Amarcord: ascesa e declino di Alberto Cavasin, dalla Panchina d’Oro agli esoneri
Raccontare la storia di un protagonista del calcio che vive una carriera a fasi alterne non è molto originale. Quanto però accaduto ad Alberto Cavasin nel suo percorso di allenatore è qualcosa di unico e particolare, un’andatura clamorosamente in picchiata dopo un avvio travolgente. Difficile dire perchè, difficile capire, più facile raccontare analizzando un percorso inverso difficilmente eguagliabile.
E’ simile alla storia di Luigi Maifredi, quella di Alberto Cavasin, trevigiano classe 1956, ex difensore di Treviso, Avellino, Atalanta, Spal, Verona, Catanzaro e Bari, divenuto allenatore nel 1990 a neanche 35 anni. Ma se la scalata dell’ex tecnico di Bologna e Juventus era stata folgorante, Cavasin ci ha messo qualche anno ad imporsi: Trento, Fano e Ravenna in serie C, l’impresa col Gualdo (sempre in terza serie), condotto ai playoff per la B, un biennio in chiaroscuro a Fiorenzuola, poi la chiamata dalla serie cadetta che arriva nell’autunno del 1998 quando il Cesena esonera il tecnico Corrado Benedetti affidando una squadra pericolante e a forte rischio retrocessione proprio all’allenatore di Treviso. L’impatto di Cavasin è positivo, nonostante la sconfitta all’esordio a Lecce, un destino forse segnato già al debutto, perchè il Salento sarà per l’allenatore veneto la tappa più importante della carriera; il 2-0 alla Reggiana nel turno successivo rilancia il Cesena che chiude il girone d’andata con un ottimo 3-0 al Cosenza ed apre quello di ritorno col successo sul Brescia a cui fa seguito lo 0-0 strappato a Treviso, proprio a casa di Cavasin e contro un avversario in lotta per la promozione. L’allenatore trevigiano dimostra di non patire il salto di categoria e il subentro in corsa: il suo Cesena corre e lotta, non ha molti fronzoli ma ottiene quei risultati che il Manuzzi si aspetta e la squadra torna prepotentemente nella bagarre salvezza con tre vittorie consecutive contro Ravenna, Monza e Lucchese, con particolare entusiasmo per il derby coi ravennati, ribaltati dopo lo svantaggio iniziale e battuti per 4-2. E’ forse il successo della svolta, il Cesena si dimostra solido, batte anche Verona e Torino (dominatori del campionato) e conquista una salvezza senza patemi col 13.mo posto finale.
Per Cavasin è un esordio più che positivo: da tecnico debuttante, infatti, l’ex allenatore del Gualdo si è dimostrato preparato ed ambizioso, il suo telefonino inizia a squillare ripetutamente ed il prefisso più frequente è quello di Lecce. La formazione pugliese è stata appena promossa in serie A, ma non conferma il tecnico Nedo Sonetti, ingaggiato dal Brescia dove otterrà un altro salto dalla B alla A; la dirigenza leccese decdide di rischiare, ha intravisto in Cavasin le caratteristiche giuste per guidare una squadra anche in massima serie, oltre al fatto che nel campionato precedente il suo Cesena ha bastonato proprio il Lecce in Romagna per 3-1, una partita che in Salento ricordano ancora benissimo, così come la grinta del tecnico cesenate che pretende ed ottiene dai suoi calciatori sacrificio e voglia di combattere. Presentato ufficialmente alla stampa, Alberto Cavasin appare leggermente emozionato ma nei suoi occhi si legge la determinazione di chi vuole fare ancora strada in una carriera giovane; eppure attorno a lui e alla formazione pugliese c’è scetticismo: i tifosi giallorossi non sembrano entusiasti, qualcuno avrebbe preferito la conferma di una vecchia volpe come Sonetti, altri scommettono che quello di Cavasin sarà il primo esonero del campionato 1999-2000.
