Bitcoin: fenomenologia della criptovaluta anti-sistema
E’ bitcoin-mania sui mercati finanziari globali, nonostante le vicende degli ultimi giorni: tra accuse di insider trading, monito della Commissione europea sul rischio moneta virtuale e annuncio di Macron di voler approfondire il fenomeno al prossimo G20.
I bitcoin o “moneta di Internet“ nascono come progetto politico, con il chiaro intento di sottrarre alle banche centrali il potere di controllare la moneta. Per questo e per altri motivi, si tratta di un progetto anarchico e anticapitalista.
Oggi, la moneta digitale è un nuovo strumento di regolazione finanziaria che permette di garantire l’anonimato e la non tracciabilità delle transazioni.
Realizzata e messa in circolazione da un programmatore anonimo sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, tuttora non è chiaro se si tratti di una persona o di un team. Il paper che ha dato vita al progetto è disponibile sul sito bitcoin.org ed è gestito da una comunità che sviluppa il software e lo rilascia sotto una licenza libera del Massachussetts Institute of Technology (Mit) di Boston, tempio dell’innovazione americano.
Il bitcoin è una moneta alternativa digitale. Ogni utente ha un borsellino virtuale dove custodisce la sua criptomoneta.
I bitcoin non vengono emanati da una autorità nazionale (banca centrale) ma sono generati dagli stessi utenti nell’ambito di un registro che monitora le transazioni. Ogni utente mette a disposizione il proprio computer, creando così nuovi bitcoin che devono remunerare chi mette il proprio computer al servizio degli altri. Questo processo è detto “mining” cioè “attività di miniera” perché è l’unica che permette di “estrarre” bitcoin nuovi. Tuttavia, il mining non è l’unico modo per avere un bitcoin. È possibile acquistarne anche da chi ne possiede. Per questo sono nate le piattaforme di scambio (come l’app Coinbase).
I bitcoin sono di fatto una moneta. Ci sono alcuni negozi on line che li accettano e l’elenco è destinato ad allungarsi sempre più, come dimostra il sito usebitcoins.info.
Se già da qualche anno si parla della moneta virtuale (il candidato presidente Usa Paul Rand annunciò nel 2015 che avrebbe accettato bitcoin come contributi alla sua campagna presidenziale), il 2017 è stato l’annus mirabilis e ci sono buone probabilità che lo sia anche il 2018. Tale è la crescita dei bitcoin che alcuni parlano di nuova bolla speculativa (l’ultima in ordine di tempo dopo quella dei mutui subprime scoppiata negli Stati uniti nel 2007-2008). Questo perché il tasso di cambio in dollari della moneta virtuale, negli ultimi mesi è andato molto in alto. A gennaio servivano circa 1.000 dollari per ottenere un bitcoin, oggi siamo intorno ai 17 mila. A inizio 2012 bastavano 5 dollari. Secondo un sondaggio condotto dalla Bank of America Merrill Lynch tra oltre 200 gestori con un portafoglio complessivo di oltre 550 miliardi di dollari, un terzo di loro ritiene che la posizione al rialzo su bitcoin sia più conveniente di quelle lunghe sui titoli del big tech.
Non tutti sono convinti della “trasparenza” e “sicurezza” della moneta virtuale. I numerosi episodi di “furto” informatico e informativo, soprattutto di natura finanziaria e il notevole impatto economico del cybercrime fanno emergere i dubbi circa il consolidamento del mercato cyber underground dove è possibile acquistare servizi di ogni tipo e condurre attività illecite in rete. Inoltre, la mancanza di un’autorità nazionale dietro l’emissione dei bitcoin, rende piu’ incerta la stabilità dei prezzi. Gestire la quantità di moneta in circolazione è difficile: se la quantità di moneta emessa è eccessiva, si produce inflazione. Se è insufficiente, c’è deflazione.
Altro limite del fenomeno è il fatto che il sistema è concepito per generare non più di 21 milioni di bitcoin. Raggiunto questo punto (secondo le analisi, ciò avverrà intorno al 2050 ma ovviamente dipende dalla velocità con cui aumenteranno gli utenti), l’economia andrebbe incontro sicuramente a deflazione per evitare la quale bisognerebbe fermare la crescita economica. E forse, “stoppare” il sistema è esattamente l’obiettivo finale del progetto della moneta anticapitalista. Altro rischio, altra implicazione: le rapine. Il 7 dicembre una piattaforma di scambio di bitcoin ha subito un furto da 64 milioni di dollari.
Alcuni investitori hanno scommesso un milione di dollari sulla probabilità che il bitcoin sfondi i 50mila dollari di valore entro il dicembre 2018 ma negli ultimi giorni il mondo delle criptovalute ha mostrato segni di debolezza: la principale piattaforma di compravendita di Bitcoin al mondo (Coinbase, appunto) è accusata di insider trading; la Commissione europea ha avvertito i risparmiatori sul rischio per consumatori e investitori associato alla volatilità dei prezzi del bitcoin; la Consob americana ha sospeso le contrattazioni di Crypto co, società di transazioni di valuta digitale; Macron, il presidente francese, ha annunciato di voler portare il dossier bitcoin al prossimo G20: “Bisogna guardarlo, esaminarlo e vedere come, insieme agli altri Paesi del G20, si può regolamentare il bitcoin” ha detto Macron.
Quotati alla borsa dei futures di Chicago e con una capitalizzazione superiore a quella dei grandi imperi finanziari, i bitcoin hanno inaugurato e introdotto la tecnologia del blockchain, che permette a chiunque di creare una propria moneta personale. Oggi ne esistono già circa 1.300. Anche il presidente venezuelano Nicolás Maduro ne ha creata una, il Petro, con l’obiettivo di “vincere il blocco finanziario contro il Venezuela”. E anche le banche guardano a questa tecnologia con estremo interesse, soprattutto in termini di sicurezza dei database molto più alta dei sistemi tradizionali. Se non saranno i bitcoin la moneta del futuro, è probabile che sarà qualcosa di molto simile.
(di Alessandra Esposito)