Amarcord: quando a Marsiglia si spensero le luci sul Milan di Sacchi

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4 anni da leggenda”. Scriveranno così i tifosi della curva sud del Milan durante l’ultima giornata del campionato 1990-91 quando Arrigo Sacchi saluterà il club rossonero dopo quattro stagioni nelle quali, anche più dei trofei vinti (2 Coppe Campioni consecutive, uno scudetto, una Supercoppa Italiana, 2 Supercoppe Europee e 2 Coppe Intercontinentali), la sua squadra avrà lasciato un’impronta indelebile sull’intero calcio europeo, finendo con l’essere ricordata come forse la più forte di tutti i tempi. Un’epopea trionfale, ma chiusa male, con onta e vergogna, in una triste e a suo modo indimenticabile serata francese di marzo. Il Milan della stagione 1990-91 è senza ombra di dubbio la formazione migliore d’Europa, viene da due vittorie di fila in Coppa dei Campioni, ha una presidenza all’avanguardia, un organico sontuoso ed un allenatore che ha stravolto il modo di concepire il calcio in Italia. Arrigo Sacchi, infatti, fin dal suo arrivo a Milanello ha inculcato nella mente dei suoi calciatori il concetto che il Milan, con una rosa così forte, non potesse accontentarsi di vincere, magari speculando sul risultato come da classica concezione italiana, ma dovesse dominare in lungo e in largo, giocando con un pressing asfissiante ed una gestione maniacale del pallone. Nel 1989, all’indomani della semifinale in cui i rossoneri avevano distrutto a San Siro il Real Madrid con un leggendario 5-0, diversi giocatori spagnoli avevano commentato quasi attoniti: “Non giocavano in 11 – riferendosi ai milanisti – erano almeno in 14”. E nel 90-91 il Milan punta al tris, avendone peraltro tutte le carte in regola, giocando ormai a memoria ed avendo acquisito una mentalità (soprattutto in campo europeo) che potrebbe permettergli di avere ancora la meglio delle rivali continentali. E’ un cammino che i rossoneri vogliono semplificarsi grazie alla loro potenza, anche se qualcosa nello spogliatoio scricchiola: diversi calciatori incominciano a non sopportare più la dottrina ed i metodi rigidi di Sacchi, ormai quasi convinto a lasciare Milano a fine stagione per sedere sulla panchina della Nazionale. In particolar modo, i rapporti più tesi il tecnico romagnolo li ha con Marco Van Basten, col quale finirà per scontrarsi duramente fino all’aut-aut del centravanti olandese che chiederà a Silvio Berlusconi di scegliere fra lui e l’allenatore. Sacchi ha una visione totalitarista del calcio e dello spogliatoio, per lui sono tutti uguali e Van Basten, che ha già vinto tre palloni d’oro, si irrita quando il tecnico gli dice lui vale quanto l’ultimo dei panchinari. Visioni opposte, ma obiettivi comune: portare a casa la terza Coppa Campioni consecutiva, poi amici (o nemici) come prima. Il Milan, in qualità di detentore del trofeo, esordisce agli ottavi di finale contro i belgi del Bruges, squadra arcigna, proprio come i connazionali del Malines che giusto un anno prima avevano portato i rossoneri ai tempi supplementari. A San Siro termina 0-0, in Belgio il Milan vince grazie ad una zampata di un gregario, Angelo Carbone, nella serata in cui Van Basten viene espulso e squalificato per due turni a causa di una gomitata volontaria ad un avversario. Ciò che conta è però la qualificazione ai quarti di finale dove il sorteggio non è benevolo con i milanisti e dall’urna esce il nome dell’Olympique Marsiglia, forse l’unica squadra in grado di mettere in difficoltà lo squadrone milanese, forse l’unica a non temere (almeno a parole) la forza d’urto della compagine di Sacchi. L’Olympique Marsiglia è la squadra migliore di Francia, il suo presidente Tapie ha in Silvio Berlusconi un modello e vorrebbe far assomigliare la sua società proprio al Milan, icona europea di inizio anni novanta. Ha speso moltissimo