Roma, Palazzo Braschi: l’Eterna Bellezza di Canova in mostra

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L’incontro tra il grande scultore veneto e Roma è al centro della mostra-evento “Canova. Eterna Bellezza”, ospitata dal 9 ottobre al 15 marzo 2020 al Museo di Roma – Palazzo Braschi, nel palazzo intitolato alla famiglia di Pio VI Braschi, il Papa in carica quando nel 1779 il giovane scultore originario di Possagno, in provincia di Treviso, giunse a Roma per la prima volta.

L’esposizione presenta oltre 170 opere ddel grande scultore neoclassico e di artisti a lui contemporanei distribuite in 13 sezioni. Oltre allepiù note sculture, a Palazzo Braschi sono esposti bozzetti in terracotta, disegni, ritratti, dipinti, modellini e gessi. La mostra è promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, prodotta dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Arthemisia, organizzata con Zètema Progetto Cultura. A cura di Giuseppe Pavanello, è realizzata in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca e Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno.

Canova tra Antico e Moderno – Antonio Canova attraverso le sue opere intendeva far rinascere l’Antico nel Moderno e plasmare il Moderno attraverso il filtro dell’Antico. “L’Antico bisogna mandarselo in sangue sino a farlo diventare naturale come la vita stessa”, ripeteva l’artista soprannominato dai contemporanei “novello Fidia”. Ispirandosi al classico e intenzionato a “imitare, non copiare gli antichi” – come sosteneva Winckelmann, il padre del Neoclassicismo – Canova è stato capace di plasmare il gesso e il marmo creando capolavori che emozionano a 200 anni di distanza. Come faceva nel suo atelier romano di Via delle Colonnette, vicino alla centralissima via del Corso, oggi il pubblico può apprezzare ogni dettaglio delle opere di Canova grazie a un’illuminoteca che rievoca l’atmosfera a lume di torcia con cui l’artista mostrava di notte le sue opere ad artisti, aristocratici, intenditori e viaggiatori di passaggio nell’Urbe. Così tra il buio delle sale e la luce che illumina le opere, si scorgono visitatori che ammirano la perfezione dei marmi canoviani a lume di candela.

Busto bronzeo di Canova e targhe sui muri nei pressi di Via delle Colonette,
sede dell’atelier dell’artista a Roma

Tra Classico e Neoclassico – La “Sala dei paragoni” è un’occasione unica per fare un viaggio indietro nel tempo. I gessi di celebri capolavori antichi sono riproposti a fianco a quelli di statue canoviane realizzate per il conte Alessandro Papafava. É possibile osservare da vicino il Gladiatore Borghese e l’Apollo del Belvedere a confronto con le opere di Canova, il Perseo trionfante e il Pugilatore Creugante.

Il suo ideale di bello si esprime nell’armonia e nella naturalezza delle forme è visibile in opere come l’Amorino alato, proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo,concepito come corrispettivo moderno dell’Eros Farnese del Museo Archeologico di Napoli; il gesso del gruppo Amore e Psiche stanti, in mostra grazie ad un prestito istituzionale, affascinanti nel loro tenero abbraccio mentre tengono in mano una farfalla; il gruppo bronzeo di Ercole e Lica, figure eroiche che impressionano per forza e dinamismo.

Maestria e raffinata sensualità – Una delle opere di maggiore intensità è la Maddalena penitente, esposta nel modello in gesso e in marmo. Inginocchiata, con lo sguardo rivolto verso il basso e un teschio accanto è una sensuale peccatrice, come nell’iconografia tradizionale, a metà tra grazia e dolore. I modelli in gesso dell’Endimione dormiente dalla Gypsotheca di Possagno, di cui sono esposti due esemplari fianco a fianco, sono un esempio tangibile di come Canova lavorasse nella sua officina-atelier. I punti metallici ben visibili in uno dei due modelli servivano all’artista come riferimento per realizzare il calco della stessa opera ricavato dal marmo, prima della vera e propria traduzione nel suo materiale prediletto.

