Amarcord: Frank Worthington, un playboy prestato al calcio
Calciatori e belle donne. Quante volte se ne sente parlare? C’è chi, come George Best, ne è diventato un’icona mondiale, a tal punto da sovrastare perfino le sue doti tecniche. Frank Worthington ha, se possibile, fatto ancora di più, legando indissolubilmente la sua vita più alle sue qualità di seduttore che a quelle di atleta, nonostante queste ultime fossero notevolissime.
Nato ad Halifax (contea del West Yorkshire) in Inghilterra il 23 novembre 1948, Worthington è un tipico esemplare di giovanotto anni settanta: capelli lunghi, pantaloni a zampa che più stretti non si può, baffi e barba a fasi alterne, qualche maglia o giacca più stravagante del normale, anche perché lui è diverso dai comuni ragazzi della sua età, lui fa il calciatore e da più parti in Inghilterra giurano che Dio gli abbia donato un talento fuori dalla norma, che i suoi piedi (il sinistro soprattutto) possano diventare i più acclamati, adorati, invidiati e pagati del mondo. E’ un attaccante, alto, magro, tecnico ed estroso, se ne accorgono all’Huddersfield quando ad appena diciotto anni nasconde il pallone a tutti, tanto in allenamento quanto in partita. Calcisticamente possiede un tocco vellutato di rara bellezza, lo vedono tutti, così come in parecchi iniziano a cogliere anche i lati del suo carattere e della sua personalità che lo distoglieranno troppo spesso dal pallone.
Nella vita di Frank Worthington, infatti, entrano ben presto a far breccia le donne. O meglio, più che nella sua vita, entrano nel suo letto: il calciatore è un instancabile seduttore, anche se non si limita a conquistarle le sue “prede”, ad ammaliarle, passa bensì intere nottate assieme alle sue amichette, nelle quali il tempo non lo trascorre di certo a dormire. Agli allenamenti si presenta con gli occhiali da sole per mascherare la stanchezza, ma anche con giacche rosa, a scacchi, o con magliette aperte sul petto da cui fuoriescono allegramente folti ciuffi di peli e vistose catenine. Dirigenti e magazzinieri più anziani lo guardano male, i commenti lui li sente ma se ne infischia: Worthington è fatto così e non intende lasciarsi influenzare o condizionare dai giudizi altrui. Neanche quando si sposa mette la testa a posto, anzi, il matrimonio dura poco ed è un continuo fra litigi, urla e scenate di gelosia di una consorte inizialmente ignara delle debolezze del marito che non resiste agli occhi dolci di nessuna donna, dalla commessa del supermercato alla tifosa che lo aspetta fuori dal centro di allenamento.
Worthington ha tre passioni: il calcio (che poi sarebbe anche il suo mestiere), le donne e la musica di Elvis Presley di cui è un fan accanito, conosce e canta ogni canzone del re del Rock’n Roll, spesso la sera se ne va nei pub a sbevazzare, poi sale sul palco ed improvvisa alcuni revival di Elvis, infine se ne torna a casa in dolce compagnia. Inizia a cambiare squadra a ripetizione, un po’ perché si stufa presto, un po’ perché nell’ambiente dopo poco sopportano con fastidio la vita limitatamente professionale di un attaccante che avrebbe tutte le possibilità per diventare il calciatore più forte d’Inghilterra ma che non sembra avere alcuna intenzione di riuscirci. I suoi compagni di squadra, però, lo adorano: quando si trasferisce al Leicester (dove in 5 anni realizzerà 72 reti) è l’icona del gruppo, non c’è compagno che nello spogliatoio non gli chieda informazioni sui negozi in cui ha comprato giacche, pantaloni e scarpe, o quale sia il locale migliore dove divertirsi la sera. E Worthington, in fondo, è un guascone: ride, scherza, non tratta male nessuno, anzi, condivide le sue passioni e racconta dettagliatamente i suoi incontri con le ragazze, trasformandosi ben presto in un mito per gli altri giocatori e in un problema per gli allenatori che ne discutono lo stile di vita poco serio.
Worthington prende il calcio come una sorta di svago, non lo concepisce come un lavoro, forse un minimo se lo può permettere perché quando decide di usare il talento, con i piedi fa ciò che vuole. Neanche la convocazione nella nazionale under 23 gli placa i bollori: il selezionatore è Sir Alf Ramsey, uno a cui mancano soltanto bombetta ed ombrello per essere il prototipo vivente del perfetto inglese; e che potrebbe pensare un uomo così quando si vede arrivare in ritiro Worthington con un’ora di ritardo ed una giacca giallo fosforescente? Ramsey lo guarda con tono severo, ma il ragazzo non si lascia impressionare: “Sono qui – gli risponde – se mi accetta per come sono fatto bene, altrimenti mi dispiace per lei, io non cambio”. Risultato? Il commissario tecnico lo caccia istantaneamente senza neanche fargli mettere piede in campo. Ma per Worthington non è un problema, va a bersi una birra (forse più di una) nel primo pub che incontra, poi termina di consolarsi a casa e non certo da solo.
