Abbandono e desolazione: la triste fine dello stadio Flaminio

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Un rudere. E’ un colpo al cuore la vista odierna dello stadio Flaminio, storico ed amato impianto sportivo nel pieno della città di Roma, ai piedi del quartiere Parioli, uno dei più ricchi e prestigiosi della capitale. La gente passa distrattamente e velocemente lungo viale Tiziano, quasi incurante di quei poco meno di 30.000 posti a sedere chiusi dalle inferriate ormai arrugginite e dalle quali spuntano erbacce sempre più alte e sempre più incolte.

Lo stadio Flaminio di Roma, costruito fra il 1957 ed il 1958, inaugurato un anno dopo, ha ospitato sovente le gare di rugby (dal 2000 anche il famoso torneo Sei Nazioni) della nazionale italiana, le partite di calcio del torneo Olimpico del 1960 e le gare interne della Lodigiani Calcio prima e dell’Atletico Roma poi (formazioni calcistiche di serie C).

Nel campionato 1989-90, sia la Roma che la Lazio si sono alternate al Flaminio durante i lavori di ristrutturazione dello stadio Olimpico in vista di Italia ’90, riscuotendo grande successo ed afflusso di pubblico, coi tifosi vicinissimi al campo, l’impianto sempre pieno a formare un catino di affetto e passione che tanto elettrizavano il pubblico romano.

Stadio piccolo, senza pista di atletica, gli spalti a spiovere sul rettangolo di gioco, davvero l’ideale per assistere ad un evento sportivo, il Flaminio è da sempre l’amore segreto degli appassionati sportivi capitolini che spesso hanno proposto (senza ricevere mai parere positivo) a Lazio e Roma di acquistarlo per farne la propria casa.

Inutilizzato dal 2011 quando l’Italia del rugby si è anch’essa trasferita all’Olimpico, il Flaminio vive oggi un declino inesorabile, abbandonato e destinato a scomparire, sommerso da quelle erbacce che diventano sempre più alte, come se volessero nascondere quello stadio ormai invisibile.

Sbarrato da cancellate arrugginite, l’impianto romano è desolante anche al suo interno: le tribune sono piene di rifiuti, i seggiolini divelti, porte e bandierine non esistono più, così come il terreno di gioco, coperto da sterpaglie che lo fanno assomigliare più ad un bosco che ad un campo di calcio. A rincorrersi su quel prato verde non ci sono più atleti, ma solo topi e gatti, a guardarli non più tifosi con sciarpe e bandiere, bensì senzatetto armati di cartoni e buste di plastica.

La Federazione Italiana Rugby, che ne aveva la gestione, si è disimpegnata nel 2011, impossibilitata a mantenere i costi di manutenzione, lasciando l’impianto alla conduzione della Federazione Italiana Giuoco Calcio che ha promesso una ristrutturazione che non è però mai avvenuta. Da allora i piani di riqualificazione dell’area fra FIGC e Comune di Roma sono rimasti appesi fino a decadere definitivamente, lasciando il Flaminio solo con il suo incontrollabile stato di desolazione, vilipeso dal passare del tempo e dall’incuria delle istituzioni.

Il 2 febbraio 2018 le forze di polizia ed i vigili urbani rinvengono un cadavere all’interno dell’impianto, all’altezza dell’ingresso 16; la morte dell’uomo, un cittadino dello Sri Lanka di 40 anni e senza fissa dimora, per cause ancora da accertare, ha riportato alla ribalta la desolazione del Flaminio, abbandonato e ridotto ormai ad un rifugio per disperati, ad un dormitorio per senzatetto, persone in difficoltà che si trascinano stancamente fra spogliatoi, bagni, ingressi, sala stampa e zona mista, gli stessi luoghi che un tempo erano al centro della scena calcistica e rugbistica italiana.

Ogni appello ed ogni progetto di riportare questo storico impianto agli antichi splendori è finora caduto nel vuoto e lo stadio Flaminio si sta lentamente accartocciando su se stesso, lasciato solo da una città intera, da quella stessa città che tanto lo ha amato. Per non dimenticare, per non decretare la parola fine ad uno dei monumenti dello sport italiano: salvate il Flaminio.

di Marco Milan

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