Amarcord: Cagliari 96-97, un esperimento mal riuscito
Se è vero che nel cuore e nei ricordi dei tifosi ci sono le gesta e i successi più importanti della propria squadra, è altrettanto chiaro come anche le sconfitte e le delusioni più cocenti restino impresse nella memoria come e se non più delle vittorie. E così a Cagliari, a fronte dell’enfasi per lo scudetto del ’70 o per la miracolosa salvezza del ’91, ecco l’immenso rammarico per una retrocessione dolorosa che probabilmente si sarebbe potuta evitare.
Nell’estate del 1996 il Cagliari si appresta ad affrontare la settima stagione consecutiva in serie A dopo il ritorno nel 1990. I sardi hanno chiuso l’ultimo campionato al decimo posto, guidati da Bruno Giorgi dopo l’esonero di Trapattoni, salvi con estrema tranquillità nonostante un avvio poco fortunato. Il presidente Cellino decide di cambiare ancora: via Giorgi e dentro l’uruguaiano Gregorio Perez, reduce da tre campionati consecutivi vinti alla guida del Penarol e che in patria è riverito ed ammirato, tanto che in molti ne acclamano la scelta come nuovo commissario tecnico di una nazionale che sta vivendo un momento buio nonostante la conquista dell’ultima Coppa America e che pregiudicherà la qualificazione a Francia ’98 dopo aver mancato anche quella ad Usa ’94. Cellino vuole ripetere il buon esperimento di un paio d’anni prima con un altro uruguaiano, Oscar Tabarez, che a Cagliari ben si è comportato e che proprio in quella stessa estate viene assunto dal Milan al posto di Fabio Capello. Perez (che dello stesso Tabarez era collaboratore in nazionale) è schivo, ma sbarca in Sardegna assieme ad un suo elemento di fiducia, il centravanti Luis Alberto Romero che con il tecnico al Penarol ha realizzato 17 reti in 34 partite e deve rimpiazzare a Cagliari due icone come Oliveira e Dely Valdes. Inoltre, Perez trova altri due connazionali, già cagliaritani da un anno, l’altro attaccante Dario Silva ed il talentuoso centrocampista Fabian O’Neill; in porta e in difesa ecco gli svizzeri Pascolo e Vega (entrambi nazionali elvetici), in difesa i promettenti Pancaro e Bettarini, oltre agli esperti Minotti e Villa, a centrocampo gli sconosciuti stranieri Lonstrup (Danimarca) e Tinkler (Sudafrica).
Le premesse per un buon campionato ci sono tutte, l’ossatura del Cagliari è simile a quella precedente e il carisma e l’esperienza di Perez possono permettere ai rossoblu di compiere quel salto di qualità che li porti a lottare per la zona Uefa. La serie A 1996-97 parte poi coi riflettori puntati su tre tecnici sudamericani esordienti: al Milan, come detto, c’è Tabarez, a Cagliari Perez e alla Roma l’argentino Carlos Bianchi. Saranno avventure terribili per tutti e tre, anche se a settembre ancora nessuno può immaginarlo. L’8 settembre 1996, infatti, è in programma la prima giornata di campionato ed il Cagliari esordisce col piede giusto battendo per 2-0 al Sant’Elia l’Atalanta, reti di Pancaro dopo pochi minuti e raddoppio di Muzzi a ridosso del 90′; per Gregorio Perez avvio migliore non poteva esserci, anche se resterà quella l’unica vittoria dell’allenatore uruguaiano sulla panchina cagliaritana. Alla seconda giornata il Cagliari cade 2-1 in casa della Juventus campione d’Europa in carica ed è una sconfitta tutto sommato accettabile da una squadra che lascia Torino a testa alta, non come dopo il terzo turno quando l’Udinese se ne torna dalla Sardegna con i 3 punti. Il 29 settembre i rossoblu si fanno rimontare due volte in casa del Verona, squadra che non aveva ancora ottenuto punti e, anche se su Perez non piovono ancora critiche feroci, qualche voce inizia a parlare di un Cellino per niente soddisfatto dell’andamento del Cagliari.
