Mondiali di Atletica: crolla Bolt, Italia quasi non pervenuta
Ai Mondiali di atletica, Usain Bolt mette la parola fine alla sua carriera, cedendo sui 100 e infortunandosi nella 4×100. L’Italia dei giovani resta delusa. L’unica medaglia azzurra è di Antonella Palmisano nella 50 km di marcia
È un addio da dimenticare quello che Usain Bolt ha dato al mondo dell’atletica. Ai mondiali di Londra, che dovevano essere la passerella che lo avrebbe definitivamente consacrato come leggenda, il fulmine giamaicano è apparso in grande difficoltà e ha dovuto cedere lo scettro all’avversario di sempre: Justin Gatlin. Ma non sono stati soltanto i mondiali disattesi da Bolt. Sono stati anche i campionati degli Atleti Neutrali Autorizzati, delle polemiche sull’epidemia di gastroenterite, del caso Isaac Makwala e della pressoché totale assenza di medaglie per l’Italia.
Ma iniziamo da Bolt. Lui era di certo il più atteso a Londra. Cinque anni dopo le olimpiadi disputate nella capitale inglese, il fulmine giamaicano si è presentato di nuovo a quei blocchi di partenza per ribadire la sua superiorità e per gridare al mondo, sebbene per l’ultima volta, che lui è l’uomo più veloce di sempre. Già perché i Mondiali di Londra 2017, avrebbero dovuto essere per Bolt l’ultimo impegno internazionale prima del ritiro. Nelle mente di molti, le ultime gare da professionista del campione giamaicano sarebbero state delle mere formalità, il coronamento di una carriera che lo ha visto per otto volte campione olimpico e per 11 volte con al collo un oro mondiale.
E invece non è andata proprio così, nonostante i pronostici e il tifo dei fan. Nel momento di raccogliere l’ovazione del pubblico, quando stava per fare la sua ingresso trionfale nella storia dell’atletica, “Lightning” Bolt si è spento, come se al fulmine fosse mancata la carica. Un accenno di fatica si era già visto nelle batterie dei 100, in cui il campione aveva fatto il proprio compitino, ma niente di più. Il primo crollo è avvenuto proprio nella finale della sua gara preferita. Bolt, partito come favorito, ha dovuto chinare la testa di fronte al redivivo Justin Gatlin, fischiato dal pubblico per i suoi precedenti in materia di doping, e all’altro americano, Christian Coleman. Tuttavia il vero tracollo è arrivato nella finale della 4×100. Giunti all’ultima frazione, la Giamaica era indietro, ma in molti si aspettavano il grande recupero di Bolt che, alla sua ultima gara, era atteso da tutti. Il miracolo non c’è stato e al contrario, dopo pochi metri di corsa, il campione giamaicano si è accasciato al suolo per un infortunio, riuscendo poi a tagliare il traguardo sorretto dai compagni di squadra.
Non è andata meglio a Isaac Makwala, il velocista del Botswana tra i favoriti per la gara dei 200 e per quella dei 400. Poco prima della finale dei 200, il campione africano è stato colpito da un virus, che i responsabili sanitari hanno ritenuto essere assimilabile ai diversi casi di gastroenterite verificatisi durante i campionati. Per questo motivo, a Makwala è stato negato l’accesso allo stadio olimpico per disputare la finale, con tanto di agenti che ne hanno bloccato il tentativo di ingresso. Una pagina nerissima per l’organizzazione, ma soprattutto per il velocista che a rischiato l’esclusione anche dai 400. Dopo essergli stato concesso una prova in solitaria per poter rientrare in gara, il campione si è presentato in finale allo stremo delle forze ed è stato costretto ad arrendersi agli avversari. Resa che ha riguardato anche Wayde van Niekerk, velocista sudafricano giunto a Londra con l’intenzione di diventare il nuovo Michael Johnson, vincendo 200 e 400. Purtroppo per lui, le fatiche delle batterie gli sono costate care e nel giro di pista non è andato oltre il terzo posto.
Altro tema caldo di questi mondiali londinesi è stato senza dubbio la questione degli Atleti Neutrali Autorizzati (ANA), ovvero gli atleti autorizzati dallo IAAF a partecipare alle competizioni internazionali, nonostante la squalifica per doping che ha coinvolto l’intera federazione di atletica di Mosca. Gli ANA hanno corso, marciato e saltato e tutti sapevano che erano atleti russi, anche se di fatto non si poteva dire. Nessun segno distintivo, nessuna bandiera, nessun inno che potesse richiamare il loro Paese e lo scandalo che lo ha coinvolto. Eppure loro erano lì, per correre, per marciare e per saltare, come ha fatto Marija Lasickene (oro nel salto in alto), perché quel che conta è onorare lo sport, anche se per farlo non si possono indossare i colori del proprio Paese.
E poi ci siamo noi, gli azzurri, quelli che in passato hanno avuto tra le loro file gente come Pietro Mennea, Fiona May, Stefano Baldini e Sara Simeoni. Nonostante i grandi trascorsi della nazionale italiana di atletica, in questi mondiali la squadra azzurra non ha saputo ottenere i grandi risultati sperati, un po’ per colpa di un ricambio generazionale che stenta a decollare, un po’ per gli infortuni occorsi a molti dei nostri atleti proprio a ridosso dell’appuntamento londinese. È mancata la grinta, ci sono state scelte tecniche sbagliate e forse si è peccato di ingenuità credendo di poter battere avversari ben più agguerriti di noi. Unica magra consolazione è stato il bronzo di Antonella Palmisano nella 50 km di marcia, medaglia arrivata un anno dopo la delusione di Rio. Peraltro, se ci fosse stata stata una maggior attenzione per la tecnica da parte dei commissari di gara, forse la nostra azzurra avrebbe potuto ottenere ben più di un terzo posto.
Tuttavia, a distanza di giorni non ha senso recriminare, ma vale piuttosto la pena pensare a quelli che saranno i prossimi appuntamenti internazionali, ai quali l’Italia non potrà presentarsi tanto impreparata. Quello che forse è mancato più di ogni altra cosa è stato il confronto con gli avversari. I nostri atleti sembravano gareggiare per i campionati italiani e non per il podio iridato. E questo non può certo bastare per competere a livello dei grandi campioni.
(di Christopher Rovetti)