Non lascia presagire nulla di buono anche il calendario, perchè alla prima giornata il Lecce è opposto ai campioni d’Italia in carica del Milan. Lo stadio Via del Mare è stracolmo domenica 29 agosto 1999, i colpi di scena sono in agguato, a cominciare dal meteo che sembra schizofrenico: a Lecce si alternano infatti nubifragi e sole cocente, il campo appare un po’ pesante ma praticabile. Telecamere e macchine fotografiche sono tutte per il Milan di Alberto Zaccheroni che ha lo scudetto sul petto, ma tanta curiosità c’è anche attorno a questo tecnico debuttante in serie A che timori reverenziali non sembra averne e che, maglia a maniche corte, pantaloni della tuta e scarpe da tennis ai piedi, guida la sua squadra in piedi, grida mettendo le mani a coppa intorno alla bocca, segue la partita correndo sulla linea laterale. “Sembra il guardalinee”, urla ridendo qualcuno sulle tribune dello stadio. A ridere poco è però il Milan, imbrigliato da questa matricola terribile che blocca la partita sullo 0-0 all’intervallo; la ripresa è pirotecnica: Milan in vantaggio con Weah, pari del Lecce col difensore Savino, rossoneri di nuovo avanti col primo gol italiano di Andrij Shevchenko e definitivo 2-2 di Cristiano Lucarelli a 10 minuti dal termine. Il Lecce strappa un meritato pareggio ai campioni milanisti, Cavasin esce rinfrancato e fra gli applausi di un pubblico che dopo lo scetticismo iniziale comincia ad essere fiducioso. E’ una bella squadra il Lecce 1999-2000, una compagine che sembra non aver paura di nessuno, che non teme i pronostici che la bollano come quasi sicura retrocessa e che continuano a guardarla con diffidenza.
A Cavasin tutto ciò non interessa, lui crede nel lavoro, lo ripete come una macchinetta ad ogni intervista, probabilmente fa altrettanto nello spogliatoio. Il gruppo segue il suo allenatore, il Lecce alla quarta giornata (il 25 settembre) ospita la Juventus di Carlo Ancelotti, candidata al titolo; altre previsioni negative, altro pronostico ribaltato: i salentini sembrano furie, la Juve se li vede sbucare da ogni parte, Cavasin in panchina fa sudare sette camicie al quarto uomo che tenta in ogni modo di convincerlo a restare nella propria area tecnica. L’allenatore veneto vorrebbe entrare in campo e contrastare lui stesso i calciatori juventini, ma non ce n’è bisogno perchè gli undici del Lecce sono ben determinati: la gara, nonostante qualche sofferenza di rito, è un’impresa eccezionale dei giallorossi, vittoriosi per 2-0 fra l’apoteosi di un pubblico che ormai non ha più dubbi nè sulla squadra e nè sul tecnico; altro che esonero, Cavasin si è preso la ribalta della serie A in meno di un mese, dimostrando che chi ha idee, carattere ed ambizione, può allenare ovunque a prescindere dalla categoria. Lo stadio Via del Mare diventa la roccaforte del Lecce: i pugliesi vincono quasi tutti gli scontri diretti casalinghi, compreso il derby col Bari, sentitissimo dalla tifoseria e disputato in un freddo e piovoso sabato sera di dicembre, con la tuta e le scarpe di Cavasin inzaccherate di fango come gli scarpini dei calciatori, forse l’emblema del connubio fra squadra ed allenatore. Qualche battuta a vuoto nel girone di ritorno, alternata a vittorie prestigiose come quella casalinga contro l’Inter di Roberto Baggio, Vieri e Ronaldo, mantengono il Lecce appena sopra la linea di galleggiamento e con lo scontro diretto contro il Torino della penultima giornata come sfida cruciale dell’intero campionato.
Domenica 7 maggio 2000 lo stadio di Lecce si prepara ad una sorta di spareggio, come 11 anni prima quando un’altra sfida contro il Torino decretò la salvezza dei giallorossi e la retrocessione dei granata. La tensione è altissima, in campo e sugli spalti, Cavasin si agita come al solito, il suo collega Mondonico è più serafico, il Lecce sembra più in palla, il Torino ci mette il cuore, ma non basta; dopo una battaglia lunga e combattuta, i pugliesi vincono 2-1 e strappano la salvezza ai danni dei piemontesi, nuovamente costretti alla serie B. La matematica permanenza in serie A è il successo di un allenatore giovane e preparato che si toglie la maglia ed esulta come un calciatore, portato in trionfo dai suoi giocatori sotto la curva leccese, impazzita per il traguardo ottenuto, alla faccia di chi diceva ad inizio stagione che il Lecce fosse già spacciato ed il suo tecnico pronto per un esonero rapido e scontato. Il Lecce chiude la stagione all’11.mo posto, conquista la salvezza e Cavasin viene premiato con la panchina d’oro 2000, meglio di Sven Goran Eriksson, campione d’Italia con la Lazio, meglio di Ancelotti, di Capello, di Zaccheroni e di Marcello Lippi. Al primo anno in serie B ha condotto il Cesena alla salvezza, al debutto in A ha fatto altrettanto col Lecce, niente male per un esordiente. Cavasin appare pacato in sala stampa, tarantolato in panchina; lo ammette anche: “Quando c’è la partita io la vivo intensamente, sto sempre in maniche corte, anche d’inverno, sento caldo come a Ferragosto”.