e i suoi sforzi sono stati ripagati con due scudetti (1989 e 1990) ed un terzo ormai in via di definizione. E poi c’è quella coppa, sogno in fondo di ogni club d’Europa e che stavolta potrebbe essere alla portata dei marsigliesi che dispongono di un ottimo organico, guidato in panchina da Franz Beckenbauer e formato da calciatori di livello in cui spiccano il centravanti Jean-Pierre Papin, il fantasista ghanese Abedì Pelé ed il difensore brasiliano Moser. In più, il Marsiglia ha fame ed ambizione, ha eliminato gli albanesi della Dinamo Tirana ed i polacchi del Lech Poznan, avversari non irresistibili ma traguardi ambiziosi per uno dei club maggiormente in ascesa dell’epoca. E così, la sfida tra Marsiglia e Milan rischia di essere quasi una finale anticipata, senza nulla togliere ad altre squadre presenti, come la Stella Rossa Belgrado, il Bayern Monaco o il Real Madrid. Qualcuno sostiene che i francesi siano più freschi fisicamente e più affamati di un Milan giunto ormai a fine ciclo, altri invece affermano che i rossoneri siano ormai imbattibili in Europa, guidando quasi col pilota automatico. Mercoledì 6 marzo 1991 San Siro si veste a festa per l’andata dei quarti di finale fra Milan e Marsiglia. E’ una partita spigolosa, al Milan manca Van Basten e si sente, anche se dopo appena 14 minuti un pasticcio della difesa transalpina permette ad un altro olandese, Ruud Gullit, di battere il portiere in uscita e portare in vantaggio i rossoneri. Ma è un Milan opaco, meno brillante del solito, probabilmente in debito d’ossigeno considerando anche la lotta scudetto apertissima con Inter e Sampdoria, giunta proprio nel vivo. Il Marsiglia pareggia meno di un quarto d’ora dopo con Papin, senza che la gara muti ancora risultato: 1-1, un punteggio tutt’altro che favorevole per il Milan in vista del ritorno e della prevedibile bolgia dello stadio Velodrome, autentico fortino dell’Olympique Marsiglia, stadio piccolo ma infuocato, coi tifosi di casa fra i più accesi e caldi dell’intera Francia. E il Milan non si presenta neanche bene psicologicamente all’appuntamento in terra francese: il 10 marzo la squadra di Sacchi cade 2-0 con la Sampdoria, il 17 viene sconfitta in casa dall’Atalanta, dando l’impressione di una formazione con le ruote sgonfie, inevitabilmente giunta al fisiologico capolinea di un ciclo straordinario che sta però per volgere al suo epilogo. Marsiglia-Milan del 20 marzo 1991 è in pratica un romanzo più che una partita di calcio, una storia che si tinge di giallo sin dalla settimana che precede l’incontro quando il direttore organizzativo del club rossonero, Paolo Taveggia, riceve qualche soffiata particolare che indica come il Marsiglia potrebbe provare a battere il Milan in ogni modo, non soltanto sul campo: “Ebbi strane informazioni – ha ricordato lo stesso Taveggia recentemente – e mi consigliarono di fare attenzione, ad esempio, al cibo che i nostri calciatori avrebbero mangiato in albergo”. La società milanese decide così di cambiare hotel a pochi giorni dalla partenza e senza avvisare nessuno, tanto che Paolo Maldini si lamenterà del fatto che sua moglie non riuscisse a contattarlo in quanto, ovviamente, era in possesso del nome e del numero di telefono dell’albero sbagliato. Che il Milan non venga accolto simpaticamente a Marsiglia lo testimonia anche l’ostracismo mostrato ai rossoneri all’arrivo allo stadio per il sopralluogo e la rifinitura: cancelli chiusi per mezz’ora, palloni scomparsi e restituiti solamente dopo feroci insistenze di Sacchi, Baresi e del Team Manager Ramaccioni. Sembra tutto contro i rossoneri: condizione atletica non ottimale, avversari forti, ambiziosi e anche astuti, insomma ci sono tutti gli ingredienti per uscire male dalla trasferta francese. I rossoneri devono vincere, ma sin dalle prime battute della gara si capisce che il Marsiglia di