Amarcord: l’anno in cui anche ad Ascoli ha giocato Maradona
Portarsi addosso un cognome come Maradona non deve essere facile per nessuno, se poi fai anche il calciatore e vai a giocare nello stesso campionato di Diego Armando, allora vuol dire che un po’ te la vai a cercare. Hugo Maradona, fratello del Pibe de Oro, non era un fuoriclasse, forse neanche un buon giocatore: ha provato anche lui l’avventura italiana, ad Ascoli, accolto per fare un favore a suo fratello. Ecco com’è andata.
Estate 1985: si disputa in Cina il primo campionato del mondo Under 16, manifestazione in cui a brillare è un talento dal cognome pesante. Si tratta infatti di Hugo Maradona, fratello minore del più celebre Diego che già da un anno gioca in Italia, nel Napoli, squadra che si appresta a far diventare grande. Hugo, classe 1969, è un centrocampista offensivo, la sua fisionomia è assai simile a quella del fratello, ma le similitudini si fermano qui perchè rispetto al fuoriclasse del Napoli, lui è schivo, non ama i riflettori e in campo gioca diversamente, a cominciare dal piede preferito che è il destro. Eppure nel mondiale cinese, Maradona jr. appare ricco di talento, calcia benissimo le punizioni, ha tecnica e classe da vendere, evidentemente una caratteristica di famiglia e di DNA. Come Diego, anche Hugo gioca nell’Argentinos Juniors, non ha neanche 17 anni quando debutta nella massima divisione argentina destando un’ottima impressione.
E’ lo stesso Diego Armando a tessere le lodi del fratello: “Hugo è fortissimo – afferma in un’intervista durante il ritiro estivo del Napoli – e non mi sorprenderei se alla fine diventasse migliore di me”. Forse mente sapendo di mentire, o forse l’amore per il fratellino gliele fa sparare un po’ grosse, fatto sta che in pochi credono possibile che il piccolo Maradona possa diventare più forte di quello che è a tutti gli effetti il miglior calciatore del mondo, destinato ad essere ricordato come il più grande di tutte le epoche. Nell’estate del 1987, Diego Armando Maradona pressa la dirigenza del Napoli: “Acquistate mio fratello”, dice a Luciano Moggi un giorno si e l’altro pure, anche se inizialmente il dirigente lo sta a malapena a sentire. Nè Moggi nè lo staff tecnico del Napoli se la sentono di investire sul piccolo Maradona, ma soprattutto non vogliono utilizzare uno dei posti per gli stranieri con lui; ma Diego Maradona a Napoli è più importante del sindaco, per i napoletani è più importante pure del Papa, starlo ad ascoltare è quasi un dovere, così come prendere in considerazione sul serio l’ipotesi di mettere suo fratello Hugo sotto contratto. E Diego continua a pressare Moggi e Ferlaino, pressa molto più loro che gli avversari in campo, finchè non viene accontentato.
Il Napoli trova il compromesso: tesserare Hugo Maradona e girarlo in prestito ad un’altra società del campionato. Del resto il ragazzo è giovane, non ha ancora compiuto vent’anni, è giusto che vada a fare qualche esperienza in formazioni che lotteranno per non retrocedere; per giocare a Napoli assieme al fratello c’è tempo. Non lo dice chiaramente, Moggi, ma la sensazione è che Maradona jr. sia bravino ma niente a che vedere con Diego, per cui meglio andarci cauti e coi piedi di piombo, osservare come se la cava in Italia e poi tirare le somme, mettere anche il Pibe de Oro davanti ai fatti, belli o brutti che siano. All’inizio si fanno avanti Pescara e Pisa, ma dopo qualche colloquio (e forse qualche videocassetta vista) la loro risposta è negativa; troppo alto il rischio di prendere una cantonata, soprattutto perchè Hugo Maradona è un classe ’69, ha diciott’anni appena, per salvarsi in serie A serve anche pelo sullo stomaco, non basta qualche guizzo da giocoliere. Alla fine la spunta l’Ascoli, grazie anche agli ottimi rapporti fra il presidente Costantino Rozzi e Moggi; Hugo Maradona giocherà nelle Marche il campionato 1987-88, a fine stagione anche il Napoli farà le sue valutazioni.