Il tecnico veneto sa che il campionato 2000-2001 sarà ancora più difficile, perchè nello sport, si sa, vincere è difficile ma confermarsi lo è ancor di più. Cavasin è consapevole che dopo l’impresa dell’anno prima, tutti attenderanno il Lecce al varco, tutti si aspetteranno una convalida della brillante annata passata. L’esordio a Perugia è curioso, perchè gli umbri sembrano il Lecce del campionato precedente: squadra rinnovata, allenatore esordiente e sconosciuto ai più; Serse Cosmi, infatti, passa in un anno dalla serie C (ad Arezzo) alla ribalta della serie A e alla prima giornata si trova di fronte il Lecce di Cavasin, un suo “simile”, per così dire. La gara termina 1-1, la sensazione è che i giallorossi abbiano mantenuto la stessa grinta e le stesse caratteristiche offerte nel campionato passato, compresa quell’umiltà che ha permesso loro di scalare posizioni e conquistare la salvezza. In una settimana, poi, i pugliesi si entusiasmano a dismisura: prima, il 12 novembre, espugnano per la prima volta nella loro storia San Siro vincendo 1-0 con l’Inter grazie ad una rete del croato Vugrinec, poi la domenica successiva dominano il derby col Bari, battuto 2-0 al Via del Mare. Tutto sembra filare per il meglio, ma nel girone di ritorno i salentini incappano in un periodo terribile che li avvicina pericolosamente ai bassifondi della classifica: dal 18 marzo, infatti, la squadra di Cavasin non vince più, collezionando in 11 partite ben 6 sconfitte e 5 pareggi, con l’unico acuto dell’1-1 acciuffato nel finale in casa della Juventus. Alla vigilia dell’ultimo turno, i salentini devono battere la Lazio in casa per essere certi della seconda salvezza di fila, coi biancocelesti capitolini ancora in corsa per lo scudetto, anche se con pochissime speranze. Altra giornata di passione il 17 giugno 2001, caldo africano, adrenalina e tensione alle stelle, Lazio in vantaggio alla fine del primo tempo e retrocessione in agguato; una doppietta di Gaetano Vasari nella ripresa, però, ribalta la situazione e permette al Lecce di Cavasin di conquistare ancora la permanenza in serie A. Festa, gioia e soddisfazione immensa per il tecnico trevigiano, autore ed artefice di una cavalcata storica per la storia leccese, ormai idolo incontrastato del popolo giallorosso.
La carriera di Cavasin è in forte ascesa, la panchina d’oro e due salvezze consecutive alla guida del Lecce hanno attirato l’attenzione di diverse società, ma lui sceglie la via della continuità, sceglie di rimanere in Puglia per la terza stagione di fila, convinto che la storia si possa ancora riscrivere. Il campionato del Lecce 2001-2002 non parte male, i giallorossi restano imbattuti per le prima quattro giornate (pareggi contro Parma, Brescia e Juventus, vittoria a Piacenza), poi incappano in 5 sconfitte nelle successive 6 gare, inframezzate dal 4-1 inflitto alla Fiorentina. Ma qualcosa non gira più come prima, l’incanto sembra essersi spezzato, la macchina quasi perfetta dei due anni precedenti appare inceppata in qualche meccanismo; alla fine del girone d’andata il Lecce ha portato a casa solamente tre successi e il girone di ritorno non si apre con una tendenza diversa, il pareggio di Parma e quello a reti bianche in casa contro il Piacenza portano malumore nella piazza e pure in società; iniziano a rincorrersi le prime voci su un presunto esonero di Cavasin, il nome di Delio Rossi aleggia minaccioso sopra la testa del tecnico veneto che cade definitivamente il 27 gennaio 2002 al termine dell’1-3 subìto al Via del Mare contro il Brescia: Cavasin viene licenziato a malincuore, la scelta alla dirigenza appare inevitabile ma Delio Rossi non inverte la rotta ed il Lecce a fine campionato accompagna Verona, Venezia e Fiorentina in serie B. L’avventura di Alberto Cavasin in Puglia termina con due salvezze ed un esonero, tutto sommato il suo profilo è ancora affascinante per il calcio italiano.
