Amarcord: Christophe Dugarry, l’indigesto francese del Milan

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Un’abitudine che a volte si nota nel calcio è quella adottata dai club di acquistare quei calciatori che li hanno colpiti e magari affondati in qualche partita, soprattutto nelle coppe. Forse si accorgono del valore del giocatore, o forse se lo portano a casa per “esorcizzarlo“, fatto sta che non è poco comune vedere un carnefice andare a servizio della sua stessa vittima. Tipico esempio di tutto ciò è Christophe Dugarry, spietato killer del Milan, divenuto in rossonero un mansueto agnellino o quasi.

La storia ha una data di inizio molto precisa: è il 19 marzo 1996 quando a Bordeaux il Milan gioca la gara di ritorno dei quarti di finale di Coppa Uefa per difendere il 2-0 rifilato ai francesi all’andata. Sembra una passeggiata per i rossoneri di Capello, lanciati verso il quarto scudetto negli ultimi cinque anni e convinti di poter arrivare fino in fondo anche in Europa e portarsi a casa quella Coppa Uefa che è l’unico trofeo ancora mancante nella sontuosa bacheca milanista. Quella che appare una formalità, però, si trasforma in un incubo per la formazione italiana, colpa soprattutto dei due migliori calciatori del Bordeaux, il fantasista Zinedine Zidane e l’attaccante Cristophe Dugarry. I francesi non danno tregua al Milan, mettono l’avversario alle corde e passano in vantaggio dopo un quarto d’ora, poi nella ripresa completano la rimonta con la doppietta di Dugarry che conduce la sua squadra sul 3-0, elimina i rossoneri e diventa l’eroe della compagine transalpina, oltre che l’incubo dei milanisti, scioccati da un ko che mai si sarebbero aspettati. A fine stagione, al Milan salutano Capello che passa al Real Madrid, e Berlusconi chiama l’uruguaiano Oscar Tabarez che chiede alla società un rinforzo in attacco, perché il solo Weah come centravanti non gli basta. Galliani, allora, si ricorda di quell’attaccante che ha ribaltato i rossoneri nel marzo precedente e va a parlare col Bordeaux: si può fare, 6 miliardi di lire ai francesi e Christophe Dugarry sbarca in Italia.

Inizialmente accolto con diffidenza, il francese è però carico di aspettative, perché è ancora giovane (classe 1972) e pieno di talento, oltre ad avere un fiuto del gol non indifferente ed una fisicità che lo rende un centravanti d’area di rigore in grado di battagliare con gli arcigni difensori della serie A. Dopo i 4 scudetti e la Coppa Campioni del ’94 portati a casa con Capello, dal Milan di Tabarez ci si aspetta continuità ed i rossoneri partono anche bene con 4 vittorie nelle prime 6 partite, poi qualcosa si inceppa e la formazione milanese inizia a stentare, tanto in campionato quanto in Coppa dei Campioni dove nel suo girone lotta con Rosenborg e Goteborg per ottenere il secondo posto alle spalle del Porto e che conduce ai quarti di finale. Dugarry fatica a trovare spazio, condizionato anche da un problema muscolare ad inizio stagione, nonché dall’eccellente intesa della coppia Simone-Weah che lascia pochissime opportunità agli altri. Il 3 novembre il Milan ospita l’Atalanta e dopo 20 minuti va sotto per il gol di Filippo Inzaghi; Dugarry, gettato nella mischia, lotta, combatte e si impegna, procurandosi al 53′ il calcio di rigore che Albertini trasforma per l’1-1 finale. Ma la stagione milanista prosegue con alti e bassi, rilasciando la sensazione di non essere un gruppo vincente e di avere numerose lacune strutturali e caratteriali.

Silvio Berlusconi si è probabilmente pentito di aver scelto Tabarez, così come non sembra soddisfatto della campagna acquisti voluta dal tecnico sudamericano. Dugarry, che tanto male aveva fatto al Milan qualche mese prima, non ha ancora segnato un gol e la frase “pesce fuor d’acqua” è il giudizio più dolce che si legge sui giornali nelle pagelle riservate al francese. Il 1 dicembre 1996, però, a Piacenza Dugarry finalmente si sblocca e realizza in 5 minuti la doppietta che rimette la partita in parità e regala al Milan il 2-2 dopo il doppio svantaggio iniziale; la gara è famosa per l’epica rovesciata di Pasquale Luiso che porterà il Piacenza sul 3-2 e determinerà l’esonero di Tabarez nella tarda serata di quella domenica, col conseguente ritorno a Milanello di Arrigo Sacchi. Un colpo per tutto il calcio italiano, ma anche un trauma che scombussola un Milan già non equilibratissimo e che non accoglie bene il vecchio allenatore che, nonostante le straordinarie vittorie del passato, non è più particolarmente amato nello spogliatoio, oltre ad aver perso quel tocco magico di fine anni ottanta, lasciando spazio ad un uomo troppo teso, troppo ansioso ed ormai poco elastico. Sacchi taglia dalla formazione Baggio e Simone, promuove Dugarry che gli piace come movimenti e combattività, tanto che il francese parte titolare nella sfida di coppa contro il Rosenborg, decisiva per il passaggio del turno, e che diventa il debutto bis di Sacchi sulla panchina del Milan.

