Amarcord: Pasquale Luiso, il Toro di Sora
Non era facile in quella calda e agitata estate del 1994 far riprendere fiducia ai tifosi del Torino, reduci da una Coppa Italia vinta un anno prima e da una cavalcata in Coppa delle Coppe appena interrotta ad un passo dalla gloria finale. I problemi economici ed un fallimento rischiato, portano il popolo granata ad impaurirsi, a non avere più speranze; il presidente Calleri, che salverà il club dal dissesto finanziario, prova a tirar su il morale presentando il nuovo acquisto, un giovane di belle speranze che si chiama Pasquale Luiso e che viene dalla serie C: “Ho acquistato il Toro di Sora – dice baldanzoso Calleri – assomiglia a Romario ma è più forte di testa”. Qualcosa, del resto, doveva pur dire il patron torinista, bluffando ma non sapendo che quel ragazzino avrebbe comunque fatto parlare di sè.
Facciamo un passo indietro, come nei film quando dopo la scena iniziale ne appare un’altra e sotto c’è la didascalia che indica qualche anno precedente. Pasquale Luiso nasce a Napoli il 30 ottobre 1969, cresce in un quartiere pericoloso, per 14 anni si divide fra scuola e campetti di calcio, stando sempre attento a non incappare in qualche guaio o brutta storia, fin quando non scopre che il pallone può essere la sua strada e, chissà, il suo mestiere, oltre che la sua ancora di salvezza. Lo notano i dirigenti dell’Afragolese, dal 1986 al 1990 Luiso gioca ad Afragola fra serie D (l’allora Interregionale) e C2, si muove come ala destra e ci mette impegno, sacrificio, è uno che non molla mai e ciò fa passare in secondo piano anche qualche lacuna tecnica. La svolta arriva proprio nel 1990 quando l’Afragolese cede il ragazzo al Sora: la compagine laziale è in Interregionale e vorrebbe compiere il grande salto nel professionismo, ma l’obiettivo non è semplice, Sora è una cittadina piccola in mezzo alle montagne, sperduta nella Valle del Sacco, lontana dal capoluogo Frosinone, la società bianconera non ha molte risorse economiche, così meglio puntare su giovanotti ambiziosi e combattivi, affidati ad un allenatore semplice ma con le idee chiare, Claudio Di Pucchio, un papà per i suoi calciatori, ma anche un tecnico dall’occhio allenato per capire chi possa far strada nel calcio e chi invece no.
Luiso arriva a Sora con speranze ed un po’ di timore, non ha mai lasciato la sua terra e a vent’anni si ritrova in Ciociaria senza amici e senza famiglia. Ad accoglierlo c’è però uno spogliatoio vero ed unito, un allenatore che lo prende sotto la sua ala protettrice ed un pubblico che si innamora ben presto di quell’attaccante che sbuffa e suda lottando su ogni pallone come se non ci fosse un domani. Dopo qualche allenamento, Di Pucchio ha l’intuizione che cambierà la carriera di Luiso: 1 metro e 77 di altezza, un fisico ben strutturato, una grande elevazione, ma perchè questo ragazzo deve giocare sulla fascia? Il tecnico bianconero lo prova come centravanti, gli fa capire movimenti e tempi di gioco, convinto che il ruolo di attaccante centrale sia il migliore per Luiso, lo sprona, gli dice che così potrà segnare molto di più. Il calciatore napoletano si adegua, ci mette ancora tanto impegno e i risultati arrivano, così come i gol; Luiso diventa un bomber d’area di rigore, bravissimo di testa, perfetto nell’anticipare i difensori avversari. Nel 1992, al Sora riesce l’impresa della promozione in C2 e gran merito va proprio al suo centravanti che in 3 stagioni in Ciociaria realizzerà 36 reti, altro che ala. La tifoseria lo ha ormai eletto come beniamino e gli ha affibbiato un soprannome che lo accompagnerà per tutta la sua carriera: il Toro di Sora, viste le sue caratteristiche fisiche, la bravura nel colpo di testa e il suo atteggiamento da combattente.
