Amarcord: l’incanto del Molenbeek, una favola durata troppo poco
Un soffio. Non abbastanza per restare impresso nella memoria della maggior parte degli appassionati, ma sufficiente ad entrare lo stesso nel mito del calcio. La squadra del Molenbeek, da tutti chiamata semplicemente RWDM, ha stupito il Belgio e l’Europa per un brevissimo spazio di tempo, come i supereroi che arrivano, salvano il mondo e se ne tornano da dove sono venuti, senza dire o pretendere nulla.
Dalla fusione di ben 4 club di Bruxelles, nel 1973 nasce il Racing White Daring Molenbeek, che in Belgio abbrevieranno subito in Molenbeek, o RWD Molenbeek o molto semplicemente in RWDM, parlando per acronimi come piace fare ai paesi del nord Europa. E’ una piccola società, sorta in un sobborgo della capitale belga, qualche chilometro ad ovest del centro; è strano “partorire” una squadra di calcio nel 1973, quando la storia è stata già scritta e sta semplicemente aggiungendo un capitolo dopo l’altro, sembra che non ci sia posto per aggiungere nuovi paragrafi. In Belgio, poi, Anderlecht e Bruges si danno continue spallate per aggiudicarsi il campionato, la Pro League, e di certo non stanno a preoccuparsi di un sodalizio nato alla periferia di Bruxelles in cui si campa di stenti e povertà e in vita solamente per la fusione di non si sa quante altre squadre che da sole non riuscivano a sostenersi ed hanno preferito mescolarsi in un’unica franchigia che viene comunque iscritta alla serie A.
La proprietà del Molenbeek è affidata a due soci, Jean L’Ecluse e Jean Gooris, appare immediatamente una società ambiziosa, in campo la squadra è organizzata bene e al primo campionato della sua storia raggiunge addirittura il terzo posto, dietro a Bruges e Standard Liegi, collezionando appena 3 sconfitte nelle 30 giornate del torneo. Un risultato sorprendente che consente alla neonata compagine fiamminga di disputare l’anno dopo anche la Coppa Uefa, competizione nella quale stupisce già al primo turno quando fa fuori il quotato Espanyol, sconfitto 3-0 a Barcellona. L’avventura finisce subito dopo, l’RWDM esce di scena per mano dei portoghesi del Vitoria Setubal ma solo per differenza reti, destando però un’ottima impressione e confermandosi squadra solida, organizzata e ricca di talento. In Belgio pensano si tratti di un fuoco di paglia, di una fortuita casualità, ma il Molenbeek fa sul serio e arriva terzo anche in quella stagione, a pari punti con l’Anversa e a sole due lunghezze dall’Anderlecht campione. Ancora Coppa Uefa, dunque, ma soprattutto il paese inizia a capire che quella piccola ma agguerrita società sta gettando le basi per qualcosa di veramente importante.
L’avventura in Uefa del Molenbeek termina nuovamente al secondo turno: i belgi si arrendono agli olandesi del Twente dopo aver fatto fuori gli scozzesi del Dundee. Ma è il campionato l’obiettivo dichiarato della squadra di Bruxelles che si sente pronta per sfidare le rivali e portarsi a casa un titolo che sarebbe storico, inimmaginabile appena due anni prima. L’allenatore è Felix Week, uno che da calciatore faceva il portiere e che aveva difeso la porta dell’Anderlecht per 11 anni divenendo un simbolo della principale formazione di Bruxelles e che ora, da tecnico, prova a far grande la periferia della capitale. La marcia del Molenbeek è praticamente inarrestabile: gli uomini in maglia bianca e pantaloncini neri macinano punti e vittorie, trascinati in campo dall’olandese Jan Boskamp, appena sbarcato in Belgio dal Feyenoord e con alle spalle un’infanzia dura e difficoltosa: nato in un quartiere malfamato di Rotterdam, il piccolo Boskamp passava i pomeriggi a fare a pugni con i coetani, in un borgo nel quale si dimostrava così chi era il più forte. Lasciata la scuola a nemmeno 16 anni, aveva trovato lavoro consegnando banane da una ditta ai mercati ortofrutticoli della città e giocando a calcio nel tempo libero. Notato dal Feyenoord per grinta e talento, Boskamp finirà nel settore giovanile della formazione olandese che lo lancerà in prima squadra e ne consacrerà doti e sogni, fino al trasferimento al Molenbeek che gli varrà la gloria, grazie alla sua eleganza e al suo carisma che lo trasformano ben presto nel leader della squadra.
Il Molenbeek 1974-75 è un rullo compressore: schierata con un offensivo 4-3-3 che prevede un tridente formato da Nielsen, Wellens e Teugels, la squadra belga è capace di realizzare ben 92 reti, conquistare 25 vittorie e 61 punti, 9 in più della seconda classificata, l’Anversa, che nulla può se non arrendersi al dominio dei rivali, fuori categoria per organizzazione e volume di gioco. E’ un trionfo quello del Molenbeek che al suo terzo anno di attività vince lo scudetto ed arriva a far notizia anche nel resto d’Europa che incomincia a chiedersi come nasca una favola simile. L’annata del club fiammingo è da incorniciare e viene sugellata dal successo personale di Boskamp che vince la scarpa d’oro dell’anno, ovvero il premio come miglior giocatore del torneo e che per la prima volta viene assegnato ad un calciatore straniero. L’RWDM ora non vuole fermarsi, sa che deve sfruttare il momento e desidera crescere ancor di più, andando a caccia del bis in campionato e, soprattutto, di ben figurare in Coppa dei Campioni, un miraggio per tutto l’ambiente fino a qualche anno prima.
