Amarcord: la luce ad intermittenza di Pinga
Molti lo ricorderanno per aver giocato un’intera stagione indossando una bandana, altri per le qualità tecniche, altri ancora per quel talento mai espresso del tutto. André Pinga è stato il classico esempio di giocoliere brasiliano tanto bravo quanto discontinuo, emblema di un calcio a volte troppo divertente, anche oltre la concretezza.
André Luciano da Silva nasce in Brasile, a Fortaleza, il 27 aprile 1981, di professione calciatore, centrocampista offensivo, esclusivamente mancino, 1 metro e 75 per 71 chili, preferenza alla tecnica più che al fisico. Sin da subito si fa notare per due caratteristiche ben specifiche: grandi doti tecniche, qualità balistiche nel calciare da fuori area, ed un’ottima resistenza atletica, in barba ad una muscolatura non certo da culturista. Ben presto, in patria lo ribattezzano Pinga, riprendendo il nome di una famosa bevanda alcolica brasiliana, proprio perché coi suoi dribbling e la sua velocità è in grado di ubriacare gli avversari. Il nomignolo piace a tutti, ma soprattutto è il ragazzino ad incantare e di lui si accorgono anche in Europa, in particolar modo in Italia dove gli piazzano gli occhi addosso il Torino e l’Udinese. Sono i granata ad avere la meglio e a portarsi a casa il talento carioca nell’estate del 1999, quella del ritorno in serie A dopo tre anni in B.
Pinga è appena un diciottenne che non conosce la lingua, gli usi e i costumi dell’Italia, nonché le difficoltà della serie A, molto tattica e meno improntata ai guizzi di sola tecnica rispetto al Brasile. Eppure, il ragazzino viene dipinto come un soldatino, ascolta i dettami dell’allenatore Emiliano Mondonico, si fa apprezzare per impegno, non si lamenta mai se non gioca. Ma la stagione del Torino vive di alti e bassi, i piemontesi, nonostante discrete ambizioni ad inizio campionato, restano invischiati nella lotta per non retrocedere e ad un mese dalla conclusione del torneo sono in grave difficoltà. Il 17 aprile 2000 allo stadio Delle Alpi si gioca Torino-Milan: è un pomeriggio di primavera, ma nel capoluogo piemontese c’è pioggia fitta e cielo plumbeo, in preciso allineamento con l’umore del popolo torinista, chiamato all’impresa contro i campioni d’Italia in carica che devono difendere il terzo posto dagli attacchi di Inter e Parma. Il Milan segna subito con Massimo Ambrosini, il Torino è disperato, Mondonico si agita in panchina, incurante della pioggia sferzante che lo sta inzuppando; è il momento di gettare nella mischia Pinga, tanto peggio di così non può andare e l’entusiasmo del giovane brasiliano non può che scuotere un Torino abulico.
Mossa più azzeccata non potrebbe esserci: Pinga è una furia e mette in crisi la difesa milanista, impreparata a dover fronteggiare un folletto simile, nonostante sia composta da autentici fuoriclasse. Il brasiliano se ne infischia del campo scivoloso e del temporale, sfodera tutte le sue qualità e pareggia i conti con un beffardo colpo di testa. Il Torino capisce di poter addirittura vincere, si getta all’attacco e colpisce ancora: sempre Pinga si fa un baffo dei difensori del Milan, ne supera due con un pallonetto, poi anticipa il portiere Abbiati con un’altra palombella ed accomoda dolcemente il pallone in rete; 2-1 e Delle Alpi impazzito, Pinga corre sotto la curva, esulta coi pugni in alto come negli anni settanta, il popolo granata inizia a credere nell’impresa e nella salvezza. Peccato, per loro, che il Milan pareggi nel finale con l’argentino Guglielminpietro, ma resta la gioia per quel piccolo brasiliano che ha incantato tutti. La stagione del Torino terminerà malissimo col ritorno in serie B dopo una sola stagione, ma con la contentezza di avere in organico un diamante ancora grezzo ma dall’indiscusso valore.
Dopo un’annata interlocutoria, Pinga si riprende il Torino nella stagione 2001-02, mostrandosi però troppo discontinuo per indossare una maglia da titolare con costanza, così i granata lo mandano in prestito al Siena in serie B dove il brasiliano gioca bene e realizza pure 4 gol aiutando i toscani a raggiungere la salvezza; il prestito viene rinnovato anche per il campionato 2002-03, quello della svolta. Il Siena, partito con l’obiettivo di piazzarsi a metà classifica, inanella una serie di risultati che lo portano ai primi posti della graduatoria; la fiducia cresce, la città e i tifosi ci credono, Pinga è scatenato, le sue giocate funamboliche accendono il piccolo stadio Franchi, i suoi 7 gol trascinano i bianconeri ad una storica promozione, culminata nel maggio del 2003 col 3-1 in casa del Genoa. E’ il momento più importante della carriera del brasiliano e di tutta Siena, i calciatori sono perlopiù giovani e dopo la promozione decidono di andare a divertirsi, passando una serata spensierata a far festa. Sulla via del ritorno, però, la macchina su cui viaggiano i brasiliani Pinga e Rodrigo Taddei, nonché Leonardo, fratello di quest’ultimo, ha un pauroso incidente: per il fratello di Taddei non c’è nulla da fare, mentre i due calciatori riportano qualche ferita.