La sosta di inizio ottobre permette al tecnico sudamericano di parlare con lo spogliatoio e chiedere più sacrificio e, soprattutto, più concretezza perché serve che la squadra ottenga una svolta, ovvero il ritorno al successo dopo quello conquistato all’esordio. Ma Cagliari-Parma del 13 ottobre si conclude con la vittoria per 1-0 degli emiliani e la seconda sconfitta casalinga di fila dei rossoblu; Perez è ora veramente sulla graticola ed il nome di Carlo Mazzone (disoccupato dopo aver allenato la Roma per tre stagioni fino al maggio precedente) comincia ad aleggiare pesantemente sul collo del tecnico uruguaiano che, a precisa domanda, risponde sempre con garbo e signorilità. Il Cagliari, a dire il vero, non gioca neanche male ma sembra una squadra troppo ingenua, il portiere Pascolo commette qualche errore di troppo, in generale tutti i nuovi acquisti stanno rendendo meno del previsto, soprattutto Romero che, invece di garantire i gol per cui è stato acquistato, si fa notare per la sua inconcludenza in area di rigore e ben presto finisce in panchina, soppiantato dal più concreto Muzzi. Il 20 ottobre il Cagliari cade anche a Roma contro la Lazio e, non fosse per le disastrose Verona e Reggiana, sarebbe ultimo e staccato in fondo alla classifica; la città si divide in due: chi vorrebbe concedere ancora tempo a Perez e chi vorrebbe cambiare per invertire la rotta di un campionato che sembra aver già decretato la retrocessione dei sardi. Passa la linea dura e Cellino dà il benservito all’uruguaiano e richiama Carlo Mazzone, già sulla panchina dei sardi fra il 1991 ed il 1993 con tanto di qualificazione in Coppa Uefa.
Gregorio Perez lascia la Sardegna da signore, senza polemiche, consapevole che anche situazioni simili fanno parte del suo mestiere. Solamente anni dopo dichiarerà di non aver mai capito fino in fondo le motivazioni del suo esonero, secondo lui quella squadra si sarebbe potuta salvare se gli fosse stato dato più tempo per amalgamarla. Mazzone, intanto, torna a Cagliari accolto da un pubblico festante e rinvigorito, ma si accorge immediatamente che a quell’organico manca qualcosa, allora va da Cellino: “Presidente – gli dice – ho bisogno di una punta che faccia gol, almeno 10“. Il patron non se la sente di rifiutare, anche perché il flop di Romero è enorme e l’uruguaiano verrà ceduto subito; l’occasione arriva nel calciomercato autunnale quando il Cagliari riuscirà a strappare alla Reggiana Sandro Tovalieri, detto il cobra, uno che i gol li ha sempre fatti e che nelle ultime stagioni fra Bari ed Atalanta ha acquisito esperienza. Con l’attaccante romano i rossoblu avranno quella bocca da fuoco che Mazzone cercava e che potrà permettere loro di tornare alla tanto sospirata ed attesa vittoria che manca da quasi due mesi. L’esordio bis di Mazzone sulla panchina del Cagliari, però, è da incubo perché il 27 ottobre a Vicenza i sardi vengono battuti per 2-0. Il tecnico predica calma ed esorta i tifosi ad accorrere in massa la domenica successiva per Cagliari-Perugia, una sfida che sembra davvero da dentro o fuori per i cagliaritani. Può essere la partita della svolta ed in effetti il piglio dei rossoblu sembra diverso: Cozza e Banchelli firmano il 2-0, poi proprio al 90′ Pizzi accorcia le distanze, ma il risultato non cambia ed il Cagliari brinda finalmente al ritorno al successo dopo due mesi di ansie e paure.
I sardi sono ripartiti, ma le difficoltà non sembrano essere terminate. Dopo i tre punti col Perugia, infatti, perdono contro la Roma, poi infilano ben quattro pareggi di fila contro Napoli, Inter, Reggiana e Bologna, quindi vengono sconfitti a Firenze nell’ultimo turno del 1996. Il bilancio è ancora negativo, ma Mazzone ha esperienza, sa come affrontare situazioni complicate, è uno dei maghi delle salvezze, inoltre conosce bene la piazza, sa come evitare contestazioni e bufere, nonché come attirare i tifosi verso la squadra. Il 5 gennaio 1997 si gioca Cagliari-Piacenza e ai sardi non sono concessi passi falsi contro una diretta concorrente per evitare la retrocessione; la partita è nervosa, il Piacenza si difende, è chiaro che voglia uscire dal Sant’Elia con lo 0-0, mentre al Cagliari serve la vittoria ad ogni costo. Pancaro si fa parare un rigore da Taibi, il pareggio sembra scritto ma al 79′ una zampata del danese Lonstrup regala ai rossoblu tre punti fondamentali per continuare a sperare nella permanenza in serie A. L’impronta di Carlo Mazzone inizia a sentirsi, la formazione sarda è più sicura di sé, più organizzata, ed anche i risultati non si fanno attendere: dopo i pesanti ko con la Sampdoria e con l’Atalanta e l’1-1 in casa col Milan, infatti, il Cagliari blocca la Juventus al Sant’Elia, perde di misura a Udine, quindi vince una partita al cardiopalma contro il Verona, la più importante di tutte perché di fatto estromette i veneti dalla corsa salvezza e rilancia improvvisamente le azioni dei sardi. E’ il 23 febbraio 1997 quando i gol di Minotti, Muzzi e Tovalieri piegano la resistenza veronese per un 3-2 che a Cagliari festeggiano come fosse l’ultima giornata; è evidente a tutti che la pressione prima di quella partita era altissima e che una sconfitta (forse pure un pari) avrebbero tagliato quasi definitivamente le gambe ai rossoblu.
