Amarcord: quando la Dinamo Kiev sognò la Coppa dei Campioni

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Belli ma sfortunati. Si potrebbero definire così quelli della Dinamo Kiev che a fine anni novanta riuscirono nell’impresa di scavalcare le più forti potenze europee fino a sfiorare una finale che avrebbe avuto del clamoroso ma che, visti i valori e il gioco, sarebbe stata anche ampiamente meritata.

La storia della Dinamo Kiev è una delle più ricche della vecchia Unione Sovietica e il club ucraino è uno dei pochi ad essersi fregiato di vittorie internazionali grazie ai due successi nella Coppa delle Coppe, ottenuti nel 1975 e nel 1986, oltre alla Supercoppa Europea sempre nel ’75. Dopo la disgregazione dell’impero sovietico e la nascita degli stati indipendenti, il calcio russo vive un momento di ricomposizione che ne diminuisce il valore assoluto, rendendo le società e le nazionali un gradino sotto le altre, tanto che negli anni novanta di exploit calcistici da quelle parti se ne vedono ben pochi, così come per le nazionali che, a parte la Russia ad Usa ’94, saltano tutti i principali tornei. La Dinamo Kiev, che intanto spadroneggia in un campionato ucraino nel quale non ha avversari, è forse la prima a tentare una risalita, di sicuro è la più organizzata grazie al tecnico Valerij Lobanovskij che guida la squadra praticamente dagli anni settanta (con parentesi da commissario tecnico dell’U.R.S.S.) e che ha conquistato le due Coppe delle Coppe precedentemente citate. Detto “Il Colonnello” per i modi duri e per la disciplina quasi militare applicata al calcio, Lobanovskij tira su un gruppo talentuoso e caratterialmente valido che domina in patria e vuole ben figurare anche in Europa.

Ma se vincere in Ucraina è una passeggiata, altrettanto non si può dire nelle coppe internazionali dove i club di Inghilterra, Italia, Spagna e Germania dimostrano maggior esperienza, oltre ad essere economicamente più strutturati, motivo per il quale riescono quasi sempre a prevalere e a raggiungere le fasi finali delle manifestazioni. Alla vigilia della Coppa dei Campioni 1997-98, la Dinamo Kiev appare discretamente attrezzata per recitare un ruolo da protagonista, perché ha una squadra solida e concreta, che a tratti gioca anche un calcio gradevole, fondata su una difesa rocciosa, su un centrocampo dinamico in cui spicca il tuttofare Husin (scomparso in un incidente di moto nel 2014) e, soprattutto, su un attacco atomico con la coppia formata dall’eclettico Rebrov e da Andrij Shevchenko, classe 1976, da molti individuato come astro nascente del calcio europeo. Serio, talentuoso, rapido, bravo ad agire sia come centravanti che come seconda punta, Shevchenko è tecnicamente dotatissimo e sa far gol in ogni modo, di destro, di sinistro, di testa, da fuori area e sotto misura davanti alla porta. Con una punta così, dicono i più esperti, la Dinamo Kiev può spaventare quasi chiunque. Se ne accorge, ad esempio, il Barcellona che dagli ucraini viene travolto prima 3-0 a Kiev, poi addirittura 4-0 al Camp Nou.

La Dinamo vince il girone con 11 punti e si mette alle spalle il PSV Eindhoven, il Newcastle e lo squadrone spagnolo che arriva addirittura ultimo con appena 5 punti racimolati. Ai quarti di finale, la squadra di Lobanovskij mette paura alla Juventus di Lippi, imponendole l’1-1 al Delle Alpi all’andata ma venendo poi battuta 4-1 in casa da una tripletta dello scatenato Filippo Inzaghi. Ma la delusione si mischia alla consapevolezza che quella squadra possa fare meglio di così e che quell’edizione della coppa possa essere il trampolino di lancio per migliorare ancora. Così, nell’edizione 1998-99 della Coppa Campioni, la Dinamo Kiev è sostanzialmente la stessa dell’anno prima, ma con più esperienza. Il Ranking Uefa impone agli ucraini la partenza dai turni preliminari e quindi la stagione di Shevchenko e compagni inizia a fine luglio contro i gallesi del Barry Town, peraltro affrontati ai preliminari già l’anno precedente. La Dinamo vince 8-0 all’andata e 2-1 al ritorno, poi si sbarazza anche dello Sparta Praga, ma dopo due partite al cardiopalma, con l’andata persa a Kiev 1-0, il ritorno vinto col medesimo punteggio in Repubblica Ceca e la vittoria solo dopo i calci di rigore. La fase a gironi è così nuovamente conquistata e gli ucraini vincono ancora il proprio raggruppamento come l’anno prima e proprio allo stesso modo, ovvero con 11 punti, frutto di 3 vittorie, 2 pareggi ed una sola sconfitta. Sono eliminate il Lens, l’Arsenal ed il Panathinaikos; per la Dinamo Kiev si spalancano di nuovo le porte dei quarti di finale.