E’ la sera del 4 dicembre 1996, i rossoneri sono in ritardo nella lotta scudetto e già fuori dalla Coppa Italia, motivi per cui la Coppa dei Campioni potrebbe essere l’ultima possibilità di salvare la stagione. L’ostacolo Rosenborg appare tutt’altro che insormontabile, inoltre al Milan basta il pari per qualificarsi e sui giornali si parla più dell’emozione di rivedere Arrigo Sacchi in panchina che della partita stessa. E che la gara coi norvegesi sia strana potrebbe dimostrarlo anche la maglia del Milan, un completo totalmente rosso, poi ci pensa il primo tempo a terrorizzare l’ambiente milanista: dopo mezz’ora il Rosenborg va in vantaggio e lo stadio incomincia a rumoreggiare. Al 45′ una convulsa azione del Milan porta Baggio al tiro che viene ribattuto dalla difesa, allora ci prova Boban ma il portiere respinge, infine arriva Dugarry che con tutta la forza che ha scaraventa la palla in rete per l’1-1. Il francese si sfila la maglia e la agita come fosse una bandiera, mentre i compagni lo sommergono in un abbraccio che sa tanto di liberazione, e perfino Sacchi si lascia andare ad una smorfia di soddisfazione. Ma l’annata è davvero segnata per il Milan che nella ripresa non sa approfittare della situazione psicologica favorevole, nonché della maggior caratura tecnica, subendo la rete dell’1-2 che non sarà poi in grado di raddrizzare, col risultato che non cambierà più e certificherà l’eliminazione dei rossoneri dalla Coppa dei Campioni.

E’ forse quello l’inizio della fine per il secondo Milan di Sacchi che, nonostante abbia ancora 6 mesi di tempo a disposizione, non sarà più capace di rialzarsi. La situazione non aiuta neanche Dugarry che continua a deludere e a segnare pochino, spesso in curva i tifosi imprecano: “L’anno scorso ci ha fatto a pezzi, con noi niente di niente“. In realtà il rendimento del francese non è così negativo e probabilmente non tutto di lui viene notato, perché se è vero che va in gol col contagocce, è altrettanto evidente che l’immobilismo della squadra gli faccia arrivare pochi palloni ogni partita, anche se l’infortunio al piede di George Weah gli permette di prendersi una maglia da titolare, almeno momentaneamente. Il 12 gennaio 1997 il Milan riceve a San Siro il Vicenza di Guidolin, rivelazione del campionato, e proviene da due sconfitte di fila contro Parma e Lazio; è una partita bloccata in cui i veneti giocano assai meglio dei rossoneri, fischiati da un pubblico che sta lentamente perdendo la pazienza. Al 21′, però, uno stacco di testa imperioso di Dugarry porta avanti la squadra di Sacchi che con le unghie e con i denti porterà a casa il successo, alleviando qualche ferita di una stagione disastrosa. Passa una settimana e Dugarry è ancora decisivo: a Cagliari, infatti, il Milan va sotto e proprio una zampata della punta transalpina consente ai rossoneri di rimediare l’1-1. In una squadra spenta, insomma, proprio quel tanto criticato attaccante francese sembra l’uomo del momento, il calciatore più in forma.

Ad inizio febbraio, però, torna Weah che si riprende il suo posto al centro dell’attacco e per Dugarry gli spazi si riducono nuovamente. Il Milan, nel frattempo, cola a picco e perde partite a ripetizione, allontanandosi perfino dalla zona Uefa, con Sacchi che pare aver perso definitivamente il polso dello spogliatoio. Il 23 febbraio a Perugia i rossoneri perdono ancora e Dugarry si fa pure buttare fuori dopo 25 minuti, mostrando anche il lato più ombroso e ribelle del suo carattere. Il Milan è ormai alla deriva, fra il 6 ed il 13 aprile perde prima 6-1 in casa con la Juventus, poi 3-1 il derby con l’Inter; l’avventura di Sacchi in panchina può dirsi conclusa e ad inizio maggio è già noto nell’ambiente il probabile ritorno di Capello. Più o meno nello stesso periodo, inoltre, la dirigenza rossonera non smentisce l’imminente accordo col Barcellona per la cessione di Dugarry, calciatore che a Milano non ha convinto né per carattere, né per rendimento. Il francese è uno degli elementi più criticati, uno dei più bersagliati anche dall’esausto pubblico milanista che ormai espone costantemente lo striscione “Avete infangato 10 anni da leggenda con 1 da vergogna“, mostrato sia in casa che in trasferta. A poco serve l’ultimo gol di Dugarry in rossonero, siglato alla Reggiana l’11 maggio e del quale si parla più per l’acconciatura del francese (che sfoggia un lungo codino) che per la prodezza calcistica.

Christophe Dugarry chiude la stagione con 6 reti totali, 5 in campionato ed una in Coppa dei Campioni, lascia Milano nell’indifferenza generale e senza che nessuno lo rimpianga. Anche la sua esperienza al Barcellona non sarà memorabile, ma basterà a farlo convocare dalla nazionale francese per i vittoriosi mondiali casalinghi dell’anno dopo. Del Dugarry milanista rimane probabilmente impressa la doppietta di Piacenza e il gol al Rosenborg: unici momenti da protagonista in un’annata da dimenticare e ritagliati in giornate inutili e negative per il Milan, perfetta fotografia di un rapporto mai del tutto decollato. Anche per questo, la doppietta di Bordeaux resta ancora più indigesta per i tifosi rossoneri che da Dugarry hanno sostanzialmente avuto solo amarezze.

di Marco Milan

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