Amarcord: Alessandro Iannuzzi, lampi nel buio
Si dice che nel calcio i gol non vadano contati, bensì pesati. Se questa fosse una regola assoluta per determinare il valore di un calciatore, allora Alessandro Iannuzzi sarebbe certamente sul podio dei più grandi di sempre.
Nato a Roma il 9 ottobre 1975, Alessandro Iannuzzi inizia a muovere i primi passi da calciatore sin da bambino e quasi subito entra nel settore giovanile della Lazio che all’inizio degli anni novanta è fra le eccellenze del calcio italiano. Il club capitolino, infatti, è in grado di scovare, riconoscere e svezzare piccoli talenti che potranno un domani diventare i protagonisti di una Lazio che, sotto la gestione del presidente Sergio Cragnotti, nutre l’ambizione di entrare a far parte dell’élite della serie A. Iannuzzi di mestiere fa l’attaccante, è rapido e molto tecnico, non ha il fisico da granatiere ma ha classe e senso del gol, sposandosi perfettamente con un centravanti classico. Ben presto nel centro sportivo di Formello (quartier generale laziale) si inizia a parlare di questo ragazzino coi capelli lunghi e folti che svolazzano sui campetti e che fa ammattire i difensori avversari. “Questo farà strada – dicono perfino i magazzinieri che alle volte si fermano a contemplare le gesta di Iannuzzi – speriamo che tenga la testa sulle spalle”.
Alla vigilia del campionato Primavera 1994-95 la Lazio è una delle formazioni più attrezzate per vincere lo scudetto: l’allenatore è Domenico Caso, in rosa c’è gente come Flavio Roma, Daniele Franceschini, Alessandro Nesta, Marco Di Vaio, insomma nomi che a pronunciarli oggi viene la pelle d’oca, soprattutto se si immaginano piccoli, coi brufoli, le facce spaurite ma anche la grande ambizione di chi sogna la serie A e sta lavorando da apprendista nella squadra Primavera. Insieme a loro c’è anche Iannuzzi che di gol ne fa meno di Di Vaio ma che, a sentire gli addetti ai lavori, tecnicamente è più bravo del compagno di reparto; il tocco vellutato, la precisione, l’eleganza dei movimenti lo fanno assomigliare più ad un fantasista che a un attaccante puro. La Primavera della Lazio è veramente forte, il cammino in campionato è eccellente, i biancocelesti arrivano sino alla finale scudetto dove se la vedranno col Perugia, vera rivelazione dell’anno. A Roma nella sponda laziale c’è fermento, non tanto per il valore del titolo tricolore giovanile, quanto soprattutto perché quella nidiata di talenti è la migliore da decenni e la compagine di Caso ruba applausi ovunque.
Il 25 giugno 1995 è addirittura lo stadio Olimpico di Roma ad ospitare la finale scudetto fra le squadre Primavera di Lazio e Perugia, un catino enorme per una partita giovanile, un evento che presenta anche una cornice di pubblico straordinaria: 20.000 spettatori sfidano il caldo ed il richiamo del litorale laziale per seguire i ragazzi di Caso. E’ una finale che passerà alla storia anche per l’anomalo coinvolgimento della gente, ma soprattutto per la consacrazione di quel gruppo di piccoli fenomeni che, nonostante la difficoltà della gara, la tensione, l’afa e la grandezza del campo a cui sono poco abituati, portano a casa lo scudetto. L’eroe del giorno è proprio Alessandro Iannuzzi che nei tempi supplementari decide l’incontro grazie ad una punizione alla Platini, un tocco leggero ma preciso, una parabola che lascia col fiato sospeso per qualche secondo gli spettatori, prima di andare a morire nel sette e consegnare il titolo di Campione d’Italia Primavera alla sua Lazio. Può essere l’ascesa di un campioncino in erba, alla pari dei suoi compagni, tutti o quasi già nel giro della prima squadra, qualcuno (come Nesta) ormai abituato a seguire la Lazio “vera” andando sovente in panchina e qualche volta pure in campo.
