Amarcord: Paulo Futre, un talento al servizio degli infortuni
Può un calciatore passare da miglior atleta dell’anno del proprio paese a comparsa del panorama internazionale, cadendo nel dimenticatoio? Può se si chiama Paulo Futre e se nella sua carriera ha dovuto combattere più contro le sue ginocchia che contro gli avversari, in un calvario continuo e senza fine.
Classe 1966, Paulo Futre è un talento portoghese, dotato di tecnica sopraffina ed imprevedibilità, notato fin da bambino dai principali club lusitani. Lo Sporting Lisbona lo inserisce nel proprio settore giovanile e lo fa esordire in serie A nel 1983; le doti di Futre sono indiscutibili: gioca come attaccante ma è anche un perfetto rifinitore, capelli lunghi al vento ed una velocità di pensiero ed esecuzione che hanno solo i fuoriclasse. Nell’estate del 1984 il Porto lo strappa allo Sporting e Futre contribuisce alla vittoria di due campionati consecutivi e soprattutto, nel 1987, della Coppa Campioni vinta dai portoghesi nella finale contro il Bayern Monaco nella quale il numero 10 del Porto fa impazzire i difensori tedeschi a suon di dribbling, cambi di direzione e scatti insostenibili per gli attoniti avversari. L’estate successiva è rovente: il vulcanico patron dell’Atletico Madrid, Jesus Gil, sborsa 11 miliardi di lire (non poco per l’epoca) e si assicura le prestazioni di quel Futre che per due anni consecutivi (1986 e 1987) viene eletto miglior calciatore portoghese.
L’avvio a Madrid è folgorante: il primo derby contro il Real è indimenticabile e Futre lo rende spettacolare siglando un gol e un assist nel 4-0 finale dell’Atletico, ad oggi una delle vittorie più entusiasmanti per i biancorossi di Madrid contro i rivali cittadini. Nel 1991 e nel 1992 l’Atletico Madrid vince la Coppa di Spagna e la seconda finale, sempre contro il Real, la sblocca proprio Futre, in quel momento uno dei cinque migliori calciatori d’Europa, dotato di una rapidità fulminea, non il classico numero 10, ma neanche una seconda punta tutta rapidità e sprint: Paulo Futre è un meraviglioso ibrido, metà trequartista e metà attaccante. Nessuno sa, allora, che quella finale sarà l’apice di una carriera che da quel momento per il talento lusitano si sposta più in infermeria che sui campi da gioco. Problemi alle ginocchia iniziano a tormentare Futre che man mano perde ritmo, forma fisica e fiato, finendo spesso e volentieri in panchina; lasciato l’Atletico Madrid, il fuoriclasse torna in Portogallo al Benfica, diventando uno dei pochi calciatori ad aver militato nelle tre principali squadre del paese lusitano (Sporting Lisbona, Porto e Benfica), ma l’avventura a Lisbona dura pochissimo e dopo appena 11 presenze e 3 gol, Futre fa nuovamente le valigie e passa all’Olympique Marsiglia giocando una manciata di gare senza lasciare il segno. Ancora infortunato, ma determinato a proseguire una carriera minata da guai fisici pesantissimi, il campione portoghese sceglie di ripartire dall’Italia accettando l’offerta della Reggiana, neopromossa in serie A per la stagione 1993-94.
Futre arriva a Reggio Emilia ancora malconcio, ma la città emiliana lo accoglie come una divinità: le speranze di salvezza della compagine di Marchioro dipenderanno molto dall’estro del portoghese. Futre è però sempre alle prese con le sue ginocchia malandate, rimandando così il suo debutto con la maglia granata a campionato già iniziato; è il 21 novembre 1993, infatti, quando il portoghese esordisce nella serie A italiana durante Reggiana-Cremonese, gara importantissima per le zone basse della classifica, soprattutto per gli emiliani che non hanno ancora vinto una partita fino a quel momento. La sfida è spigolosa, troppo tattica, per vincerla la Reggiana avrebbe bisogno di un guizzo estemporaneo, la gente di Reggio quel guizzo se lo aspetta proprio da Futre, sceso in campo per la prima volta con la maglia granata, la numero 10. Al 61′, Futre riceve palla sul settore di destra dell’area di rigore, con una finta si libera del diretto avversario e di sinistro batte il portiere della Cremonese, Turci: 1-0, il vecchio stadio Mirabello esplode e la Reggiana è in vantaggio. La squadra di Marchioro vincerà 2-0, ma la partità verrà per sempre ricordata come la fine della carriera di Paulo Futre che poco dopo la sua rete viene abbattuto dal terzino Pedroni mentre si sta nuovamente involando sulla fascia destra verso la porta: l’entrata è durissima, si capisce subito che l’infortunio per il portoghese è molto serio. Futre lascia il campo con le mani sul viso, il suo pianto riecheggia in tutto lo stadio, gelato da una malasorte che quel calciatore proprio non merita. Legamenti ko, stagione finita per il talento lusitano che la chiuderà con una presenza ed un gol all’attivo, contribuendo in minima parte alla storica salvezza della formazione granata.