Dopo qualche mese di inattività, è la Fiorentina a chiamare Cavasin e non è una chiamata banale: i viola sono precipitati in C2 dopo il dissesto finanziario di Vittorio Cecchi Gori, e il nuovo tecnico Pietro Vierchowod non ha dato l’impronta giusta, tanto che la squadra gigliata non soddisfa pienamente le aspettative. Cavasin esordisce a Firenze il 3 novembre 2002 nella vittoriosa gara dei toscani contro il Gubbio; scendere dalla serie A alla C2 non è facile, ma la Fiorentina non è una squadra qualsiasi, forse vale più una serie C a Firenze di una A in una piccola piazza. La stagione prende la piega giusta, i viola iniziano a carburare e soprattutto a vincere, il terminale offensivo è Christian Riganò, centravanti siciliano che segna a ripetizione, il direttore d’orchestra è Alberto Cavasin che ottiene una promozione che ad oggi è ancora storica, conduce la Fiorentina in una C1 che i toscani non giocheranno mai, catapultati d’ufficio in serie B per meriti sportivi. E’ l’ultima gioia di Cavasin da tecnico: il campionato di serie B 2003-2004 è lunghissimo, interminabile, 24 squadre, la Fiorentina è tutta nuova, ma è stata proiettata in B all’improvviso, nonostante la piazza spinga per la serie A, senza capire, senza ragionare, guidata solo dal cuore e dalla passione. I risultati sono alterni, Cavasin fa quello che può, società e tifosi non capiscono che il torneo è troppo lungo e logorante per vincere tutte le partite, anche se la Fiorentina stecca un po’ troppo se vuole essere una protagonista. Il girone di ritorno inizia male: pareggi contro Atalanta e Pescara, sconfitta a Trieste, la squadra al 14.mo posto della classifica, a metà; il pari interno col Vicenza, salutato da fischi e contestazioni, costa il posto a Cavasin, rimpiazzato da Mondonico che otterrà la serie A dopo lo spareggio col Perugia.
Per Cavasin è un esonero scottante, ma il tecnico di Treviso è pronto a risalire. Non lo chiama nessuno fino a febbraio del 2005 quando il Brescia si rivolge a lui per salvarsi in serie A. Cavasin accetta con entusiasmo, ottiene 21 punti in 15 partite senza riuscire a centrare una salvezza che sfuma per un soffio. Deluso ma non rassegnato, l’ex tecnico del Lecce aspetta un’altra chiamata per rientrare in pista, ma nessuno sembra volergli dare una possibilità reale, incomincia ad essere l’allenatore della disperazione, quello che le squadre chiamano quando sono in difficoltà a metà stagione. Accade così a Treviso, nella sua città natale, in serie A e in una condizione ormai compromessa per i veneti, ultimi dall’inizio alla fine del campionato: Cavasin ottiene 14 punti in 15 gare e viene esonerato nel finale, senza incidere più di tanto. L’anno dopo, a gennaio 2007, viene ingaggiato dal Messina, in difficoltà come il Treviso la stagione precedente: Cavasin prova a rimettere in piedi la situazione, vince il derby col Palermo (primo successo dei giallorossi contro i rosanero in serie A), ma dopo 8 gare viene sollevato dall’incarico a beneficio del ritorno in panchina di Bruno Giordano. Esoneri a raffica, qualcosa non gira più nel verso giusto, Cavasin chiede una panchina da inizio stagione, chiede un progetto che lo coinvolga, oppure chiede un pizzico di pazienza in più in caso di subentro a stagione in corso.