Anche Iannuzzi viene inserito da Zdenek Zeman nella rosa della prima squadra nell’estate del 1995. Al tecnico ceco il ragazzino piace perché ha corsa, tecnica e voglia di imparare, non lo spaventa neanche il durissimo lavoro atletico da svolgere, né la rigida dieta a base di verdure bollite voluta dall’allenatore. A Iannuzzi preme farsi valere in campo, costi quel costi, vuole far strada, non esce la sera, non scontenta l’allenatore, non litiga coi compagni. Certo, la Lazio è una squadra che punta in alto nella serie A 1995-96, l’eroe dello scudetto Primavera non può pretendere il posto fisso, ci mancherebbe, ma a lui basta essere “nel giro”, andare in tribuna dopo aver ascoltato Zeman nelle riunioni tecniche pre partita, o in panchina per vivere dal campo le sensazioni del calcio dei grandi, ammirare i campioni da vicino, carpirne trucchi e malizie, sperando anche di entrare, di essere annunciato dallo speaker, di essere applaudito da quei tifosi che qualche mese prima lo hanno portato in trionfo anche se era solo il calcio dei piccoli. Iannuzzi va in panchina il 19 novembre 1995 ed assiste da bordocampo al successo della Lazio contro la Cremonese per 2-1, poi il 10 dicembre Zeman lo fa esordire in serie A a Parma al minuto 69 al posto di Casiraghi e con i biancocelesti sotto per 2-0. Un debutto non memorabile che lascia però nel ragazzo romano emozione e speranza di poter continuare la sua crescita in un gruppo che lo stima e con un tecnico che gli dà fiducia.
Il 14 gennaio 1996 la Lazio ospita all’Olimpico il Torino, squadra che sta cercando disperatamente di uscire dalla zona bassa della classifica. E’ un pomeriggio freddo e piovoso a Roma, la squadra di Zeman fatica ad esprimere il suo calcio veloce su un campo zuppo, mentre l’arcigno Torino resiste bene, sguazza sull’erba fangosa, contento dello 0-0 e verso la metà del secondo tempo inizia pure a fare un pensierino su un possibile colpaccio, proprio nel momento in cui dalla panchina laziale si alza Iannuzzi che prende il posto di un altro gregario, Massimiliano Esposito. All’81’ la beffa per la Lazio sembra concretizzarsi alla perfezione: Ruggiero Rizzitelli, peraltro ex romanista, beffa la difesa biancoceleste con un’azione penetrante e supera in uscita il portiere portando i granata in vantaggio. Sembra fatta per il Torino, la Lazio si getta in avanti alla disperata ma i minuti da giocare sono pochi, il campo è ormai pesantissimo, le energie latitano e le speranze diminuiscono. Durante il terzo minuto di recupero, però, il difensore torinista Maltagliati colpisce la palla con la mano proprio al limite della sua area di rigore: è evidente che quel calcio di punizione sarà l’ultima azione della partita, anche perché all’epoca gli arbitri non hanno ancora la mania di concedere troppi minuti extra oltre il 90′. A sorpresa, la punizione la tira Iannuzzi, a cui l’intera squadra e l’allenatore danno credito, forse memori del gol partita nella finale scudetto della Lazio Primavera meno di un anno prima; e il ragazzo forse ripensa proprio a quel giorno: stesso stadio, stessa maglia, stessa tensione. Batte nel medesimo modo e la palla si insacca ancora: 1-1 e Lazio salvata da Iannuzzi, come scriveranno i giornali il mattino dopo.