Nell’estate del 1993 il Lecce, neopromosso in serie A, ingaggia Luiso, facendogli compiere così un triplo salto dalla C2 alla massima serie. Ma ben presto il club pugliese si rende conto che quel ragazzo non ha ancora i mezzi per giocare in serie A e Luiso torna a Sora per completare la missione di condurre i ciociari in C1 per quello che sarà il punto più alto della storia laziale. L’impegno viene rispettato alla lettera, anzi, il centravanti campano fa ancora di più, diventando capocannoniere della C2 con 22 reti e trascinando il Sora alla promozione dopo la vittoria nei playoff. E’ il giugno del 1994, Luiso ha dato tutto al Sora e la città non può tarpargli le ali ora che è diventato grande; arriva quindi l’approdo al Torino e le dichiarazioni di Calleri che accendono le luci su questo semi sconosciuto attaccante proveniente dalla serie C. Il tecnico granata è Rosario Rampanti che ha fiducia in Luiso e lo schiera nelle amichevoli estive, alternandolo con la coppia titolare formata da Silenzi e Rizzitelli. Luiso segna anche in Coppa Italia contro il Monza, poi Rampanti viene esonerato e il nuovo allenatore Nedo Sonetti fa capire immediatamente al centravanti napoletano che di spazio per lui ce ne sarà pochissimo, per cui meglio che si cerchi una collocazione in prestito da qualche parte. L’occasione arriva ad ottobre, Luiso va al Pescara in serie B e realizza 7 reti in 21 partite in una squadra che si piazza a centro classifica, dando la sensazione che abbia tutte le carte in regola per far gol a raffica anche in categorie importanti.
L’esplosione arriva l’anno dopo ad Avellino: gli irpini, neopromossi in serie B, gli affidano l’attacco e Luiso risponde come sa, segnando a valanga, nonostante la formazione campana sia strutturata male e resti impelagata nei bassifondi del campionato sin dalle battute iniziali. Luiso non si scompone, anzi, lotta e combatte per condurre l’Avellino alla salvezza, si muove lungo l’intero fronte dell’attacco, fa gol, spesso le sue marcature non evitano ai biancoverdi la sconfitta, ma a lui poco importa, corre dentro la porta, raccatta il pallone e lo porta a centrocampo con rabbia incitando i compagni. Il presidente avellinese Sibilia gli promette in regalo una Mercedes al raggiungimento dei 15 gol. A fine stagione l’Avellino torna in serie C, ma Luiso esce a testa altissima dal campionato con 19 reti . La Mercedes non la vorrà, non vuole godersi un regalo nel momento di una retrocessione. Ma il gol di Avellino gli valgono la chiamata del Piacenza in serie A e sarà proprio la città emiliana la seconda casa di Luiso dopo Sora, un idillio che durerà una sola annata ma che ancora oggi viene ricordato anche dagli appassionati di calcio neutrali, perchè quel Piacenza stupirà l’Italia per risultati e vezzi di uno spogliatoio da portare come esempio nelle scuole calcio. E’ il Piacenza tutto italiano, guidato in panchina da un esordiente come Bortolo Mutti e dato da tutti come spacciato ad inizio stagione; giovani sconosciuti, debuttanti, qualche calciatore esperto ma nulla che faccia ben sperare per quella che sarebbe la seconda salvezza consecutiva in serie A per i biancorossi. E invece il Piacenza stupisce tutti: l’inizio è travolgente, gli emiliani fanno punti, giocano bene e scoprono un attaccante come Luiso che sa farsi rispettare in area di rigore, segna e porta punti alla sua squadra, poi corre verso la bandierina del calcio d’angolo e balla la Macarena assieme ai compagni, andando oltre la danza di Juary o la posa di Gabriel Batistuta come statua, sempre attorno alla bandierina.