Stavolta, però, la squadra di Lobanovskij è più preparata, gli uomini in maglia biancoblu giocano a memoria, non hanno timori reverenziali e fanno davvero paura anche alle migliori formazioni d’Euorpa. Già da febbraio, inoltre, si inizia a vociferare del passaggio di Andrij Shevchenko al Milan per la stagione successiva, motivo per cui a Kiev in molti si rendono conto che senza la stella della squadra sarà difficile ripetersi e che quella è un’occasione più unica che rara per spaventare l’Europa dei grandi. Ai quarti gli ucraini se la devono vedere col Real Madrid, la regina d’Europa per antonomasia, un club che fa tremare le gambe solo a pronunciarne il nome. Ma Lobanovskij non è detto colonnello a casaccio, a lui del blasone del Real Madrid e della grandezza del Bernabeu interessa poco, lui vuole vincere e portare i suoi in semifinale. Inutile dire che gli spagnoli sono i grandi favoriti dell’incontro, ma già all’andata a Madrid si capisce che la Dinamo Kiev non è venuta in Spagna a fare una gita e Shevchenko, in una perfetta azione di contropiede, sigla il gol che gela il Bernabeu. L’1-1 finale avvantaggia gli ex sovietici in vista del ritorno, anche se il Real resta comunque col pronostico a favore. Il 17 marzo 1999 allo stadio Olimpico di Kiev, però, la Dinamo impartisce al grande Real Madrid una lezione di calcio impressionante, vince 2-0 grazie ad una doppietta di Shevchenko, domina la partita in lungo e in largo, strabilia l’Europa e si catapulta in semifinale.

Ora sì che tutti elogiano la squadra di Lobanovskij e non sono sporadici i pronostici che vorrebbero gli ucraini in finale, sia per il gioco espresso e sia perché con un fuoriclasse come Shevchenko nulla sembra precluso. In semifinale c’è il Bayern Monaco, altra grande del calcio europeo ma di cui a Kiev nessuno pare aver timore. La gara di andata in Ucraina il 7 aprile 1999 è uno spettacolo per gli occhi degli appassionati: la partita termina 3-3, Shevchenko sigla un altro gol da antologia mettendo a sedere la difesa tedesca e il portiere Oliver Kahn e l’impressione è che la Dinamo possa sbancare Monaco di Baviera nel ritorno del 21 aprile. Dall’altra parte, intanto, le altre due semifinaliste Juventus e Manchester United guardano con interesse la sfida, ritenendo forse migliore il passaggio del turno dei bavaresi, probabilmente più prevedibili di una Dinamo Kiev che sbalordisce per velocità, organizzazione e concretezza. La sostanza del Bayern Monaco, però, ha la meglio nella sfida in Germania che i padroni di casa riescono a vincere per 1-0 spezzando il sogno della Dinamo che si ferma ad un passo dalla finale di Barcellona che poi il Manchester United vincerà contro il Bayern, rimontando da 0-1 a 2-1 con due gol fra il 90′ e il 91′.

In Ucraina si consolano col titolo di capocannoniere del torneo conquistato da Shevchenko, autore di 8 reti come Dwight Yorke del Manchester United, e con la vittoria morale di esser riconosciuti come la squadra più bella della manifestazione. Proprio la partenza di Shevchenko nell’estate del 1999 e la crescita in patria di un’altra forza nazionale come lo Shakhtar Donetsk porteranno ad un ridimensionamento della Dinamo Kiev, soprattutto nelle coppe europee dove lentamente la squadra biancoblu finirà per diventare una semplice comparsa. Non certo come quella magnifica Coppa dei Campioni 1998-99 quando l’Europa intera stava per inchinarsi a quegli zar venuti dall’Est e pronti a conquistare anche i fortini più insidiosi.

di Marco Milan

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