Nel 1972 si innamora di lui Bill Shankly, storico manager del Liverpool, che è chiaro col suo club: “Non mi interessa nulla degli altri acquisti, l’importante è che mi compriate Frank Worthington”. Quelli del Liverpool non hanno obiezioni, parlano con l’Huddersfield e si accordano, manca solo la firma del giocatore che avverrà dopo le visite mediche di rito. Worthington fa registrare valori anomali, ha la pressione sanguigna a livelli esorbitanti, naturalmente perché ha trascorso le ultime serate in dolce compagnia senza risparmiarsi nelle sue performance sotto le lenzuola. Lo staff medico del Liverpool decide di aspettare e poi prende la decisione più folle da adottare con uno come Worthington, ovvero lo spedisce al sole della Spagna in albergo a calmarsi. L’attaccante a Maiorca di giorno prende il sole, di notte se la spassa con due turiste svedesi che si dirà in seguito fossero madre e figlia, oppure sorelle, del resto tutto fa leggenda. Al nuovo esame medico i suoi valori sono ancor più alti dei precedenti e stavolta si arrende pure Shankly, l’affare sfuma ma per Worthington fa lo stesso, anzi, prima di riprendere l’aereo che lo riporta a casa si apparta con una ragazza conosciuta in aeroporto e completa la sua personale tripletta.
Dal 1977 al 1979 gioca nel Bolton, squadra con cui si laurea capocannoniere del campionato di serie B mettendo a segno 24 reti e con cui riesce a realizzare una delle reti che ancora oggi viene considerata fra le più belle della Gran Bretagna: contro l’Ipswich, Worthington riceve palla al limite dell’area di rigore, è spalle alla porta, col suo sinistro palleggia tre volte liberandosi dei difensori, poi spara al volo in rete facendo impazzire lo stadio. I tifosi delle sue squadre si innamorano di lui, amano quell’estro un po’ matto ma di rara bellezza, lui ricambia l’affetto con colpi da giocoliere, sorrisoni a fine partita e l’occhio lungo per le più belle donne del posto che riesce a conquistare con una facilità estrema, dimostrandosi campione anche nell’arte della seduzione dove non sbaglia un colpo. Nel 1979 si trasferisce per qualche mese negli Stati Uniti, ingaggiato dal Philadelphia Fury che riesce a convincerlo a lasciare l’Europa non tanto con i soldi, ma con un cimelio di Elvis Presley, una cintura che il cantante aveva spesso utilizzato nei suoi concerti. Worthington senza neanche ascoltare altro accetta, fra lo stupore dell’Inghilterra che non si spiega la scelta di un talento che se solo avesse voluto avrebbe potuto giocare ovunque, con tutto il rispetto del campionato americano, e che aveva esordito pure in nazionale segnando in amichevole contro l’Argentina.
Tornato in patria, il centravanti gioca col Birmingham, poi prende un’altra decisione apparentemente bizzarra e va a giocare in Svezia, quindi ancora Birmingham, ancora Stati Uniti (Florida), Leeds United, Sunderland, Southampton, Brighton, addirittura va in Sudafrica, ingaggiato dai Cape Town Spurs. Nel 1985 è chiamato dal Tranmere Rovers nel doppio ruolo di allenatore giocatore; qualcuno gli chiede se i suoi ragazzi si comportino bene fuori dal campo, lui risponde: “Se vengo a sapere che tornano a casa prima delle 2 di notte li caccio subito”. Frank Worthington gioca fino a 43 anni, poi si ritira a vita privata e quando gli domandano quale sia stato l’avversario più rognoso della sua carriera, lui alza gli occhi al cielo, si batte una mano sulla coscia e risponde con sicurezza: “La mia ex moglie”. All’inizio degli anni novanta ha scritto un’autobiografia il cui titolo è più o meno “Una scopata o due?”, oltre ad essere una sorta di percorso guidato nei migliori locali notturni del mondo, citati assai più che gli stadi nei quali ha giocato. Dice di essersi calmato e di essere rimasto fedele alla sua ultima moglie, tradendo così solo in età matura la sua appassionante reputazione di latin lover.
Frank Worthington ha cambiato 30 maglie in carriera, non ha vinto quasi nulla (appena due campionati di serie B) ed ha sprecato gran parte delle sue qualità per correre dietro alle stravaganze, a qualche bevuta di troppo e a tante, troppe donne che ne hanno offuscato una vita sportiva che prometteva molto di più. Non se ne è mai pentito, però, non ha rinnegato nulla della sua vita, annebbiata negli ultimi anni dal progredire del morbo di Alzheimer che lo ha colpito. Ex compagni e tifosi ne decantano a tutt’oggi quelle doti che lo hanno reso un mito in tutta l’Inghilterra dove per anni ogni ragazzo almeno una volta si è addormentato sognando di diventare come lui.
di Marco Milan