benzina ne ha più della squadra di Sacchi, imballata, lenta, poco pungente in attacco. I transalpini gestiscono bene il pallone, sanno benissimo come mettere in difficoltà la formazione italiana, oltre ad essere consapevoli che lo 0-0 che sta maturando li porta dritti in semifinale. Al 75′, poi, tutto sembra decidersi quando l’inglese Chris Waddle azzecca il tiro della domenica, anzi del mercoledì, trafiggendo Sebastiano Rossi e quasi tutte le velleità di un Milan con ormai un piede e mezzo fuori da quella Coppa dei Campioni che considerava ormai una sua proprietà privata. C’è un quarto d’ora per agguantare almeno i supplementari, 15 minuti in cui i rossoneri avanzano quasi come automi alla ricerca dell’1-1, non dando quasi mai la sensazione di avere armi abbastanza affilate da colpire gli spavaldi marsigliesi, sospinti pure da un pubblico assordante. A 3 minuti dalla fine accade l’imponderabile: l’arbitro svedese Karlsson sembra fischiare la fine della partita, i giocatori e i tifosi di casa alzano le braccia al cielo, mentre i milanisti si inginocchiano sconfortati, anche se dalla panchina Sacchi e Ramaccioni urlano di tutto all’arbitro ed informano capitan Baresi che il cronometro è fermo al minuto 87. A quel punto un riflettore dello stadio si spegne, lasciando mezzo impianto al buio. E’ il putiferio: il Milan inizia ad urlare che tutto ciò è irregolare, il Marsiglia teme qualche beffa regolamentare che mini la sua vittoria ormai certa, dagli spalti incominciano a piovere monetine e bottigliette d’acqua, oltre a fischi assordanti che rendono ancor più tesa l’atmosfera. Gullit e Baresi fanno a segno all’arbitro che senza luce non si può giocare, chiedono la sospensione della partita, magari la vittoria a tavolino per responsabilità oggettiva del Marsiglia. I calciatori francesi, invece, formano un secondo capannello attorno al direttore di gara, accusando i milanisti di voler condizionare la situazione e indirizzare una partita persa in un contenzioso legale. Karlsson prova a mettere tutti d’accordo, dice di aspettare che venga ripristinata l’illuminazione per giocare i restanti 3 minuti di partita e rendere la situazione completamente regolare. Le squadre provano a rientrare negli spogliatoi, ma la botola che conduce fuori dal campo (simile a quella presente allo stadio San Paolo di Napoli) è stata chiusa e quasi 30 persone si ritrovano accalcate dietro una delle due porte del campo, con la tensione alle stelle ed un continuo di spinte, insulti, provocazioni e reazioni. Qualcuno dirà che Papin (milanista poi dal 1992 al 1994) avrebbe sputato a diversi colleghi milanisti, i francesi accuseranno gli italiani di aver convinto l’arbitro a decretare la sospensione della partita. Il caos è generale, dalle tribune scende anche Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, con impermeabile bianco e faccia scura. Il dirigente rossonero cerca di capire cosa stia succedendo, mentre nel frattempo il riflettore incriminato ha lentamente ripreso a fare il suo dovere. Tutto lascia presupporre che entro pochi minuti Marsiglia-Milan possa finalmente concludersi, quando ecco il colpo di scena: Galliani richiama Gullit, poi parlotta con Baresi, l’olandese indica ripetutamente il riflettore, il capitano sembra voler dire “proviamo a giocare”. Chissà, forse Galliani crede che se la gara non prosegue il Marsiglia potrebbe perderla a tavolino, forse è talmente irritato dalla situazione che anche la lucidità lo tradisce, lui che solitamente è un freddo stratega, fatto sta che l’amministratore delegato milanista compie il gesto che mai nello sport andrebbe fatto, ovvero ordina ai suoi giocatori l’immediato rientro negli spogliatoi. Lo sbigottimento è generale, perfino gli stessi calciatori del Milan si guardano coi colleghi del Marsiglia, sono attoniti, a qualcuno di certo viene il dubbio che