Amarcord: Batistuta all’Inter, lo sgarbo di Sensi a Moratti
Non ce ne vogliano i tifosi delle altre squadre coinvolte, ma chiudere gli occhi e pensare a Gabriel Batistuta è impossibile senza vederlo con la maglia della Fiorentina. Ci scuseranno soprattutto i tifosi romanisti, perché in fondo l’argentino l’unico scudetto della sua carriera l’ha vinto proprio a Roma; non troppo, invece, ci scuseranno quelli interisti, perché il breve passaggio del bomber sudamericano in nerazzurro è stata una piccola ed irrilevante parentesi che forse anche in pochi ricorderanno.
Dopo la partenza da Firenze nell’estate del 2000, il corteggiamento della Lazio neo campione d’Italia e lo sbarco a Roma ma dalla sponda romanista del Tevere, Gabriel Omar Batistuta, classe 1969, si toglie la soddisfazione di vincere il suo primo (e poi unico) e tanto sognato scudetto italiano, diventando uno dei grandi protagonisti della Roma di Capello che il 17 giugno 2001 si laurea campione d’Italia per la terza volta nella sua storia, 18 anni dopo l’ultimo trionfo tricolore. Batistuta è uno dei leader del gruppo e i suoi 20 gol hanno trascinato i giallorossi soprattutto nella prima parte di stagione. L’anno successivo, l’argentino gioca meno, ha un fastidio al ginocchio che si protrae ormai da tempo e che stavolta non riesce a lasciarlo in pace: a fine anno la Roma arriva seconda in classifica e l’ex viola chiude con appena 6 reti in 23 partite. L’impressione e la paura del popolo romanista è che quel bomber d’acciaio, quasi indistruttibile, sia ormai alle prese con una decadenza fisica irrimediabile. Del resto, la carta d’identità parla di 33 primavere e il problema al ginocchio è complicato da trattare, ci vuole riposo, il che significa che Batistuta in vista della stagione 2002-2003 potrà garantire ancor meno presenze.
Nell’estate del 2002 l’argentino gioca i mondiali di Corea e Giappone con la sua nazionale che fa pure una pessima figura uscendo al primo turno, eliminata nel girone da Inghilterra e Svezia. Batistuta decide l’unica vittoria dell’albiceleste contro la Nigeria, poi torna in Italia dove si prepara ad affrontare la sua terza annata romanista che parte sotto il segno delle lamentele di Fabio Capello che fino all’ultimo giorno di calciomercato chiede al presidente Sensi l’acquisto dello juventino Edgar Davids senza essere accontentato. La reazione del tecnico giallorosso fa impallidire la tifoseria: “Così siamo da ottavo posto”, sbotta alla vigilia del campionato che effettivamente parte malissimo per la Roma, sconfitta nella prima giornata a Bologna dove non basta l’iniziale rigore di un Batistuta che pare tirato a lucido. Il goleador sudamericano segna anche nel 4-1 all’Udinese e nel derby contro la Lazio, finito 2-2. A novembre, poi, si ripete nel pareggio dell’Olimpico contro l’Inter, mentre a dicembre sembra definitivamente ristabilito trovando la via del gol in Coppa Italia a Trieste e in Coppa Campioni contro l’Ajax.
Ma i rapporti con Capello e con la Roma non sono più idilliaci, la forma fisica resta precaria e l’annata storta dei giallorossi non facilita la situazione perché nessuno ha voglia di sobbarcarsi i guai al ginocchio di un calciatore di 34 anni ormai sul viale del tramonto della carriera. Già alla fine di dicembre si rincorre qualche voce che vorrebbe Sensi impegnato a proporre il prestito di Batistuta in Italia e all’estero, anche se da Trigoria smentiscono. Invece l’interesse del club romanista di privarsi dell’argentino c’è ed è reale, così come quello dell’Inter che, in corsa per lo scudetto e per la Coppa Campioni, vorrebbe affiancare un attaccante di peso ed esperienza alla coppia Vieri-Crespo. La suggestione si fa sempre più largo, Batistuta è titubante, non vorrebbe spostarsi da Roma dove c’è la sua famiglia, non vorrebbe farlo a stagione in corso per non destabilizzare il percorso scolastico dei figli. E’ Massimo Moratti in persona a prendere in mano le redini della trattativa: il presidente interista telefona al calciatore, gli dice che a Milano può vincere un altro scudetto e che sarebbe bello come quello di Roma perché l’Inter non lo conquista dal 1989 e un centravanti come lui sarebbe determinante, anche perché avendo già giocato in Europa con la Roma quell’anno potrebbe scendere in campo solo in campionato.