Un lungo processo di lavorazione che si concludeva con la rifinitura e la levigatura delle superfici per conferire alle opere un’incredibile delicatezza. Di impareggiabile grazia ed eleganza è la Danzatrice con le mani sui fianchi (immagine di copertina*): la statua esposta nell’ultima sala del museo danza su un fianco, circondata da specchi e gira sul suo piedistallo, come voleva Canova, di modo che è l’opera a muoversi, come se prendesse vita. Si invera il mito di Pigmalione innamorato della sua statua, Galatea, che prende a vivere: non più marmo ma carne.


Antonio Canova (1757-1822) Endimione dormiente, 1819 Gesso, 183x85x95 cm Possagno, Gypsotheca e Museo Antonio Canova 2019, Possagno (TV), Fondazione Canova onlus – Gypsotheca e Museo Antonio Canova | Archivio Fotografico interno Foto di Lino Zanesco

Canova tra arte e politica – Canova è protagonista di un periodo di profondi mutamenti politici. Nel febbraio 1798 Papa Pio VI prigioniero di Napoleone è costretto all’esilio e gli occupanti francesi proclamano la Repubblica romana. I nuovi governanti lo chiamano a far parte dell’Institut National chiedendogli di giurare odio ai sovrani ma Canova si rifiuta dicendo, in dialetto veneto, “Mi non odio nessun” e si allontana perciò da Roma. Fa ritorno nell’Urbe alla fine del 1799 e nel 1802 viene nominato Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa, dell’Accademia di San Luca, dei Musei Vaticani e del Campidoglio. Incaricato di tutelare e valorizzare il patrimonio artistico riesce e a riportare in Italia numerose opere d’arte che Napoleone aveva portato in Francia come bottino di guerra.

Per Pio VII, con cui Canova instaura uno stretto rapporto, realizza La Religione, di cui è esposto solo il busto di una monumentale opera che non vede mai la luce. Recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi era una missione che Canova svolgeva con passione e senza sosta. Nel 1819 però non riesce ad evitare la cessione del Fauno Barberini: una “battaglia persa” perché l’opera prende la via di Monaco di Baviera (in mostra è richiamato da un antico gesso proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Bologna).

Fotografie e nuove riproduzioni canoviane – La prospettiva fotografica restituisce alle opere di Canova “memoria e immaginario” come è riuscito a fare l’artista napoletano Mimmo Jodice nei suoi 30 scatti realizzati a partire dal 1991. Lucentezza e maestosità dei marmi appaiono in tutto il loro splendore nelle fotografie, mentre con l’intento di valorizzare ancora oggi l’estro creativo dell’artista  prende le mosse la particolare riproduzione tecnologica di Amore e Psiche giacente (l’originale è conservata al Louvre di Parigi), che fa riflettere sulla riproducibilità tecnica delle opere d’arte. L’installazione nel cortile del museo è stata plasmata da un robot che ha scolpito incessantemente per 270 ore un blocco di marmo bianco di Carrara di 10 tonnellate. Un documentario ne descrive il processo e un racconto video è dedicato alla rievocazione della fiaba di Apuleio.

Antonio Canova, Maddalena penitente Marmo, 95x70x77 cm The State Hermitage Museum, San Pietroburgo © Mimmo Jodice

La bellezza delle opere di Canova, da qualunque prospettiva le si guardi, resta eterna e universale. Il tributo dei contemporanei, ieri come oggi, esprime tutta l’ammirazione per opere che riescono a produrre un forte impatto emotivo e a far percepire nella scultura la materia che, modellata così sapientemente, sembra prendere vita.  

In copertina: Antonio Canova (1757-1822) Danzatrice mani sui fianchi, 1806-1812 Marmo, 179x76x67 cm The State Hermitage (San Pietroburgo)* Photograph © The State Hermitage Museum, 2019 Foto di Alexander Lavrentyev

(di Elena Angiargiu)

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