Amarcord: esoneri, salvezza e Coppa Italia, il movimentato 2002 del Parma
Si dice che nei gloriosi anni novanta al Parma della famiglia Tanzi sia mancato solo lo scudetto. Una deduzione logica e corretta se si pensa ai trionfi europei e alle Coppe Italia portati a casa dalla compagine emiliana nel giro di una decina d’anni dopo il completo anonimato delle epoche precedenti. Al Parma non è mancato nulla, in effetti: soldi, fama, grandi campioni, coppe e perfino un’annata disgraziata a fronte di una rosa importante ed imponente; una stagione, quella 2001-2002, che resta ad oggi controversa, unica ed indimenticabile.
L’estate del 2001 è burrascosa a Parma: la squadra gialloblu ha chiuso l’ultimo campionato al quarto posto e si è qualificata per i preliminari della Coppa dei Campioni, ma ben presto si capisce che il Parma bello, forte e baldanzoso sta per lasciare spazio ad un progetto più ridimensionato. Il sogno di vincere lo scudetto, iniziato a metà anni novanta, si è ormai esaurito e la famiglia Tanzi, proprietaria del club e del colosso Parmalat, si prepara a vendere i pezzi più pregiati della squadra: Gianluigi Buffon e Lilian Thuram passano alla Juventus, in Emilia arrivano il giovane portiere francese Sebastien Frey e gli ex romanisti Amedeo Mangone ed Hidetoshi Nakata, neo campioni d’Italia coi giallorossi capitolini. In difesa è rimasto Fabio Cannavaro, in attacco Marco Di Vaio che sarà il punto di riferimento dell’intera annata, mentre in panchina c’è l’esperto Renzo Ulivieri, arrivato a Parma nel gennaio precedente al posto di Alberto Malesani. Le cose si mettono subito male per i ducali che nel preliminare di Coppa Campioni vengono eliminati dai francesi del Lilla che si impongono 2-0 al Tardini rendendo inutile l’1-0 del Parma in Francia nella gara di ritorno. E’ un duro colpo per l’intero ambiente parmense, anche se nessuno sa che il peggio deve ancora venire.
Se la Coppa dei Campioni è sfumata prima ancora di cominciare veramente, infatti, il campionato parte male per il ridimensionato Parma: alla prima giornata, i gialloblu impattano 1-1 a Lecce e Frey combina un pasticcio grossolano regalando a Chevanton il gol del vantaggio pugliese, aumentando i rimpianti non solo per l’addio di Buffon ma anche per il mancato approdo in Emilia di Francesco Toldo che, alla pari di Manuel Rui Costa, rifiuta il trasferimento a Parma preferendo l’Inter così come il portoghese sceglie il Milan. Due dei grandi rifiuti che Parma subisce in quegli anni, rendendosi conto che alle volte una metropoli conta più di un progetto sportivo; alla seconda giornata arriva al Tardini proprio l’Inter di Toldo, subissato di fischi ed insulti dalla curva parmense per tutto l’incontro che termina 2-2 con pareggio del Parma di Bonazzoli quasi allo scadere. Dopo la sconfitta nel derby di Bologna e la soffertissima prima vittoria contro il Brescia grazie a Nakata a 5′ dal termine, a Parma serpeggia pessimismo, scoramento e delusione; forse la città si è imborghesita dopo anni di gloria, forse lo spogliatoio stesso vive un momento di rivoluzione interna e non sa bene in che dimensione si trovi. Fatto sta che dopo i 2-2 interni contro Piacenza e Verona, intervallati dal ko in casa del neopromosso Chievo (sorpresa del torneo e da molti ribattezzato il Parma del 2000), Ulivieri viene esonerato e al suo posto arriva Pietro Carmignani, una soluzione temporanea perchè il vero obiettivo dei Tanzi è portare a Parma Carlo Ancelotti, libero dopo l’esperienza alla Juventus terminata nel giugno precedente.