Batistuta si convince, lascia la famiglia a Roma e si trasferisce all’Inter in prestito a gennaio del 2003. Dalla capitale inizialmente ci sono pochi commenti, anche se dall’ambiente romano filtrano voci secondo cui Franco Sensi sarebbe molto soddisfatto dell’operazione e addirittura stupito che all’Inter fossero così interessati all’argentino. A Milano, d’altra parte, i tifosi si dividono: c’è chi accoglie il nuovo arrivo con giubilo per nome, fama, temperamento e numeri, e chi, viceversa, è dubbioso circa lo stato fisico di un giocatore che il meglio sembra averlo ormai alle spalle. Batistuta esordisce con la maglia numero 18 dell’Inter alla prima giornata del girone di ritorno, giocando da titolare la gara di San Siro del 26 gennaio 2003 contro l’Empoli, vinta dai nerazzurri di Cuper per 3-0 grazie ad una tripletta di Christian Vieri nell’ultimo quarto d’ora. L’ex romanista lotta, si impegna, ma sembra effettivamente lontano parente della belva che per anni aveva sfondato le porte della serie A con le maglie di Fiorentina e Roma. Forse si tratta di recuperare la forma fisica, pensa e spera qualcuno, in realtà a Batistuta fa male il ginocchio, corre male, sente fitte atroci che non gli permettono neanche di allenarsi bene.
Il 23 febbraio 2003 Cuper manda in campo ancora l’argentino nella sfida casalinga contro il Piacenza: la gara è bloccata, gli emiliani sono quasi retrocessi ma vendono cara la pelle, l’Inter non sfonda. Al 64′ Batistuta lascia il segno come ai vecchi tempi e sblocca la situazione con un gol dei suoi, il primo in maglia nerazzurra, il quinto in campionato considerando anche i 4 con la Roma. E’ la fine di un incubo, l’argentino esulta in modo liberatorio, l’Inter segnerà altri due gol nei successivi tre minuti vincendo la partita poi per 3-1. Il 16 marzo 2003 Batistuta è ancora in campo a San Siro contro il Como ultimo in classifica, una partita sulla carta agevole per gli uomini di Cuper; al bomber sudamericano basta un quarto d’ora per siglare il gol del vantaggio che spiana la strada ai nerazzurri che vinceranno 4-0. E’ la rete numero 200 per Batistuta in Italia fra serie A e serie B, sarà anche l’ultima perché da allora l’argentino giocherà poco e non troverà più la via del gol, l’Inter si allontana dalla lotta scudetto e perde la semifinale di Coppa Campioni contro il Milan, chiudendo un’altra stagione senza trofei, senza successi e senza gloria.
Ad inizio aprile, poi, le dichiarazioni di Franco Sensi scuotono il calcio: il presidente della Roma, infatti, torna a parlare di Gabriel Batistuta e non lo fa certo in termini positivi: “La cessione di Batistuta all’Inter? A Moratti ho dato una bella fregatura“. Frasi che indispettiscono l’Inter ed il calciatore, anche se polemiche da Milano non ne fanno. Batistuta chiude la sua esperienza interista con 12 presenze e 2 reti, consapevole che non sarà riscattato dai nerazzurri, alle prese con l’ennesima rivoluzione tecnica e con l’ennesima contestazione di un pubblico ormai esausto. A posteriori sarà lo stesso attaccante a scusarsi con il popolo interista: “Mi dispiace tanto per non aver dato il contributo che avrei voluto dare alla causa dell’Inter“. Un contributo effettivamente misero, appena 2 reti (seppur determinanti per le vittorie) e l’impressione di essere comunque di fronte ad un calciatore in regressione fisica e probabilmente spremuto. Batistuta lascerà Milano e finirà poi in Qatar dove chiuderà la carriera togliendosi la soddisfazione di segnare 25 reti in 18 presenze e conquistando la Scarpa d’Oro asiatica.
Il passaggio dalla Roma all’Inter nell’inverno del 2003 fa parlare oggi non tanto per l’apporto alla causa interista, quanto per quelle dichiarazioni di Franco Sensi che apparirono fin da subito beffarde nei confronti di un’Inter che sembrava collezionare beffe su beffe, in campo e pure nel calciomercato. Una fregatura che forse non è stato elegante definire così, ma che, a conti fatti, l’Inter ha subìto, convivendo per 6 mesi con la malinconica figura di un campione ormai al tramonto.
di Marco Milan
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