quella decisione così drastica possa ritorcersi contro di loro, ma da dipendenti non possono far altro che obbedire al dirigente che continua a gran voce a richiamarli, urlando: “Fuori, andiamo via tutti”. Un urlo che rimarrà impresso nella memoria di chi quella sera assiste ad una delle pagine più tristi e vereconde della storia del calcio. Il Milan se ne va, i giocatori del Marsiglia sono regolarmente schierati nella propria metà campo per riprendere una partita che l’arbitro è invece costretto ad interrompere, con conseguenze che sul Milan peseranno anche oltre le punizioni sportive. Michel Platini, presente in tribuna, lascia lo stadio dicendo “Milan, è una vergogna”, mentre davanti ai microfoni si presenta il solo Galliani che afferma come i rossoneri ricorreranno all’Uefa per contestare quanto accaduto. L’avvocato milanista Cantamessa, nel frattempo scongiurava lo stesso Galliani di tornare sui propri passi, di prendere i calciatori uno per uno e rispedirli in campo, conscio di ciò che quel gesto avrebbe comportato. Galliani, forse a quel punto consapevole dell’errore, non può tornare indietro, con un filo di voce dice a Cantamessa che i giocatori sono tutti sotto la doccia e che l’arbitro ha già decretato la fine della partita. La frittata è ormai fatta e il Milan non può salvare più nulla di una serata in cui l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni appare il male minore. Giovedì 21 marzo i giornali non escono in edicola a causa di uno sciopero dei cronisti che rimanda le analisi a venerdì 22 quando il Milan, anche se a 48 ore di distanza, non può salvare la faccia agli occhi dell’Italia e dell’Europa, attonita di fronte al gesto della società detentrice del trofeo. Silvio Berlusconi tenta il tutto per tutto, rinuncia al ricorso, si scusa e poi si complimenta col Marsiglia per la meritata qualificazione. Un tentativo estremo che però non intenerisce la Uefa: il verdetto per i rossoneri è tremendo ed oltre alla sconfitta a tavolino per 3-0, ecco la squalifica per un anno dalle coppe europee, un conto salatissimo che il club accetta a malincuore, rendendosi conto giorno dopo giorno di aver commesso un atto sconsiderato, perché tutto si può fare nello sport tranne che abbandonare il campo. Agli occhi degli spettatori, quello del Milan è sembrato il gesto di un bambino che nel momento in cui si rende conto di aver perso prende il pallone e scappa a casa. Eppure qualcosa non torna: perché Galliani si è preso questa responsabilità all’improvviso? E’ stato forse imbeccato da Berlusconi assumendosi poi ogni colpa “proteggendo” il presidente? E’, ad esempio, il pensiero di Alessandro Costacurta che a Marsiglia c’era e che nel 2016 ha detto: “Se Galliani non fosse stato autorizzato dal presidente, l’indomani sarebbe stato inevitabilmente licenziato”. Anche Arrigo Sacchi ha commentato in grave ritardo l’accaduto: “Si è vero – ammetterà anni dopo – quella sera c’era confusione, io per primo non ho capito cosa stesse accadendo e alla fine me ne sono lavato le mani”. Ponzio Pelato, scriverà qualcuno leggendo queste parole, provando a gettare acqua sul fuoco a decenni di distanza dal fattaccio. E’ finito così, in pratica, il Milan di Sacchi, uscito a testa bassa dalla serata nera di Marsiglia che ha calato il sipario sui leggendari 4 anni dell’allenatore di Fusignano in rossonero. Simbolicamente, è quella l’ultima immagine di un’epopea che ha cambiato il calcio italiano dopo secoli di catenaccio, una serata che non scalfisce certo l’eccellente lavoro del tecnico a Milanello, ma che ne è l’epilogo più triste e controverso. Una figuraccia forse non voluta, certamente evitabile e della quale trovare i responsabili a 30 anni di distanza è probabilmente secondario. 20 marzo 1991: la sera in cui su quel Milan è calato il buio.
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