Nell’estate del 1975 viene acquistato dall’Anderlecht il fortissimo centrocampista Paul Van Himst, da molti considerato il miglior talento belga dell’epoca e da tempo in lite con il suo club e che, nonostante i 32 anni sul groppone, sembra ancora in grado di fare la differenza. Lo sgarbo è enorme per l’Anderlecht che comprende anche come ormai il Molenbeek sia meta ambita anche per i calciatori importanti e che non ci si trovi di fronte ad una società improvvisata; non sono dilettanti allo sbaraglio quelli del Molenbeek, anzi, hanno ben chiaro in mente cosa fare e come farlo, inaugurano addirittura uno stadio nuovo di zecca (l’Edmond Machtens), capace di contenere quasi 35 mila spettatori. Il campionato 1975-76 verrà chiuso al terzo posto da un RWDM leggermente sottotono e distratto dalla prestigiosa avventura in Coppa dei Campioni che durerà due turni: prima i belgi eliminano i norvegesi del Viking, poi si ritrovano di fronte il forte Hajduk Spalato che vince 4-0 la sfida d’andata e 3-2 quella di ritorno. Ma il Molenbeek è ormai una realtà, tanto del Belgio quanto d’Europa, tanto che nella stagione 1976-77 in molti si aspettano che possa far molta strada in Coppa Uefa, oltre a confermarsi tra le prime nel campionato di casa.
Il campionato sarà caratterizzato da qualche battuta arresto di troppo e il Molenbeek lo chiuderà al quarto posto, fuori dall’Europa per solo un punto, il peggior piazzamento dall’anno di fondazione. Ma sarà la Coppa Uefa a regalare grandi ed irripetibili soddisfazioni alla compagine belga che al primo turno si sbarazza facilmente dei danesi del Naestved, sconfitti per 3-0 e 4-0, quindi ai sedicesimi di finale il Molenbeek elimina il Wisla Cracovia ai calci di rigore dopo un doppio 1-1 e vola agli ottavi dove affronta i tedeschi dello Schalke 04. L’andata in Belgio si conclude 1-0 per i padroni di casa che in Germania soffrono quanto basta ma tornano con un pareggio che li catapulta ai quarti dove ad aspettarli c’è il Feyenoord. Per Boskamp è la partita del cuore, ma il vecchio beniamino del pubblico di Rotterdam non intende avere pietà per i suoi concittadini; i belgi resistono all’andata in trasferta e strappano uno 0-0 comunque rischioso in vista del ritorno. Ma in uno stadio Machtens stracolmo di passione, il Molenbeek vince 2-1 e quasi incredulo si appresta a giocare la semifinale di Coppa Uefa contro l’Athletic Bilbao. Sarà solamente la differenza reti a frapporsi tra la squadra di Bruxelles e la finale: l’1-1 acciuffato dagli spagnoli in trasferta, infatti, li fortifica in vista del ritorno al San Mamés che è una battaglia ma che termina 0-0, spedendo i baschi a giocarsi la finale contro la Juventus, poi vinta dai bianconeri di Trapattoni.
Da quella che sembrava un’enorme delusione da smaltire in fretta per riconquistare prestigio in patria e successivamente nelle coppe, il Molenbeek non si riprenderà invece più. Il declino è lento ma inesorabile: il campionato 1977-78 viene chiuso con un anonimo settimo posto, quello successivo al quinto (a due soli punti dalla qualificazione Uefa), fino ad arrivare alla retrocessione nel maggio dell’84, tanto eclatante quanto ormai prevista, perchè del vecchio Molenbeek che mostrava a tutti la sua supremazia non è rimasto pressoché nulla. Dopo un’immediata promozione, l’RWDM giocherà ancora qualche campionato in serie A, sguazzando nell’anonimato e finendo presto nel dimenticatoio, fino alla retrocessione nel 1989 e al fallimento nel 2002 dopo anni di stenti economici e nella totale indifferenza del pubblico. E così come era nato il glorioso RWDM, ovvero da una fusione, allo stesso modo verrà sciolto, dando vita ad altri club che faranno però fatica ad emergere, suscitando anche la rabbia della tifoseria più estrema che non si riconosceva nei nuovi nati che avevano a loro dire anche usurpato l’utilizzo dello stadio Machtens. Grazie alla spinta popolare di questa frangia appassionata di sostenitori, nel 2003 è sorta una nuova società, chiamata a furor di popolo RWD Molenbeek 47 che porta gli stessi colori e lo stesso stemma del glorioso Molenbeek. Ripartito dal fondo della geografia calcistica belga, il nuovo RWDM ha provato ad arrampicarsi fino alle soglie del professionismo, arrivando a stazionare in terza serie, sgomitando contro squadre semi dilettantistiche e giocando nel vecchio Machtens davanti a pochi intimi.
Del vecchio Molenbeek non c’è più niente: la storia va avanti, il calcio pure, in Belgio sono sorte altre realtà, il Malines a fine anni ottanta, Gent e Genk che, quasi omonimi nel nome, hanno vinto diversi titoli a fine anni duemila, oltre alle storiche Anderlecht, Bruges e Standard Liegi. Nel cassetto dei ricordi e della nostalgia, però, un posto d’onore lo merita quella squadra che per poco, troppo poco, ha scritto una pagina di storia in Belgio e in Europa; definitela meteora, favola, o molto più semplicemente, definitela RWDM, come tanto piace fare agli abitanti di un borgo che ha vissuto la sua parentesi di gloria, tanto breve quanto intensa.
di Marco Milan