Saranno appena 4 le partite disputate da Iannuzzi nel campionato 1995-96, ma con quel gol pesante che al 93′ è valso il pareggio per la sua squadra, un’altra rete decisiva, come quella che aveva garantito lo scudetto Primavera. Sarà il suo marchio di fabbrica, in una carriera che in quel momento si annuncia scintillante e che vedrà invece un brusco ridimensionamento. Nell’estate del 1996 la Lazio lo cede in prestito al Vicenza, sempre in serie A, dove Iannuzzi inizia ad avere qualche problema fisico di troppo che ne condiziona in parte la stagione che pure parte bene col gol siglato in casa del Perugia a cui però farà seguito solo un altro centro in campionato, pur molto prestigioso quando i veneti sbancheranno San Siro vincendo 1-0 in casa dell’Inter grazie al gol proprio di Iannuzzi il 3 maggio 1997. Nel frattempo il Vicenza avrà spianato la sua strada verso una clamorosa ma meritata finale di Coppa Italia che disputerà nella doppia sfida contro il Napoli. Nella gara di andata al San Paolo, gli azzurri si impongono per 1-0, ma nel ritorno allo stadio Menti i vicentini mostrano immediatamente una marcia in più, segnano e portano lo scontro ai supplementari. Quando mancano due minuti ai calci di rigori, Maurizio Rossi raddoppia e il Vicenza è ad un passo dalla conquista del trofeo; al 120′, poi, col Napoli all’assalto, un’autostrada si spalanca di fronte a Iannuzzi che lancia la palla avanti, aspetta l’uscita del portiere e lo trafigge: 3-0, Coppa Italia al Vicenza e per l’ex laziale ecco un’altra rete decisiva nella sua personale bacheca.
Sembra una favola quella di Iannuzzi, ma le difficoltà sono dietro l’angolo: in estate la Lazio lo presta al Lecce, neopromossa in serie A, ma l’attaccante gioca pochissimo, appena 8 partite, per via di ripetuti malanni fisici. I salentini, inoltre, vivono una stagione dimessa e appaiono rassegnati alla retrocessione già alla fine del girone d’andata; tuttavia, Iannuzzi si toglie la soddisfazione di segnare ancora un gol decisivo, pur con l’annata della sua squadra da dimenticare: a Bari, nel sentito derby pugliese, il Lecce è sotto per 2-0 e destinato all’ennesima sconfitta, ma l’orgoglio dei giallorossi permette loro di accorciare le distanze e, proprio grazie a Iannuzzi, di agguantare il 2-2 finale. Tornato a Roma, l’ex prodigio della Primavera laziale, sa di avere poche possibilità di mettersi in mostra in una Lazio che in attacco vanta gente come Salas, Mancini, Boksic e Vieri, anche se il tecnico Eriksson lo tiene in considerazione. Il 25 ottobre 1998, l’allenatore svedese fa i conti con una vera e propria ecatombe in attacco e nella sfida contro il Vicenza si ritrova con due soli attaccanti a disposizione, Roberto Mancini e Alessandro Iannuzzi, e decide di schierarli entrambi dal primo minuto. E’ l’esordio stagionale per Iannuzzi che proprio contro il suo ex Vicenza debutta dal primo minuto con la maglia della Lazio, gioca poco più di un’ora e poi lascia il posto a Gottardi. Gli spazi si riducono però sempre di più e la punta romana a gennaio viene acquistata dal Milan su precisa indicazione di Alberto Zaccheroni che fiuta un possibile affare a costi ridottissimi: se Iannuzzi risolve i suoi malanni fisici, pensa il tecnico rossonero, rigeneriamo un campioncino che ci potrà fare molto comodo.
Il Milan è un sogno per Iannuzzi, ma tale rimarrà. Dopo un esordio con gol in un’amichevole infrasettimanale contro i dilettanti del Viggiù, infatti, l’ex laziale non vedrà mai il campo con la maglia rossonera in partite ufficiali, limitato da una condizione fisica assai precaria. Nelle conferenze stampa, i giornalisti qualche volta chiedono a Zaccheroni notizie su Iannuzzi, ma il tecnico è evasivo e liquida l’argomento con generici “Sta recuperando”, oppure “Arriverà anche il suo momento”. Il Milan vince intanto lo scudetto in rimonta proprio sulla Lazio e in estate l’attaccante finisce in prestito alla Reggina, neopromossa e debuttante assoluta in serie A. In riva allo Stretto c’è giovane talento in abbondanza: Baronio, Pirlo, Kallon e Iannuzzi, gli amaranto possono vantare tanta qualità e freschezza in un attacco nel quale però il ragazzo di proprietà del Milan giocherà appena 3 partite prima di fermarsi di nuovo e rimanere in infermeria per il resto della stagione, assistendo da spettatore alla splendida salvezza dei calabresi. A luglio del 2000 il Milan lo gira in serie B al Monza, a due passi da Milano, con la speranza di rigenerarlo definitivamente; ma la stagione dei brianzoli è simile a quella che Iannuzzi ha vissuto a Lecce qualche anno prima e finirà con la retrocessione in C1. Alla punta romana andrà anche peggio, senza presenze e col campionato terminato addirittura fuori rosa.