L’occasione gliela concede il Frosinone che per il campionato di serie B 2007-2008 gli affida la panchina dall’inizio alla fine della stagione. E’ la possibilità di rilanciarsi per Cavasin, costretto però a fare i conti con una piazza che storce il naso alla decisione della società laziale: è strano come il nome del tecnico veneto susciti ormai così poco fascino a distanza di pochi anni dalla bella avventura di Lecce. Cavasin sfrutta dignitosamente la possibilità e conduce il Frosinone al decimo posto in classifica, seconda salvezza al secondo anno in B per i ciociari. Ma non basta per la riconferma: a giugno le parti si salutano e il contratto annuale non viene rinnovato; Cavasin è di nuovo a spasso, un po’ più rinfrancato ma pur sempre costretto a ricominciare da zero. Quasi un anno a seguire le partite degli altri, poi a fine maggio 2009 la chiamata da Brescia: i lombardi a due giornate dal termine del campionato esonerano Sonetti e richiamano Cavasin dopo 4 anni. La squadra centra i playoff e perde la doppia finale contro il Livorno, il tecnico veneto viene confermato anche per la stagione successiva, iniziata male e conclusa dopo 8 giornate e la sconfitta casalinga contro il Vicenza. Breve e negativa anche l’esperienza in Svizzera a Bellinzona, poi un’altra impresa disperata per Cavasin, chiamato dalla Sampdoria a marzo, a 10 giornate dal termine di un campionato che vede i blucerchiati clamorosamente in zona retrocessione dopo aver iniziato la stagione dai preliminari di Coppa Campioni.
E’ una situazione complicata: piazza in subbuglio, organico smembrato a gennaio con le cessioni di Cassano e Pazzini, gruppo non abituato a lottare per non retrocedere. La squadra perde partite clamorose, sembra incapace di reagire, Cavasin non riesce a trovare il bandolo della matassa, durante il ritiro litiga con alcuni tifosi che lo contestano pesantemente, qualcuno gli urla “fallito”, qualcun altro con ironia dice “ecco il grande allenatore”. Cavasin non ci sta, replica, ribatte per le rime, con rabbia e furore, con quelle qualità che la Sampdoria non mette mai in campo; la sconfitta al 96′ nel derby con il Genoa è solo il preludio ad una retrocessione che si materializza ad una giornata dalla fine dopo l’1-2 a Marassi col Palermo, gara chiusa con le lacrime di capitan Palombo sotto la curva e l’ennesimo tripudio di insulti a Cavasin che in 10 giornate raccoglie una sola vittoria (in casa del retrocesso Bari) e ben 7 sconfitte. Il tecnico trevigiano lascia Genova col morale sotto i tacchi e mezza città in rivolta, la sua carriera in declino nonostante i tentativi di rialzarla. Le ultime due avventure, Alberto Cavasin le vive prima in Inghilterra dove allena il Leyton Orient nella quarta divisione nazionale, ottenendo 2 vittorie e 5 sconfitte nelle 7 partite messe a disposizione dalla società prima di un rapidissimo esonero. “Non dovevo andare in Inghilterra e non dovevo scegliere il Leyton Orient senza conoscere nulla di quel campionato”, dirà Cavasin una volta tornato in Italia dove a dicembre 2017 accetta l’offerta del Santarcangelo in serie C: 4 vittorie in 13 partite, altro esonero coi romagnoli comunque retrocessi a fine campionato.
Dalla panchina d’oro ai tanti esoneri, perchè? Difficile dirlo, forse le troppe panchine prese in corsa senza conoscere i calciatori, forse l’ansia di voler tornare ad ottenere risultati dopo qualche esperienza negativa. Difficile anche capire perchè in molti non si siano fidati di un allenatore che all’esordio aveva dimostrato carattere e qualità; rispetto a tanti colleghi, però, Alberto Cavasin porterà sempre in dote la voglia di lavorare, di rimettersi in pista ogni volta, di avere nel sangue lo spirito di sacrificio anche nelle situazioni più complesse. Due salvezze a Lecce, una a Frosinone, una promozione dalla serie C2 a Firenze e quella panchina d’oro nel 2000: un curriculum che avrebbe meritato un contorno migliore, perchè Alberto Cavasin avrà anche sbagliato qualche scelta, ma non ha mai mollato, non ha mai messo sul piatto i suoi successi passati per rifiutare una chiamata. Forse il Cavasin di Lecce è durato poco, ma l’etichetta di bollito che qualcuno gli appiccicato addosso negli ultimi anni certamente non la merita. Comunque sia andata, è piaciuto anche così.
di Marco Milan