Luiso nelle prime 7 giornate va in gol ogni volta che il Piacenza sigla almeno una rete; l’attaccante napoletano segna contro Roma, Napoli, Vicenza, una doppietta alla Reggiana, un gol al Verona; poi si ripete anche a Firenze dove gli emiliani strappano un pareggio d’oro, quindi il 1 dicembre 1996 Pasquale Luiso vive quella che diventerà la giornata più gloriosa della sua vita sportiva. Allo stadio della Galleana di Piacenza arriva il Milan campione d’Italia in carica; la sfida è già di per sè carica per il popolo piacentino che vede i rossoneri come il fumo negli occhi a causa del finale del campionato 1993-94 quando lo squadrone di Fabio Capello si fece battere a San Siro dalla Reggiana all’ultima giornata, decretando così la retrocessione del Piacenza di Cagni. Inoltre, il Milan arriva a Piacenza con i dubbi e le incertezze di un avvio di stagione da dimenticare: in panchina c’è l’uruguaiano Tabarez, l’impressione è che i rossoneri siano alla fine di un ciclo e che quel campionato 1996-97 possa essere il peggiore dell’era berlusconiana. Il nuovo tecnico non piace al presidente, il Milan è in grave ritardo di classifica e rischia l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni già nella fase a gironi; l’impressione è che il futuro di Tabarez sia appeso ad un filo, nonostante le rassicurazioni di facciata di Berlusconi. La barca milanista naviga a vista, quella piacentina invece sa benissimo dove indirizzare la prua: la squadra di Mutti gioca bene, è organizzata, umile ma ambiziosa, pronta ad approfittare di un Milan che dopo 10 giornate di campionato appare aver già abdicato e sembra in piena crisi di identità.
Piacenza-Milan parte col botto: gli emiliani si portano sul 2-0 già nel primo tempo grazie alle reti di Valoti e Di Francesco, agevolate peraltro da grossolani errori della difesa rossonera e del portiere Sebastiano Rossi. Ad inizio ripresa, però, l’orgoglio milanista esce fuori e l’attaccante francese Dugarry fa rialzare la testa ai campioni d’Italia: una doppietta dell’ex punta del Bordeaux ristabilisce la parità e la sensazione è che ora l’inerzia della gara sia cambiata a favore della squadra di Tabarez che ora è pronta per vincere la partita e dare una svolta al suo campionato. Ma al minuto numero 70, Luiso decide che quella gara dovrà essere per sempre ricordata come la sua e come quella del Piacenza: il centravanti campano riceve palla sul vertice destro dell’area di rigore, spalle alla porta, palleggia per tenere a bada i difensori, poi all’improvviso si esibisce in una perfetta rovesciata che manda la sfera ad insaccarsi alle spalle di un Rossi che quasi si inginocchia, inerme di fronte ad un gesto tecnico imponente. Stavolta niente macarena, niente balli, Luiso corre impazzito sotto la curva, si toglie anche la maglia e la getta via: per il Piacenza è una vittoria storica, la prima in serie A contro il Milan, 3 punti fondamentali anche nella corsa salvezza. A fine gara, ovviamente, tutte le telecamere ed i microfoni sono per Luiso che ammette anche di aver fatto gol alla sua squadra del cuore: “Sì, sono milanista da sempre – riconosce il centravanti – ma non l’ho mai detto perchè sapevo che a Piacenza il Milan non è ben visto, quindi dicevo di tifare per le squadre romane, ma ora posso candidamente confessare di essere un tifoso rossonero”. Luiso diventa anche l’involontario carnefice di Oscar Tabarez, esonerato proprio nella notte fra quel 1 e 2 dicembre per far posto al poco fortunato ritorno di Arrigo Sacchi sulla panchina del Milan.
