Il professore, l’alunna e il linguaggio vissuto

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’editoriale del filosofo Carcea

Come è già accaduto, per un altro  editoriale,  anche questo è il frutto di un lavoro     “a quattro mani”, in cui ho raccolto  le riflessioni di una intelligente alunna dell’Istituto in cui insegno. Ilaria Finocchio, questo è il nome della mia giovane collaboratrice, ed è suo il Genius loci, l’intelligenza che è propria di un luogo frequentato e conosciuto: il  linguaggio.  l’Incipit, e la conclusione sono del sottoscritto.

La nostra tesi è fondata sulla convinzione che il linguaggio non sopravvive all’assenza di cura, che consiste nel riconoscerlo, sostenerlo e restituirlo alla sua interezza, come, in genere siamo adusi fare quando riscattiamo il valore integrale dell’identità e della dignità umana.  Tutto l’opposto di ciò che  accade in questo nostro tempo, per cui il linguaggio viene esposto a un impoverimento sistematico, un po’ frutto di svogliatezza, negletta indifferenza, abitudine alle  semplificazioni.

Quindi, la domanda: chi o cosa, nel nostro tempo, minaccia di impoverire il linguaggio? Sicuramente un nuovo modo di essere e comunicare, rappresentato da un fenomeno che influenza costantemente l’immaginario collettivo: il Web language; ossia l’abitudine a  scrivere usando sequenze di acronimi (sigle) ; mentre, ad averne cura sono le persone particolarmente sensibili, per le quali  il linguaggio non deve essere “strapazzato”, anzi, come dicevamo,  bisogna avere cura della sua  integrità. Anche la nascita di  nuove parole, o come si dice in maniera forbita, di neologismi, è sempre una  festa, e lo è di più se le neonate parole sono sane e non dimidiate, spezzettate, e ridotte a un frammento. Ilaria, che ama il parlare semplice e che ha ascoltato più volte questo discorso ha esordito:  “Che paroloni, cominciamo bene!  sono sicura – ha continuato a dire –  che le persone comuni, le quali amano dialogare,  sono quelle che hanno  maggiore rispetto, sì ! insomma , hanno cura del linguaggio.”. La qual cosa, discussa a scuola, nell’ora di ricreazione  mi ha incuriosito e ho ribattuto: “Ilaria, come sei profonda, cosa vuoi dire? Continua, mi sembra interessante”. Ed ella a me: “Vede, Professore, ritengo di essere una ragazza normale, ma non comune, la mia abilità consiste nel custodire il valore del linguaggio, in un’epoca che sembra averne smarrito il senso. Come le Vestali, le quali, nell’antica Roma, tenevano acceso il fuoco sacro in onore degli dèi,  anche io voglio che il linguaggio rimanga vivo e integro. Quando si scrivono i  messaggi sul telefono, spesso – forse troppo spesso –  vengono usate abbreviazioni, p. es., TVB..(Ti voglio bene!)..sarai la mia MAPS, ( Sarai la mia migliore amica per sempre!) . Non sono stata mai d’accordo per l’uso degli acronimi (sigle), secondo me è  molto  diverso scrivere TVB sul cellulare, dal dire, personalmente, a chi è davanti ai nostri occhi: ti voglio bene! avere il coraggio di manifestare personalmente, affetto a qualcuno a Voi caro – è un gesto che si ricorda meglio di un TVB, frettolosamente scritto al telefonino. Nel linguaggio parlato non usiamo sigle, sarebbe orribile! Non vedo perché dobbiamo cedere a questa tentazione quando scriviamo. Solo se consideriamo importante l’integrità  del  linguaggio, allo stesso modo, riterremo importante l’integrità delle persone e il loro valore, per cui ognuno è unico e irripetibile. Il linguaggio ha un suo andamento, un suo ritmo e bisogna rispettarlo,  ogni  parola risuona in un determinato modo, così, come ognuno di noi ha un proprio  modo di essere’. Per concludere, vi lascio con una frase di oraziana memoria: ‘Carpe diem’, dal latino ‘cogli l’attimo’, per questo motivo,  bisogna trovare il coraggio di dire ‘ti voglio bene’ a qualcuno, così, per intero, guardandolo negli occhi. Sono sicura che facendo in questo modo, rimarrà qualcosa di noi. Cosa rimarrà? RIMARRA’ UN BELLISSIMO RICORDO DA CUSTODIRE GELOSAMENTE.  “Non avevo dubbi, cara Ilaria, ho ribattuto! ecco qual è il tuo talento, ecco il famoso Genius Loci, l’intelligenza che è proprio di un luogo, conosciuto e per questo frequentato e vissuto.  Anzi, proprio in quanto vissuto il linguaggio sembra acquisire il sembiante delle persone, ed è per questo che ognuno di noi ha il proprio modo di parlare, di esprimersi, facendo affiorare alla memoria ricordi e immagini, così, come tu hai detto. Le parole, quindi suscitano i ricordi, ed ecco che quel modo di dire è di Tizio, quell’altro, di Sempronio, ecc.,  d’altronde, quante volte abbiamo  detto: “ Ho già sentito questa espressione, mi ricorda una certa sera…in quel luogo…e via, via si susseguono carrellate di visi, di luoghi, di situazioni”. Se dovessi raffigurare in immagine l’idea del linguaggio, la definirei “capanna”, già,  proprio così! come ha detto il gande M. Heidegger: “ In capanne vive l’uomo”,  alludendo al linguaggio. Certo, niente a che vedere con la linguistica, con le teorie, con le parole obbligate a “mettersi in riga” a obbedire al comando degli studiosi. Pensare che il linguaggio e quindi la voce e le parole siano come  le capanne, ci aiuta a comprendere tante cose, le capanne,  come è noto,  sono state e continuano ad esserlo, le abitazioni dei nomadi, nel loro interno ognuno vive in uno spazio di prossimità ed è vicino all’Altro.

