Il Mito del diritto

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’editoriale del filosofo Giuseppe Carcea

Ricordate il famoso adagio: “ogni giorno una gazzella deve essere più veloce di un leone per non diventare il piatto preferito di quest’ultimo”; ogni giorno  – aggiungiamo – c’è un essere umano che potrebbe decidere di non commettere un omicidio in quanto è libero di non farlo. Il delitto deve tenere conto del diritto di ogni persona di rimanere viva e il dovere di ogni Altra di non uccidere, senza escludere la libertà di ognuno. La libertà, il dovere, il diritto, se dovessimo indicare chi, tra questi tre importanti fondamenti della Democrazia e dell’etica, porti lo scettro, dovremmo dare la precedenza allo Stato di diritto, vero e proprio orgoglio della Società democratica.

Perché il diritto è addirittura più importante della libertà e del dovere? Cercheremo di argomentarlo, senza nessuna pretesa di esaustività, prendendo spunto da un leitmotiv della filosofia del ‘900, la celebre affermazione di J.S. Sartre: “L’Inferno sono gli altri”. Ebbene, niente di più emblematico nella riflessione di questo grande intellettuale della contrapposizione tra libertà e dovere. Cerchiamo di comprendere per quale motivo “gli Altri” sono la porta spalancata sull’inferno; chi sono, in fondo, gli Altri? Sono coloro che “ci chiamano” a un continuo confronto con le nostre responsabilità, ci spingono a prendere posizione di fronte alle conseguenze delle nostre scelte, divenendo la misura della cura che ognuno ha del suo prossimo.

Quando Sartre dice che un soldato, venendo meno al dovere di ubbidire, può rifiutarsi di procedere alla fucilazione di un prigioniero, sceglie, sapendo bene che decide al prezzo della propria vita. Come possiamo constatare, la libertà è nella sua essenza il nulla dell’essere, non si può cedere la propria libertà all’Altro se non previo sacrificio di quella personale: la follia della Croce ne è l’evidenza assoluta. Anche per Luigi Pareyson la libertà è assoluta, o non è, quindi sfuggendo alla responsabilità, l‘agire libero si palesa come lasciare essere il male, per il Nostro è “Meglio il male libero che il bene imposto”. Mentre, il dovere di ubbidire presuppone il senso di colpa, non come esito possibile – il famoso prezzo da pagare -, ma come presupposto ab origine della doverosità stessa. Per questo motivo, Etienne de la Boetie, amico del più famoso Montaigne, nel suo libello dal titolo esplicativo: “Saggio sulla servitù volontaria” ha affermato che gli esseri umani sfuggono alla libertà e preferiscono delegare qualcuno che decida per loro conto, assumendosi il peso del dovere e delle responsabilità. Ma, dobbiamo per forza di cose delegare qualcuno o possiamo dissimulare la nostra responsabilità nella filiera impersonale di rimandi al codice, alla legge? Vediamo cosa ha risposto Hannah Arendt, la quale ha assistito al processo del nazista Adolf Eichmann. La filosofa di origine ebrea ha riferito che i giudici, rivolgendosi  all’imputato in questione,  gli  hanno  chiesto,  più  di una   volta,  quale fosse il motivo di tanto accanimento contro gli ebrei, Eichmann, con calma impassibile ha risposto sempre allo stesso modo: “Ho ricevuto degli ordini e li ho eseguiti”. La Arendt ha commentato affermando che, in genere, la gente comune immagina che il male sia incarnato da chissà quale creatura diabolica, mentre di fronte ai giudici sedeva un personaggio assolutamente ordinario che parlava con voce pacata.”Questa è la banalità del male”, ha affermato la Arendt, davanti ai suoi occhi c’era un burocrate, un borghese che dissimulava il dovere e la propria libertà nel regolamento, sfuggendo sia al suicidio, che al peso della colpa. Di fronte a tutto questo ci sembra di ascoltare Sartre: l’uomo non potrà mai cambiare l’ordine delle cose se non sfuggendo alla propria responsabilità e allo stesso tempo sperimentando, in ogni decisione, l’amarezza del fallimento e dello scacco della libertà. Essere liberi per cosa? L’uomo, in fondo, è una passione inutile. Quindi, a ben vedere, non rimane che il diritto (?), non si sente dire altro che: “Ho un diritto! rivendico un mio diritto! ho il diritto di non rispondere! voglio riconosciuto questo diritto! ecc.”; alla fine, lo jus ingloba la libertà e neutralizza il senso del dovere, finendo per nascondere, perfino, il delitto, il senso di colpa, l’arroganza, l’autodeterminazione fine a se stessa, gettando le basi di una società incolpevole. Una società incolpevole è una società in cui la libertà e i diritti sono considerati sinonimi, per cui spesso le scelte e le decisioni vengono effettuate in nome di un diritto-sedativo che anestetizza la coscienza tenendola al riparo dalle responsabilità. La lotta per i diritti ha lasciato il posto alla guerra dei diritti, andando al di là del misurato equilibrio con cui le democrazie occidentali hanno da sempre provveduto a contenere le diverse Weltanschauungen etico-morali, proprie della sfera “calda” della formazione del consenso in quella ”fredda” della legittimazione al voto.

Concludendo, a nostro avviso, da sempre le società democratiche ospitano al loro interno delle tecnicalità giuridiche che hanno permesso di invadere la sfera della vita, della libertà e dell’obbligo, aprendo la strada alla bio-politica. Quest’ultima, non è solo la sfrenata corsa alla ricerca di norme e regole per rendere possibile l’accesso legittimo alla manipolazione della vita biologica; infatti, siamo convinti che non sarebbe stato possibile l’intervento sul genoma, l’utero in affitto, l’aborto, la clonazione se il diritto, per primo, non avesse reso accessibile a ogni essere umano l’illusione di disporre della propria vita, effettuando su di essa il controllo che in realtà può essere garantito solo da chi detiene il capitale per la ricerca e lo sviluppo. Ecco ricomparire gli esperti e, soprattutto, la tanto osannata neutralità scientifica, in nome dei quali vengono stabiliti i confini della vita e della morte.

(di Giuseppe Carcea)

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