25 Aprile, la Liberazione raccontata dagli anziani
Siamo onesti: quando sentiamo “25 aprile”, tutti noi pensiamo al ponte. Per alcuni è un momento di respiro dal duro lavoro, per altri un appuntamento con lo stress per capire dove passarlo e con chi. Difficilmente riflettiamo davvero su questa festa, complice una retorica che scade nel cliché o peggio, le sterili polemiche che vengono portate avanti nel mondo politico, come quelle avvenute in questi giorni in casa gialloverde.
Ma il 25 aprile non è solo una data sui libri di storia. Quel giorno sono cambiate molte vite e l’unico modo per capire davvero cosa festeggiamo è ascoltare le storie di chi ha vissuto quei momenti.
Parlare con gli anziani è meglio di consultare Wikipedia; certo, il racconto è meno didascalico, ma ne emergono le sensazioni e gli aneddoti. E’ qualcosa che ho imparato grazie all’amicizia con gli anziani del Policlinico Italia, una RSA di Roma dove è facile incontrare pagine di storia viventi.
Una di esse è Bianca P., di novantasette anni, “quasi cento” ama dire lei, originaria del Rione Prati di Roma. La trovo assorta in un solitario di carte, e alla mia domanda su cosa pensi del 25 aprile, mi risponde con estrema naturalezza.
Be’ sa, per allora era importante, forse oggi non si capirà, ma noi eravamo veramente oppressi. Non sapevamo che fare. Non potevamo parlare […] noi avevamo paura, è logico.
Bianca aveva vent’anni quel 25 aprile del 1945 e la prima cosa che ricorda di quel giorno è il chiasso. “Mi ricordo che aprii la finestra, avevo la persiana chiusa, però non riuscii a vedere…”.
Fu una bella sorpresa capire che la guerra era finita e prosegue il racconto parlando della sua famiglia:
Andammo tutti a San Pietro, dal Papa. Ci era giunta la voce che era finita la guerra e noi sapevamo che Pio XII stava… collaborando perché la smettessero.
Anche Marcella M., silenziosa e garbata, mi permette di disturbarla nel salottino dove ascolta la tv. Ricorda con piacere quando a diciassette anni vide l’arrivo degli Alleati a Borgo Velino, dove viveva.
Fu una grande festa, tutti erano scesi nelle strade. Gli Americani avevano portato la cioccolata, il pane. […] Io guardavo affacciata al balcone, non potevo scendere perché mia mamma non voleva.
Per Marcella, quel giorno significava tirare un sospiro di sollievo dopo l’occupazione tedesca. “Mio fratello dovevamo tenerlo nascosto” racconta “se no i tedeschi se lo portavano via.”
La sua amica Mirella M., di ottantasei anni, nata e cresciuta a San Lorenzo, invece ha un ricordo più dolceamaro di quel giorno. Quel venticinque aprile per lei arrivava a pochi mesi dal suo rientro dalle Marche, dove si era rifugiata dopo i bombardamenti contro il vicino scalo da parte degli Alleati.
Mi ricordo che hanno ammazzato, senza volere, un mio vicino.” mi confida spiazzandomi “Quello per la felicità je è annato incontro alle camionette […] ed è finito sotto.” La ragione di tanta gioia per l’arrivo di quelli che poco tempo prima erano i nemici? Semplice! “Era finita la guerra.
Anche Mirella riserva un posto speciale tra i suoi ricordi alla cioccolata, una meraviglia per una bambina di sette anni, cresciuta con le razioni della Tessera Annonaria.
Ma quello che davvero ricorda con gioia non è l’arrivo degli Americani, per i quali (per ovvie ragioni) non ha molta simpatia. A farla sorridere è ripensare a come il suo quartiere sia tornato a vivere.
Sono tornati tutti i soldati che ancora erano vivi, compreso mio padre.” e qui aggiunge un aneddoto molto personale sulla sua famiglia “pensa che mio padre s’è salvato perché gli avevano fregato gli scarponi. Quindi, quando fu il momento di andare sul treno pe andà in Jugoslavia, gli hanno detto ‘no tu sei senza scarpe, no’. E così s’è salvato, perché poi un gruppo del dipartimento di papà è andato in Russia, e da lì non è tornato nessuno.
Tornando a quel giorno racconta:
I parenti uomini erano in guerra, altri parenti facevano i partigiani ed eravamo rimasti solo un popolo di donne. Allora finalmente quando sono tornati i soldati, quando i partigiani hanno finito di combattere, si sono riunite le famiglie.
Sulla Festa della Liberazione dice:
Il 25 aprile per me è giusto festeggiarlo, perché è stato la fine di un’epoca. Dopo noi italiani ci siamo rimboccati le maniche. […] Le case so state ricostruite. La gente ha ricominciato a lavorare e soprattutto c’era tanta solidarietà.
Dei racconti preziosi, che ci fanno apprezzare di più la Festa e ci ricordano che la Storia con la S maiuscola non è che l’intreccio di tante storie personali.