Il Milan lo molla e la sensazione generale è che Iannuzzi abbia intrapreso ormai il viale del tramonto, che il treno della serie A sia passato e che pure in serie B di spazio ce ne sia poco per uno che ha nella tenuta fisica il suo tallone d’Achille. Lo acquista il Messina, neopromosso in serie B, l’unico club a dargli fiducia per più di un anno; in Sicilia Iannuzzi gioca più del solito, il 21 ottobre 2001 segna in Coppa Italia contro il Lecce, ovvero l’ultima squadra con cui era andato in gol in carriera. Sembra un segno del destino, anche perché Iannuzzi si ripete anche in campionato con due reti contribuendo attivamente alla salvezza del Messina. Nella stagione successiva sigla anche la prima doppietta della sua vita calcistica nel successo casalingo dei messinesi contro la Salernitana il 6 gennaio 2004, il giorno in cui il calcio italiano riscopre le gesta di un talento perduto. In estate alla sua porta bussa Serse Cosmi, allenatore del Perugia che lo convince a tornare in serie A, pur con un ruolo da rincalzo. Iannuzzi accetta, forse a 29 anni c’è ancora una speranza per lui, l’uomo dei gol decisivi, che però in Umbria, nonostante l’entusiasmo iniziale, non incanta e non incide, anzi, dopo 6 mesi di panchina e tribuna chiede ed ottiene il trasferimento in serie B al Pescara dove chiude un’annata alquanto sfortunata ed avara di soddisfazioni.
Si chiudono così anche le porte della serie B per un calciatore che alla soglia dei 30 anni si avvia ad un finale di carriera in toni minori. Nella stagione 2004-2005 gioca in serie C al Teramo dove raccoglie appena 5 presenze a causa degli ormai cronici problemi a schiena e ginocchia, quindi passa al Gualdo in serie C2 dove ritrova smalto e condizione giocando quasi 30 partite, segnando 2 reti e facendo sgranare gli occhi ad allenatori, compagni, dirigenti e a tutti gli spettatori che la domenica ammirano le qualità di un ragazzo sfortunato e del tutto sprecato per la quarta serie del calcio italiano. Dopo l’esperienza in Umbria, Iannuzzi decide di tornare a casa, nel Lazio, e chiude la carriera fra i dilettanti divertendosi a giocare a Monterotondo, a Fidene, a Guidonia e ad Artena, ultimi calci ad un pallone che gli si è improvvisamente ed inspiegabilmente sgonfiato fra i piedi sul più bello. Non gli è bastato il talento, il tocco vellutato ed una vita sana e regolare, a beffarlo è stato il fisico, elemento non certo secondario nella carriera di un atleta. 4 gol in serie A, uno nella finale di Coppa Italia e uno nella finale scudetto Primavera, il minimo comun denominatore nell’importanza di queste reti, praticamente tutte decisive.
Oggi Alessandro Iannuzzi ha scelto ed intrapreso la carriera di allenatore tornando alla Lazio e partendo dalla guida delle formazioni giovanili come tecnico in seconda. Ai ragazzi insegna la postura, la tattica, qualche trucchetto su come calciare le punizioni, forse anche come farsi trovare nel posto giusto al momento giusto, portando alto l’esempio di come si possa essere stato, suo malgrado, un infortunato cronico eppur vincente.
di Marco Milan
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