La stagione del Piacenza si chiuderà con la salvezza dopo lo spareggio di Napoli vinto contro il Cagliari grazie anche alla doppietta di Luiso che con 16 reti fra campionato e spareggio ottiene visibilità e riconoscimenti dall’intero calcio italiano, ora convinto che l’attaccante campano sia in grado di fare gol anche in serie A. Piacenza è ai suoi piedi, incantanta dai modi spicci ma redditizi di un calciatore a cui si potranno rimproverare alcune lacune tecniche ma non certo impegno, sacrificio e sudore per la maglia. Gli emiliani colgono l’occasione propizia e in estate Luiso finisce al Vicenza, fresco vincitore della Coppa Italia e che disputerà dunque la Coppa delle Coppe. Quella in Veneto può essere una spinta ulteriore per l’attaccante che per la prima volta giocherà in Europa; l’annata sarà a due facce: il Vicenza arrancherà in campionato, distratto dalla Coppa delle Coppe, e si salverà ad una giornata dalla fine, Luiso realizzerà 8 reti, le stesse messe a segno in Europa dove il cammino sarà trionfale. I veneti giungeranno fino alla semifinale, giocata contro il Chelsea, vinta 1-0 in uno stadio Menti pieno come non mai, ma persa in rimonta 3-1 a Stamford Bridge con la rete iniziale proprio di Luiso che non basterà a portare i biancorossi in finale, anzi, proprio nei minuti di recupero lo stesso Luiso non riuscirà a spingere da pochi passi la palla in porta, rimanendo accasciato a terra per qualche interminabile minuto, divenendo così l’emblema di una serata epica ma sfortunata per tutta la Vicenza del calcio. L’ex attaccante del Piacenza sarà però il capocannoniere dell’intera manifestazione, una consolazione parziale ma comunque gratificante per un calciatore ormai affermato e alla ricerca della grande occasione per il definitivo salto di qualità.
Nell’estate del 1998 Luiso viene accostato al Milan, ma alla fine il tecnico Alberto Zaccheroni gli preferisce la conferma di Ganz e l’arrivo dello sconosciuto argentino Guglielminpietro che finirà poi a fare l’ala. Una stagione nata male per Luiso, il Vicenza è in difficoltà, non riesce a ripetere le belle stagioni precedenti, lui fa quel che può ma spesso è relegato in panchina, così a gennaio scende in serie B e torna al Pescara dove vive un finale di campionato incandescente coi biancoazzurri che perdono la serie A per un soffio all’ultima giornata e a vantaggio della Reggina. Luiso torna al Vicenza, nel frattempo retrocesso in serie B, contribuisce con 13 gol al ritorno dei veneti in A, poi a gennaio del 2001 passa alla Sampdoria, sempre in B, dopo aver capito che a Vicenza per lui non c’è più posto. A 31 anni, il Toro di Sora cerca ancora gloria, ma ne trova sempre meno: a Genova segna 10 reti il primo anno e solo 3 il secondo, i blucerchiati mancano la promozione e il centravanti napoletano resta svincolato. Si accorda con l’Ancona, poi va in prestito alla Salernitana, quindi torna nelle Marche con i dorici in serie A a prendere sberle da chiunque e Luiso a sbattersi in attacco fino a gennaio quando la società decide di vendere metà della rosa e rimpiazzarla con vecchietti ormai a fine carriera, Luiso passa al Catanzaro in serie C1 dove ottiene la promozione in serie B.
Sono gli ultimi fuochi di una carriera che vede il bomber campano tornare per altre due volte a Sora prima in serie C e poi in Promozione, intervallate da brevi esperienze a Teramo, Celano e Priverno. Circa 200 gol in carriera fra serie A, coppe europee e serie minori, tanta grinta e tenacia che hanno costruito una carriera costellata di soddisfazioni e qualche rimpianto per non aver mai avuto la possibilità di confrontarsi con una piazza veramente grande. Forse quel soprannome, Toro di Sora, ha rappresentato un ostacolo nel percorso professionale di Luiso, fungendo da deterrente e facendo pensare ad un semplice bomber di provincia. Come sarebbe cambiata la storia non può saperlo nessuno, ma la vita calcistica di Pasquale Luiso, oggi allenatore, è passata da Sora a Sora portando con sé gol ed il temperamento di chi riesce ad affermarsi con la sola forza dei propri mezzi.
di Marco Milan