Amarcord: il rogo di Bradford, la strage dimenticata
Esistono davvero morti di serie A e morti di serie B? Probabilmente si, così come è altamente presumibile che esistano fatti che restano impressi nella memoria più di altri. A conferma di ciò, il racconto del rogo di Bradford, un disastro che ne ha preceduto di pochissime settimane un altro ben più famoso e che ancora oggi è vivo nel ricordo degli appassionati di sport.
Sabato 11 maggio 1985 è in programma allo stadio Valley Parade di Bradford la gara valida per il campionato inglese di Third Division (equivalente della serie C italiana) fra la capolista Bradford City ed il Lincoln City. L’impianto della cittadina di Bradford è gremito, quasi 25 mila spettatori assistono alla partita della prima in classifica, pronta ormai al salto in seconda divisione; cori e battiti di mani come di consueto, a spingere la squadra giallorossa verso un’altra impresa. Lo stadio di Bradford, costruito nel 1886 per ospitare le gare della locale formazione di rugby, è la casa del Bradford dal 1903 ed è una struttura antica con costruzioni ed impalcati in legno, aggiustata ed adeguata alle normi vigenti nel corso degli anni, ma mai totalmente ristrutturata e rimodernata. I tifosi del Bradford, come tutti quelli del mondo, sono del resto restii ed infastiditi di fronte ai cambiamenti, sono affezionati e innamorati di quello stadio piccolo ma ricolmo d’affetto e passione, probabilmente anche orgogliosi di quell’apparato in legno che sfida le intemperie e l’inesorabile trascorrere del tempo. La gente accorre al Valley Parade per assistere e spingere la propria squadra a conquistare un altro pezzo di promozione, senza sapere che per quel pomeriggio il destino ha prefigurato altri cupissimi scenari.
Intorno al 40′ del primo tempo, un denso fumo inizia a sprigionarsi da una delle due tribune dello stadio, nei pressi di quello che tecnicamente è indicato come Settore G. Il guardalinee, richiamato dalle urla concitate degli spettatori alle sue spalle e dal forte odore di bruciato, agita violentemente la bandierina e grida all’arbitro, il signor Don Shaw, di sospendere immediatamene la sfida. Il direttore di gara si avvicina, pone momentaneamente fine all’incontro, mentre nel frattempo la polizia accorre sul punto di un incendio non ancora divampato per intero; gli agenti sono convinti che basti evacuare quella piccola zona di stadio, domare il focolaio e ristabilire in pochi minuti l’ordine. Nella confusione generale, però, in pochi si rendono conto che in quello spicchio di spettatori sta per consumarsi un enorme dramma: la copertura della tribuna, infatti, è interamente in legno, rivestita anche da strutture in bitume e catrame che non fanno altro che alimentare le fiamme in pochissimi minuti. In men che non si dica, la tribuna è ricoperta dal fuoco che avanza inesorabile propagando anche un fumo nero che non permette alla gente di respirare, oltre ad ostruire quasi completamente ogni tipo di visuale. Quando poliziotti e addetti si rendono conto delle dimensioni dell’incendio, la situazione è ormai ingestibile: pochi attimi e il tetto della tribuna crolla, sciolto e divorato da fuoco, alcuni spettatori che si erano avvicinati alla parte bassa del settore provano a salvarsi raggiungendo il terreno di gioco, operazione resa possibile dalla mancanza di ostacoli fra spalti e campo, divisi appena da un muretto di cemento molto basso, facilmente scavalcabile da tutti.
Ma la calca è impressionante, panico e disperazione fanno in breve tempo preda della gente che a furia di spinte e grida terrorizzate prova a mettersi in salvo. In molti riescono a scavalcare il muretto e a riversarsi esausti sul terreno di gioco, mentre per gli altri il destino è segnato, le fiamme li avvolgono senza dar loro scampo. I calciatori, nel frattempo, aiutano i tifosi a raggiungere il campo, vanno a sincerarsi anche delle loro condizioni in attesa dell’arrivo dei soccorsi, anche se sul volto di tutti c’è la consapevolezza che su quelle tribune si stia consumando un dramma di proporzioni ampie. Terry Yorath, centrocampista del Bradford, si agita pericolosamente accanto alla polizia, si sbraccia, aiuta le forze dell’ordine, si prodiga nel tentativo di mantenere calma e lucidità: i suoi familiari sono esattamente nel settore dove si è divampato l’incendio e che dopo soli 5 minuti dall’inizio del disastro è completamente distrutto. Qualcuno, i più reattivi, è riuscito anche a scivolare fuori dall’impianto chiedendo ospitalità, acqua ed aria pulita agli abitanti delle vicine abitazioni, scampando ad una tragedia che nessuno riesce a spiegarsi, avvenuta all’improvviso e consumatasi nel giro di pochissimi attimi.
Polizia, vigili del fuoco e volontari continueranno ad operare ininterrottamente sino alle 3 del mattino, mentre alle prime luci dell’alba verrà diramato il drammatico bollettino ufficiale di 56 morti e 265 feriti, un bilancio terribile che sarebbe paradossalmente potuto essere anche maggiore se le vie di fuga verso il terreno di gioco fossero state inaccessibili o più tortuose. Fra le vittime anche l’ex presidente del Bradford, Sam Firth, 86 anni, rimasto tifoso ed innamorato della compagine giallorossa; verrà raccontato che molti corpi sono stati trovati ancora in posizione verticale, avvolti dalle fiamme dopo il crollo del tetto sulle loro teste. Dopo il disastro, la risposta agli interrogativi, mai del tutto fugati: chi o cosa ha scatenato l’incendio? Forse una sigaretta gettata sul legno ed ancora accesa, forse un fiammifero. Perchè nessuno ha trovato estintori accanto alle vie di fuga? Perchè, stando alla dirigenza del Bradford, gli estintori erano stati portati via per paura di atti vandalici fra tifoserie, col fenomeno degli hoolingans attivissimo e pericoloso in Gran Bretagna a metà anni ottanta. Il Valley Parade viene chiuso fino al 1987, costringendo il Bradford City a girovagare per due anni su e giù per l’Inghilterra, giocando sempre in campo neutro, mentre la tribuna distrutta sarà ricostruita e resa sicura come il resto dello stadio. Pochi giorni dopo il rogo, persino Giovanni Paolo II esprimerà parole di cordoglio e vicinanza alle vittime e ai loro cari, risarciti dopo il processo con quasi 4 milioni di sterline.
Il 29 maggio 1985, a 18 giorni dal disastro di Bradford, la finale di Coppa di Campioni fra Liverpool e Juventus, in programma allo stadio Heysel di Bruxelles, inizia con oltre un’ora di ritardo a causa di violenti scontri provocati dai tifosi inglesi che assalgono un settore neutro dello stadio dove sono sistemati per lo più sostenitori italiani che, nel tentativo di sfuggire alla carica, si accalcano verso le uscite schiacciandosi a vicenda: moriranno in 39 e il calcio inglese subirà una reprimenda durissima da parte dell’Uefa che squalificherà i club a tempo indeterminato dalle coppe europee (embargo che durerà fino al 1990). La strage dell’Heysel è ad oggi ricordata come una delle catastrofi maggiori verificatesi in uno stadio di calcio, avvenuta appena 18 giorni dopo un simile (anche se con cause differenti) dramma maturato nel piccolo Valley Parade di Bradford, disastro ormai dimenticato: anche i morti, putroppo, partecipano alla triste suddivisione classista del mondo.
di Marco Milan