E’ un colpo durissimo per il carattere sensibile di Pinga che per anni vivrà con l’incubo di quell’incidente stradale e col desiderio di dimenticare tutto tornando in Brasile. Le conseguenze fisiche non sono gravi, anche se sulla fronte del fantasista si nota una vistosa cicatrice che il giocatore non vuole che si noti, forse vuole rimuoverla anche lui dalla vista. Così, una volta tornato al Torino nell’estate del 2003 per aiutare i granata a risalire dopo una nuova retrocessione, decide di scendere in campo in ogni partita con una bandana granata in testa. Diventerà il suo segno distintivo, come accadrà con i caschetti protettivi per Peter Cech e Christian Chivu. Il Torino è la grande favorita della serie B 2003-04, ma la stagione si rivelerà un flop per i granata che chiuderanno il campionato solamente al 12° posto e anche Pinga deluderà molto, solamente 6 reti, pochi guizzi e prestazioni spesso scadenti, tutt’altro rendimento rispetto al fantasista devastante ammirato a Siena. Il pubblico torinista è esausto ed amaraggiato dopo annate ricche di delusioni, non ha pietà per nessuno, fischia e contesta tutti indistintamente, Pinga compreso.
Il brasiliano resta comunque in Piemonte anche nella stagione 2004-05, abbandona la bandana per scaramanzia e stavolta trascina davvero il Torino verso la promozione: i granata giocano bene e vincono, Pinga segna 8 gol e torna a far gioire la tifoseria torinista con quei lampi di tecnica purissima che tanto aveva mostrato da ragazzino. Il Torino vince i playoff nella doppia finale contro il Perugia e per Pinga sembra essere arrivato il momento per affermarsi finalmente anche in serie A. Ma alle porte per il club piemontese c’è il baratro del fallimento: le condizioni economiche della società, infatti, non ne consentono l’iscrizione in massima serie e i granata riescono ad evitare il dilettantismo grazie al Lodo Petrucci che ne autorizza l’iscrizione in serie B dopo l’avvento del nuovo presidente Urbano Cairo e lo svincolo di tutti i calciatori in rosa. Anche il Perugia fallisce, mentre il Genoa (primo in serie B) viene retrocesso in C per illecito e così in serie A vengono promosse l’Empoli e le ripescate Ascoli e Treviso. Proprio in Veneto allena Ezio Rossi, vecchio allenatore di Pinga a Torino, che chiama il brasiliano per giocare in serie A.
Il Treviso è inesperto, deve allestire in fretta e furia un organico competitivo per la massima serie, non può inizialmente giocare neanche nel suo stadio poiché non ancora omologato e a norma, venendo dirottato a Padova. Pinga va a Treviso convinto di potersi affermare e di poter aiutare i biancocelesti a raggiungere la salvezza. Ma la stagione dei trevigiani sarà un disastro con una retrocessione praticamente annunciata già ad inizio campionato, appena 3 vittorie in 38 partite, prestazioni al di sotto di un decente livello e un continuo cambio di allenatori e giocatori che non cambierà granché nell’andamento di una squadra del tutto inadeguata alla categoria. Neanche Pinga potrà fare molto, finendo per annegare assieme al resto della squadra; per il brasiliano solamente 3 gol e 3 assist, oltre al fattaccio del 5 marzo 2006 quando l’ex torinista finirà sulle prime pagine di tutti i quotidiani sportivi per quanto accaduto durante Treviso-Reggina. Pinga simula in area di rigore nel tentativo di procurarsi un fallo sull’uscita del portiere reggino Pavarini, ma nel goffo intento di ingannare l’arbitro, il brasiliano scalcia, seppur inavvertitamente, il volto del portiere procurandogli la frattura del setto nasale e la rottura di un paio di denti. Il comportamento di Pinga verrà duramente giudicato ed il calciatore inizia ad avere l’impressione di non essere più benvoluto in Italia.
Questo ed una ormai latente nostalgia di casa, portano il brasiliano a tornare in patria nell’estate del 2006 ad appena 25 anni. L’avventura brasiliana sarà fortunata con la vittoria della Libertadores con la maglia dell’Internacional di Porto Alegre, poi le esperienze in Medio Oriente (Emirati Arabi e Qatar), prima del ritorno in Brasile ed il ritiro nel 2014. Una carriera costellata di prestazioni ad intermittenza e il continuo interrogativo: cosa avrebbe potuto combinare con più costanza? Impossibile dirlo, più facile ricordare quei pochi anni in Italia e quelle giocate che, in fondo, incantarono un po’ tutti.
di Marco Milan