Dirigenza ed allenatore sono d’accordo su tutto, il tecnico reggiano sale in macchina alla volta della città emiliana per firmare il contratto, ma appena partito riceve la telefonata di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, la squadra in cui Ancelotti ha conquistato i suoi più grandi successi da calciatore: “Carlo, abbiamo esonerato Terim, torna da noi”. L’allenatore è tentato, ma ha ormai dato la sua parola al Parma: “Signor Galliani, la ringrazio, ma sono già d’accordo con Tanzi, non posso ritirarmi ora, sto andando a firmare”. Galliani non si dà per vinto, spinto da Silvio Berlusconi in persona che vuole a tutti i costi ripartire da Ancelotti: “Carlo vieni da noi – insiste il dirigente milanista – parliamone almeno”. Il richiamo del Milan è troppo forte, Ancelotti ferma la macchina, ci pensa un attimo, poi chiama il Parma e comunica di averci ripensato: “Faccio una brutta figura, lo so, ma non posso più accettare”, dice con voce colpevole ma decisa, tanto che lo stesso Tanzi, seppur furibondo, capisce e non replica. Ancelotti torna casa, si fa raggiungere da Galliani con cui, davanti a salumi, formaggi e vino rosso, viene siglato il contratto che lo lega al Milan e che porterà trionfi a ripetizione per il club rossonero. Il Parma resta con il classico pugno di mosche in mano, la società non sa che fare, non si aspettava il dietrofront di Ancelotti ed ora deve ripartire da zero con una classifica pericolante ed uno spogliatoio in subbuglio.
La scelta del nuovo tecnico ricade su Daniel Passarella, un nome importante da calciatore ma un’esperienza da allenatore in chiaroscuro con la guida delle nazionali di Argentina ed Uruguay finite entrambe tra le polemiche. Passarella è un duro, viene considerato una sorta di sergente di ferro ed il suo arrivo a Parma divide l’ambiente: c’è infatti chi lo considera la persona giusta al posto giusto per rimettere insieme i cocci di un gruppo disunito e chi lo vede come una figura che di Parma non sa nulla, che non conosce la serie A e che è troppo altezzosa e supponente per calarsi in una realtà delicata come quella gialloblu dell’autunno 2001. Il tecnico argentino fa la voce grossa sin dall’inizio, sembra un militare, ha modi rudi e determinati, può sfruttare la settimana di sosta che la serie A osserva fra il 4 e il 18 di novembre. In mezzo c’è però il primo turno di Coppa Italia e se il buongiorno si vede dal mattino, Passarella avrebbe già dovuto capire che brutta aria tirasse in Emilia: il Parma elimina a fatica il Messina che è una neopromossa della serie B in lotta per salvarsi; i ducali vincono 2-0 in Sicilia ma rischiano grosso al ritorno quando i giallorossi siculi si impongono 2-1 al Tardini sfiorando la clamorosa qualificazione. L’esordio di Passarella in campionato è il più complicato possibile perchè si tratta della trasferta di Torino contro la Juventus: al Delle Alpi il Parma non sfigura, ma esce sconfitto 3-1 pur mantenendo la parità fino a un quarto d’ora dalla fine. Una settimana più tardi a Parma arriva il Milan, proprio quel Milan del grande traditore Ancelotti: il pubblico ignora il tecnico rossonero, ma assiste alla sconfitta dei suoi beniamini, battuti 1-0 da una rete di Filippo Inzaghi, un altro ex di giornata. Passarella davanti ai microfoni è sempre serafico, calmo e sicuro di sè, ma molto meno sembra esserlo la squadra che perde anche a Udine 3-2 dopo essere stata in vantaggio 2-0, e in casa contro la Roma, anche qui in rimonta. Il 15 dicembre a Bergamo, i gialloblu vengono seppelliti dalla valanga atalantina: finisce 4-1, Passarella per la prima volta sembra rendersi conto della situazione, le telecamere lo scorgono affranto in panchina.
Troppo tardi, però, perchè alle 10:45 del 18 dicembre gli organi di stampa diramano il comunicato dell’esonero di Daniel Passarella che lascia l’Italia col poco invidiabile percorso di 5 sconfitte in altrettante partite alla guida del Parma. Sulla panchina emiliana torna Pietro Carmignani, confermato fino al termine della stagione e che parte col piede giusto riportando il Parma alla vittoria 2-0 contro la Fiorentina e 4-3 a Venezia una settimana più tardi grazie ad una tripletta di Marco Di Vaio, forse l’unica nota lieta di una prima metà di stagione da incubo per il club parmense, pesantemente invischiato nella lotta per non retrocedere. Carmignani porta calma nello spogliatoio, del resto l’organico è più che buono e con maggiore tranquillità la squadra potrebbe risalire la classifica almeno fino a metà; i gialloblu, nel frattempo, avanzano sia in Coppa Italia dove tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio eliminano l’Udinese, e sia in Coppa Uefa dove arrivano alla sosta invernale con gli ottavi di finale in tasca dopo aver eliminato i finlandesi dell’HJK Helsinki, gli olandesi dell’Utrecht e i danesi del Brondby. In campionato, all’inizio del girone di ritorno, il Parma vince 3 delle prime 5 partite, perdendo solo a San Siro contro l’Inter capolista, poi fra alti e bassi riesce ad uscire dalla zona rossa della classifica, anche se l’apprensione resta perchè arrivano le inattese sconfitte in casa col Torino, a Verona e a Perugia, a cui fanno seguito però successi inattesi come i due 1-0 al Tardini contro Lazio e Juventus.