E’ in casa che il Cagliari deve costruire la sua salvezza e infatti al Sant’Elia la squadra di Mazzone ferma la Lazio e poi batte Vicenza e Roma, mantenendosi in linea di galleggiamento. Verona e Reggiana sono ormai spacciate in fondo alla classifica, mentre Cagliari, Piacenza e Perugia dovranno evitare gli altri due posti che valgono la serie B e riuscire ad accaparrarsi l’ultimo in grado di garantire la permanenza in A. Il 23 marzo, alla 25.ma giornata, i sardi perdono una partita sanguinosa a Perugia per 3-2 e sembrano abbandonare definitivamente ogni sogno di salvezza, anche perché gli umbri assestano un colpo importantissimo per blindare la quint’ultima posizione. Mazzone, però, non si rassegna, soprattutto perché la sua squadra a Perugia è apparsa viva, ha rimontato l’iniziale svantaggio portandosi addirittura sul 2-1, salvo poi commettere due ingenuità che hanno permesso ai biancorossi di ribaltare la situazione. Il tecnico ci crede e in effetti il Cagliari è più vivo che mai: a Napoli va sotto al 76′ e raddrizza il punteggio col solito Tovalieri all’83’, poi perde in casa contro l’Inter ma fa in pieno il suo dovere vincendo 3-0 in casa della Reggiana già retrocessa, quindi perde a Bologna ma travolge 4-1 la Fiorentina, a conferma che il Sant’Elia è la roccaforte cagliaritana. Gran parte della salvezza, però, il Cagliari se la gioca domenica 18 maggio a Piacenza dove chi perde potrebbe dire virtualmente addio alla serie A. La tensione si taglia a fette allo stadio della Galleana, il Piacenza è più in palla, è spinto dai propri tifosi e va subito in gol con il centravanti Luiso, ma al 44′ il Cagliari agguanta il pari con Tovalieri, poi vince la paura e l’incontro termina 1-1.
A due giornate dal termine la salvezza è ancora tutta da giocare e i calcoli fra Cagliari, Perugia e Piacenza sono degni dei migliori matematici della storia. I sardi sembrano quelli più in difficoltà, ma hanno un asso nella manica, ovvero il calendario che, ironia della sorte, ha messo il veleno nella coda piazzando proprio la sfida tra Piacenza e Perugia all’ultima giornata. Nel penultimo turno, però, il Cagliari sembra volersi uccidere da solo e perde clamorosamente la sua partita in casa contro la Sampdoria; è un incontro folle in cui i rossoblu fanno di tutto per perdere, rimontando da 1-3 a 3-3 al 79′ e incassando la rete del 3-4 a tempo quasi scaduto e a causa di una balorda deviazione di Villa su tiro di Roberto Mancini. Per i sardi sembra la resa conclusiva, la pietra tombale sul campionato, ma a guardare bene la classifica le speranze ci sono ancora: questo perché il Piacenza ha perso pesantemente a Udine e rimesso tutto in gioco. A 37 punti, infatti, c’è il Perugia (quint’ultimo e per ora salvo), mentre a 34 ci sono proprio gli emiliani ed il Cagliari che ha una sola possibilità di credere ancora nell’aggancio almeno allo spareggio: vincere a San Siro contro il Milan e tifare spasmodicamente per la vittoria del Piacenza nel confronto diretto contro il Perugia; questo porterebbe tutte e tre le squadre a quota 37, condannando gli umbri per via della classifica avulsa e portando le altre due a disputare lo spareggio. Ogni altra combinazione punirebbe inevitabilmente il Cagliari alla retrocessione e la settimana che conduce all’ultima giornata è dura per un ambiente col morale sotto i tacchi, anche perché in molti pronosticano un pari a Piacenza in una gara molto equilibrata.