“Ad Ascoli sbarca Maradona”, scrivono i giornali marchigiani, in preda ad un’incontrollata eccitazione che non coinvolge però tutti, perchè in molti hanno qualche riserva, soprattutto in relazione all’età del calciatore, ma anche pensando che se un abito non fa il monaco, neanche un cognome può fare il fuoriclasse. L’Ascoli è società ben organizzata, vive ormai da anni la serie A, pur con alti e bassi, cadute e risalite, ma è gestito alla perfezione da Rozzi che ha competenza e passione, sa scegliere bene sia i calciatori che gli allenatori, trasformando la compagine ascolana in una fucina ottima per il salto di qualità. In panchina c’è già da un anno Ilario Castagner, tecnico esperto e capace di condurre alla salvezza i bianconeri nella stagione precedente, con l’ambizione di centrare l’impresa anche stavolta. L’allenatore è prudente su Maradona, in ritiro non si esprime, anche se le qualità tecniche del giovane argentino sono innegabili; meno cauto è invece il presidente Rozzi che assicura che Maradona jr farà faville in campionato, che i compagni di squadra lo sostengono e proteggono, e che le doti del ragazzo sono simili a quelle del fratello. Insomma, i tifosi dell’Ascoli non si pentiranno di affollare le tribune dello stadio Del Duca per ammirare Hugo Maradona, un ragazzino dal cognome troppo importante da sopportare.
L’esordio in prima squadra e dal primo minuto avviene subito, alla prima giornata, il 13 settembre 1987: Ascoli-Roma termina 1-1, Maradona fa vedere lampi di classe, ma si intuisce subito che ci si trovi di fronte ad un talento ancora acerbo e che la serie A sia troppo dura per lui che, oltretutto, appare lontanissimo da un peso forma accettabile e dalla voglia di scarificarsi quando la squadra non è in possesso di palla. In pratica, Hugo vorrebbe il pallone fra i piedi per fare tutto da solo e poi aspettare che i compagni lo riconquistino quando a farsi avanti sono gli avversari. Comodo per lui, molto meno per l’Ascoli e per Castagner che ci mette una manciata di giorni per capire che rischia di giocare con un uomo in meno se insiste sul piccolo Maradona. Alla seconda giornata si gioca Napoli-Ascoli e Hugo parte dalla panchina; foto insieme al fratello Diego nel pre partita, ingresso in campo a mezz’ora dalla fine con i campani avanti 2-1, nessuno spunto per il minore dei fratelli. Altre due gare da titolare senza guizzi e l’argentino finisce in panchina, rimpiazzato da giocatori meno fantasiosi ma certamente più utili alla causa dei bianconeri che devono lottare per la sopravvivenza in serie A.
Il fratellino di Diego si arrabbia, reclama spazio, vuole giocare, ma a Castagner le lagne del centrocampista entrano da un orecchio e fuoriescono dall’altro. Le doti tecniche non bastano, al tecnico dell’Ascoli servono calciatori in grado di correre, lottare e combattere per l’obiettivo salvezza, mentre Maradona jr appare incapace di sacrificarsi, tanto in allenamento quanto in partita, oltre al fatto che anche il suo estro non è costante, forse per la giovane età, forse perchè nel suo DNA non c’è proprio la mentalità dell’atleta come si deve. Il campionato dell’Ascoli scivola via come il precedente, con lo stesso risultato, 12.mo posto e salvezza; ben presto, l’avvincente duello al vertice fra Napoli e Milan sposta la luce dei riflettori sull’altro Maradona, quello vero (diranno i più maligni), mentre su Hugo si spengono. Definitivamente. Il ragazzo chiude la stagione con appena 13 presenze (3 soltanto da titolare) e nessuna rete, l’Ascoli se ne guarda bene dal riconfermarlo ed anche suo fratello Diego si accorge che il campionato italiano è troppo duro per il carattere del secondo rampollo di casa.
Hugo Maradona troverà fortuna in Venezuela, ma soprattutto in Giappone dove fra l’inizio e la metà degli anni novanta si affermerà come uno dei migliori elementi della lega nipponica, segnando anche tanto con le maglie del Futures Shizuoka (31 gol in due stagioni) e del Fukuoka con cui mette a segno 27 reti in altrettante partite nell’annata 1994-95. Chiuderà la carriera da calciatore nel 1999 ad appena trent’anni per aprire una scuola calcio a Miami e dopo essere diventato allenatore. Dal 2012 risiede in Campania dove ha fondato la Mariano Keller, società giovanile della quale è tecnico e responsabile, nel tentativo di scovare talenti in erba in giro per la regione. Del suo unico anno da giocatore in serie A viene ricordata un’eco mediatica enorme e sproporzionata, dettata da un cognome inversamente proporzionale al rendimento di quello che, a conti fatti, era un semplice buon calciatore.
di Marco Milan
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