. Resterà il ricordo di un uomo di grande spessore, sempre proiettato verso il futuro, un paladino della libertà, che “ha saputo coniugare la coerenza e la fermezza delle proprie convinzioni con una non comune capacità di dialogo, anche con le posizioni più distanti dalle sue”, come ha sottolineato la Presidente della Camera, Laura Boldrini, commemorando il compianto giurista ed ex parlamentare nell’Aula di Montecitorio.
(di Elena Angiargiu)