Questa vicinanza nutre in  profondità la nostra anima,  ci insegna la condivisione e l’appartenenza.  Addirittura, anche quando   si   è    da soli,   ci   si   rende  conto  di   non  esserlo, perché  i ricordi, le immagini hanno consistenza grazie al linguaggio, che  è il frutto di una conquista comune. Il linguaggio/capanna  diventa il riparo, il   luogo  in   cui ci si sente al sicuro e in cui si  impara ad abitare, pensare, costruire,  a condividere  idee e progetti di vita. In quel “pertugio” fragile che   è   la  capanna/linguaggio,    ognuno    che   vi    abita     è    esposto   a    una   incredibile  esperienza:  diventare consapevole che la propria identità, i valori in cui crediamo, il rispetto di Sé e degli altri, non sono mai conquiste definitive, ma sono frammenti che, grazie alla nostra volontà di costruire e ricostruire,  tendono continuamente a diventare un intero.  Diventare Persone, questo è il messaggio di M. Nussbaum, un impegno per riscoprire i valori dimenticati della nostra Civiltà

di Giuseppe Carcea e Ilaria Finocchio

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10 thoughts on “Il professore, l’alunna e il linguaggio vissuto

  1. Sono una madre e a dire il vero sono preoccupata per i miei figli, i quali sono adolescenti. Il mondo di oggi è violento e cresce sull’ imcomprensione e sull’, indifferenza. Il linguaggio vissuto è un invito a condividere, riconoscere e sostenere il valore dell’ identità. Sono d’ accordo, bisogna dare importanza al valore dell’ intesa.

  2. Sono una madre di un quindicenne e sin dall’inizio mi sono rivelata con lui contrariata all’uso degli acronimi, dando importanza almeno al valore delle parole più significative, più forti e quindi ai sentimenti. Bisogna avere il coraggio di dire “Ti voglio bene…Mi manchi…Ti chiedo scusa”… non ci si deve vergognare, perché è vergognoso non dirlo e perché il linguaggio è la voce dei sentimenti.

    1. Ottimo commento, d’altronde le madri devono vigilare, essere attente al linguaggio, non solo al contenuto o alla forma, quanto al fatto che nel nostro tempo, esso è testimonianza diretta del modo di percepire la nostra integrità.

    2. Rispondo a Sabrina….sì, hai ragione, spesso diamo poca importanza al linguaggio. Non do biamo disperderne la forza evocativa. L’ identità, sulla quale sembra essere sceso un silenzio e una indifferenza gravissimi, come se fossero questioni ormai perdute alla prova del tempo.

  3. Sono una collega del Prof. Carcea e dall’articolo emerge, come solitamente accade, la preparazione e la sensibilità del professore ad affrontare tutte le tematiche con cognizione di causa, pertinenza e attualità.

    1. La collega Antonietta è sempre attenta alle esigenze della comunicazione, essendo una esperta comunicatrice. Sono celebri le sue battaglie per l’ Integrazione e l’ Inclusione. Grazie, stimata collega.

  4. Non conosco Ilaria finocchio anche se sono un alunno dell0 stesso Istituto , ma dopo avere letto quanto ha scritto mi sembra di conoscerla da una vita. brava sai avvicinare le persone e invitarle al riconoscimento e alla condivisione reciproca.

    1. Caro Marco, penso che tu abbia centrato il ” nocciolo dell’ argomento. Sì, e vero, il nostro tempo è artefice di smarrimento e dispersione e sentiamo , tutti, la necessità di condividere qualcosa di essenziale con gli Altri. E essere umani non è una definizione che riguarda la natura dell’ uomo, bensì la sua cultura.

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