In Coppa Uefa, intanto, giunge l’eliminazione per mano degli israeliani dell’Hapoel Tel Aviv, mentre in Coppa Italia tutto fila liscio perchè i ducali eliminano il Brescia in una sfida che verrà ricordata come maledetta, una volta rinviata a causa della tragica morte del difensore bresciano Vittorio Mero, un’altra teatro del drammatico infortunio di Roberto Baggio, ritrovandosi inaspettatamente in finale dove sfideranno la Juventus. Un traguardo inatteso, ma che certifica la bontà della rosa parmense e l’ottimo lavoro di un professionista serio come Carmignani, impegnato a trascinare il Parma sempre più lontano dai bassifondi della classifica, impresa centrata nelle ultime giornate grazie al successo contro l’Udinese, al pari interno con l’Atalanta e alla vittoria di Firenze che certifica l’aritmetica salvezza degli emiliani, un obiettivo che solo alla vigilia di Natale appariva irraggiungibile. Il 25 aprile 2002 allo stadio Delle Alpi il Parma viene inizialmente surclassato dalla Juventus che sta per vincere lo scudetto e che intanto vuole portarsi a casa almeno la Coppa Italia: i bianconeri di Lippi si portano agevolmente sul 2-0, segnando con Nicola Amoruso su calcio di rigore al 5′ e raddoppiando con l’uruguaiano Zalayeta al 12′. Il Parma sembra ko e la Juve amministra comodamente il doppio vantaggio; un minuto dopo il 90′, però, una distrazione della difesa juventina offre a Nakata la possibilità di accorciare le distanze ed il centrocampista giapponese non se la fa scappare: 2-1, un risultato che permette al Parma di rientrare clamorosamente in gioco in vista del ritorno.
10 maggio 2002: il campionato è appena terminato, la Juventus lo ha vinto in maniera pirotecnica, ha sorpassato l’Inter all’ultima giornata, mentre il Parma ha festeggiato la salvezza davanti ai suoi tifosi vincendo 2-1 contro il retrocesso Venezia. Allo stadio Tardini non c’è spazio neanche per uno spillo sugli spalti: i tifosi spingono il Parma verso la rimonta, nonostante la forza dell’avversario e gli oltre 5 mila juventini nel settore ospiti dell’impianto emiliano. Passano appena 5 minuti ed il terzino sinistro brasiliano Junior porta in vantaggio i padroni di casa con una conclusione beffarda che supera difesa e portiere della Juventus. Sarà anche il gol partita perchè per quanti sforzi facciano, i neo campioni d’Italia non sfondano il muro gialloblu e il Parma porta a casa la coppa proprio nell’anno più inatteso e proprio contro quella stessa Juve che poco meno di un anno prima l’aveva privato di due pilastri come Buffon e Thruam. A Parma è festa grande, si brinda a quello che ad oggi resta l’ultimo trofeo messo in bacheca dagli emiliani, si brinda ad una salvezza che ad un certo punto era diventata un miraggio e si brinda ad un’annata che, nonostante auspici negativi, si è comunque rivelata positiva.
Il Parma chiude il campionato 2001-2002 al decimo posto con 44 punti, Marco Di Vaio è terzo nella classifica dei marcatori con 20 reti, dietro solamente alla coppia vincitrice Hubner-Trezeguet (24 reti ciascuno) e a Christian Vieri dell’Inter (22 segnature). I gialloblu portano a casa la Coppa Italia, la quarta della loro storia in appena 11 anni di serie A, e restano a galla nonostante l’annata più disgraziata della loro pur breve avventura fra i grandi; tre allenatori, una serie epocale di rifiuti, un evidente ridimensionamento: nulla, in quel 2002, ha fatto cadere il Parma, quel Parma, orgoglioso ed operaio, forse ancor più combattivo di quello che trionfava in Europa appena qualche anno prima.
di Marco Milan