Pensare di vincere in casa del Milan sembrerebbe ipotesi azzardata, inoltre, se non fosse che i rossoneri sono incappati nella peggior stagione dell’epoca berlusconiana, sono a metà classifica, fuori dalle coppe e col pubblico in rivolta. Domenica 1 giugno 1997 il Cagliari si ritrova così a giocare due partite, la sua a Milano e quella del Piacenza contro il Perugia. Muzzi segna al 10′, poi i cagliaritani falliscono pure un rigore, ma il Milan è demotivato, spento ed inconcludente, il risultato non cambierà più e la palla passerà alle radioline per capire cosa stia accadendo a Piacenza. In Emilia, nel frattempo, il Piacenza vince 2-1 in un pomeriggio che non sembra neanche un anticipo d’estate, anzi, c’è quasi la nebbia, piove e fa freddo, mentre il Perugia cerca disperatamente di agguantare il pareggio per evitare la retrocessione. A Milano i calciatori del Milan hanno già guadagnato gli spogliatoi, lieti di aver finalmente concluso quel campionato così mesto, mentre quelli del Cagliari sono seduti in mezzo al campo in attesa del fischio finale da Piacenza. Nessuno osa parlare, così come i tifosi rossoblu nello spicchio di stadio a loro riservato: basta un dettaglio e l’impresa di San Siro diventerà inutile. Alla fine ecco la notizia che tutti i cagliaritani aspettavano: il Piacenza ha vinto e dunque il Perugia è in serie B ed i piacentini giocheranno lo spareggio contro il Cagliari. I giocatori sardi esplodono dalla felicità, Mazzone in sala stampa appare visibilmente sollevato, anche perché i pronostici pendono tutti dalla parte dei rossoblu, più forti del Piacenza sulla carta e sembrati a tutti meglio messi fisicamente nelle ultime giornate.
La Lega, intanto, dispone che lo spareggio fra Cagliari e Piacenza sia giocato allo stadio San Paolo di Napoli ed ecco che altre frecce si insinuano nell’arco cagliaritano poiché i tifosi pronti ad invadere il capoluogo campano sono almeno ventimila, praticamente il doppio di quelli emiliani. C’è fiducia ed entusiasmo nell’ambiente cagliaritano, sono in pochi a credere che il Piacenza riesca a vincere contro un avversario migliore a livello tecnico, con un allenatore navigato rispetto all’esordiente Bortolo Mutti e in uno stadio quasi del tutto contrario ai biancorossi. Domenica 15 giugno si gioca Cagliari-Piacenza e tutti i bei propositi, nonché i favori del pronostico, vanno presto a farsi benedire perché i sardi sono bloccati, non riescono ad indovinare due passaggi di fila, mentre il Piacenza corre, lotta, sembra mentalmente più leggero, come se le minori possibilità di farcela li avessero psicologicamente liberati. Gli emiliani si portano sul 2-0 già nel primo tempo, poi falliscono pure il rigore del possibile 3-0, circostanza che risveglia il Cagliari dal torpore e genera l’1-2 di Tovalieri prima del 60′. I sardi ora attaccano, ma lo fanno senza costrutto, solo con la forza della disperazione, eppure qualche occasione la creano, ma l’imprecisione degli attaccanti rossoblu e la bravura di Taibi frenano la rimonta, fino al gol di Luiso al 90′ che gela il pubblico cagliaritano e fa impazzire di gioia i pochi tifosi piacentini giunti fino a Napoli. Il Piacenza è salvo, il Cagliari dopo 7 anni torna in serie B. La delusione è fortissima, l’immagine più emblematica dello sfortunato pomeriggio napoletano è quella di Sandro Tovalieri che saluta la curva sarda con le lacrime agli occhi, poi in aeroporto non riesce neanche a parlare ai giornalisti che lo incalzano con le domande.
Tutti a Cagliari ricordano quella retrocessione bruciante e per certi versi inaspettata, ma in tanti si dividono perché qualcuno avrebbe voluto Mazzone sin da subito (“Con lui avremmo sfiorato la zona Uefa“, dicono), altri avrebbero preferito la conferma di Gregorio Perez che con la sua esperienza avrebbe tirato fuori la squadra dal momento difficile fino a condurla alla salvezza. Il confronto tra i due è ovviamente impossibile: Perez è andato via dopo sole 6 giornate e nessuno può sapere cosa sarebbe accaduto se fosse rimasto l’uruguaiano. Di sicuro c’è che l’organico di quella squadra non valeva il quart’ultimo posto e la serie B, e che quella retrocessione si sarebbe potuta comunque evitare. Una certezza che a oltre 20 anni di distanza aumenta i rimpianti e non allevia le ferite di una tifoseria ancora scossa da quel drammatico e inatteso epilogo.
di Marco Milan