Futre torna in campo l’anno dopo, ma non è più lui: segna pure 4 reti ma nessuno se ne accorge, anche perchè la Reggiana arriva ultima ed appare già condannata a metà stagione. Il portoghese è ormai in costante difficoltà fisica, corre poco, sembra fare i gesti al rallentatore, gli avversari hanno vita facile con lui, lo anticipano, lo superano in velocità, lui ha perso scatto ed imprevedibilità, finisce con l’affondare assieme a tutta la Reggiana. Nell’estate del 1995 Silvio Berlusconi decide di acquistare proprio Futre per il suo Milan: l’obiettivo del presidente rossonero è rimettere in sesto il portoghese grazie alle tecniche mediche all’avanguardia del potentissimo club milanista e poi affidarlo a Fabio Capello per una squadra piena di talento. “Vediamo se riuscirà a far giocare insieme Baggio, Savicevic, Weah e Futre”, dice sogghignando Berlusconi al proprio allenatore. E’ un’utopia bella e buona, e non solo per mere questioni tattiche: Futre è ormai inutilizzabile, il suo ginocchio presenta ogni giorno un conto salatissimo, si gonfia, indebolendo la gamba e non permettendo al calciatore di correre; i giornali scrivono che l’attaccante è sulla via del recupero, ma che ci vorrà ancora tempo per rivederlo in campo. Ben presto il Milan si issa in testa alla classiffica e si invola verso il quarto scudetto in cinque anni; Weah traduce in gol gli assist di Baggio e Savicevic, la difesa prende pochissimi gol come da manuale capelliano e i rossoneri si godono l’ennesimo trionfo.
Futre rimane in disparte, lavora spesso da solo, a volte coi compagni, ma è lontano anni luce dal fuoriclasse che è stato, lontano soprattutto da una condizione fisica accettabile. Il 28 aprile 1996 il Milan batte a San Siro la Fiorentina 3-1 laureandosi aritmeticamente campione d’Italia per la 15.ma volta nella sua storia; la sera l’intera rosa, allenatore compreso, è ospite della trasmissione di Italia 1, Pressing, condotta dall’indimenticato Raimondo Vianello. Fra una battuta ed un’altra, il popolare presentatore tv chiede a Capello se in studio ci sia anche Futre: “Futre c’è?”, chiede Vianello, “E’ stato determinante nello scudetto del Milan”, continua il conduttore col suo proverbiale spirito. Ma Capello la prende male: “Non è una bella cosa questa – risponde piccato il tecnico friulano – perchè Futre è un ragazzo sfortunato, ma si sta riprendendo e sono sicuro che sarà determinante con la sua nazionale ai prossimi europei”. Una difesa toccante quella di Capello nei confronti di un calciatore bravo ma terribilmente sfortunato; nessun europeo, nessuna nazionale: Futre gioca col Milan una sola partita, l’ultima di campionato, ironia della sorte proprio contro quella Cremonese con cui aveva debuttato in Italia e che, indirettamente, aveva determinato la fine della sua carriera; poi il portoghese saluta la serie A, sbarca a Londra al West Ham dove lo accologono come un re, ma dove, a parte qualche guizzo iniziale che esalta la folla britannica, non lascerà il segno, tornando all’Atletico Madrid in un triste deja vù nel 1997, giusto il tempo per ammirare le prodezze spagnole di Christian Vieri.
Paulo Futre chiude la sua storia calcistica nel 1998, giocando una manciata di partite in Giappone a Yokohama, nell’indifferenza generale, ormai appesantito e demotivato. Diversamente da altre carriere che promettevano e non hanno mantenuto, Futre non ha commesso errori: non si è allenato male, non ha ecceduto con alcol, cibo e donne, non ha peccato di presunzione, aveva perfino il carattere giusto per sfondare; i suoi unici ostacoli sono state le ginocchia, proprio gli strumenti lavorativi di un calciatore dotato tecnicamente e sulla via della definitiva consacrazione. In fondo Futre potrà dire per sempre di aver evitato tutte le gambe degli avversari, ma di essere stato sgambettato proprio dalle sue; una magra consolazione di uno dei migliori fuoriclasse del suo tempo.
di Marco Milan