Amarcord: Atalanta 93-94, una retrocessione altisonante

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Il calcio è bello ed appassionante anche perché si diverte a sovvertire i pronostici, a rendere tutto più complicato di quanto sembri. E così, può capitare che gli sfavoriti vincano e che le grandi attese si tramutino in sonanti flop. E’ accaduto anche all’Atalanta della stagione 1993-94, una squadra costruita per navigare a metà classifica e finita invece mestamente dietro la lavagna.

Nell’estate del 1993 a Bergamo salutano Marcello Lippi, tecnico che passa al Napoli e che nel campionato appena terminato ha condotto l’Atalanta a sfiorare la qualificazione in Coppa Uefa. In panchina arriva il giovane Francesco Guidolin che è all’esordio assoluto in serie A e che ha appena portato il Ravenna per la prima volta in serie B; assieme all’allenatore veneto sbarca in Lombardia anche il centrocampista francese Frank Sauzée, fresco campione d’Europa con l’Olympique Marsiglia, che si unisce ad un organico molto buono che ha mantenuto il forte difensore uruguaiano Paolo Montero, il bomber Maurizio Ganz, l’ala Roberto Rambaudi ed il leader del gruppo Alemao che ha portato nello spogliatoio esperienza e personalità dopo gli anni e le vittorie di Napoli. Le premesse per un’ottima stagione, insomma, ci sono tutte e nelle griglie di partenza che i giornali stilano a luglio, l’Atalanta viene indicata come una delle possibili sorprese alle spalle delle grandi del campionato.

E se il buongiorno si vede dal mattino, l’esordio dei nerazzurri nella serie A 93-94 è da stropicciarsi gli occhi: il 29 agosto 1993 sul campo neutro di Bologna, infatti, la squadra di Guidolin travolge per 5-2 il Cagliari, sciorinando un gioco spettacolare e mandando in gol Scapolo, Rambaudi, due volte Ganz ed approfittando dell’autorete del cagliaritano Villa. La sconfitta in casa del Torino alla seconda giornata passa quasi in cavalleria, immediatamente riscattata dal 2-1 inflitto alla Reggiana in cui va ancora in gol Ganz, autore di 4 reti in 3 partite. Alla quarta giornata, l’Atalanta perde 2-0 a San Siro contro il Milan, destando comunque una buona impressione, al netto della forza di un avversario che perde in media un paio di partite ogni anno. Qualcosa, però, nello spogliatoio atalantino inizia a rompersi: Guidolin è esigente, ma il gruppo non lo segue granché, ci sono tanti giovani che si ritrovano senza guide perché nel frattempo le liti interne aumentano, in più Sauzée non riesce ad inserirsi e in campo sembra vagare senza meta.

Per tre mesi, al di là del passaggio del turno in Coppa Italia contro il Cosenza che milita in serie B, l’Atalanta non vincerà nessuna gara, ottenendo 6 sconfitte e 5 pareggi in 11 giornate. Roboanti, in particolar modo, i rovesci contro Sampdoria (1-4 in casa), Napoli (4-0 al San Paolo) e, soprattutto, in casa del fanalino di coda Lecce che seppellirà i bergamaschi con un altisonante 5-1 che farà vacillare la panchina di Guidolin, esonerato subito dopo. La società opta per la soluzione interna con la promozione del tecnico della Primavera Cesare Prandelli che, però, non ha il patentino e che viene così affiancato da Andrea Valdinoci che prende ufficialmente il posto di Guidolin ma che farà sostanzialmente da spalla al giovane Prandelli. Prima di Natale, l’Atalanta esce dalla Coppa Italia per mano del Torino, ma ritrova il successo battendo il 19 dicembre per 2-1 il Genoa, reti di Ganz e del difensore Valentini. Sembra la svolta, anche perché alla ripresa del campionato, il 2 gennaio 1994, i bergamaschi giocano uno scherzetto all’Inter e al Totocalcio, sbancando San Siro grazie al gol di Magoni e al guizzo decisivo di Orlandini all’87’.

Sembra che la salvezza sia ancora raggiungibile perché due vittorie di fila, soprattutto quella di Milano, possono servire come molla psicologica per un gruppo impaurito e forse finalmente sbloccato. E’, in realtà, un fuoco di paglia, perché l’Atalanta dopo aver espugnato San Siro pareggia a Cagliari e in casa col Torino, poi perde contro Reggiana, Milan e Cremonese, sconfitte (specialmente le due negli scontri diretti) che appesantiscono una situazione di classifica già complicata e che diventa compromessa. Non sono pochi gli articoli e gli approfondimenti sul fenomeno Atalanta, una squadra che appena un anno prima era in corsa per l’Europa e che adesso, nonostante non sia stata smantellata in estate, è vicinissima alla retrocessione. Prandelli prova a salvare il salvabile, lancia in prima squadra diversi giovani, ma i risultati non arrivano, anzi, i nerazzurri perdono contro Sampdoria e Juventus, ottengono un orgoglioso ma inutile pareggio a Foggia, poi incappano in quello che diventa il capitombolo definitivo verso la serie B, ovvero la sconfitta interna per 4-3 contro il già retrocesso Lecce il 13 marzo, giorno in cui tutti a Bergamo capiscono che le speranze sono ormai naufragate tutte.

L’Atalanta si fa male con le proprie mani contro i pugliesi, va prima in vantaggio, poi si ritrova sull’1-3, riesce a pareggiare e al 90′ incassa il 3-4 che chiude virtualmente il campionato della formazione di Prandelli. Le ultime partite sono uno stillicidio per la tifoseria atalantina: lo 0-4 di Piacenza, i ko preventivabili in casa di Parma e Lazio, i pareggi casalinghi contro Udinese e Napoli, la sconfitta in casa del Genoa e l’inutile ma prestigioso successo all’ultima giornata, il 1 maggio 1994, contro l’Inter, battuta dunque sia all’andata che al ritorno. Il 2-1 inflitto agli altri nerazzurri porta la firma di Orlandini e Sgrò, ma al Comunale di Bergamo c’è ben poco da festeggiare, perché l’Atalanta retrocede con soli 21 punti (ben 10 in meno rispetto alla zona salvezza), 5 vittorie, 11 pareggi, 18 sconfitte e la seconda peggior difesa del torneo con 65 gol incassati, meglio solo del Lecce ultimo che ne becca 72. Inutili si rivelano gli 11 centri di Maurizio Ganz, uno dei pochi a salvarsi in un’annata da incubo e che aiuterà i bergamaschi all’immediato ritorno in serie A l’anno dopo, prima di accasarsi all’Inter.

Quella della stagione 93-94 resta una delle edizioni peggiori dell’Atalanta, retrocessa quasi senza combattere e mai in grado di lottare realmente per la salvezza, escluse forse le prime 3-4 giornate. Rimane tutt’oggi inspiegabile un simile andamento, soprattutto perché la rosa sembrava ben assemblata e ben costruita, nonché reduce dall’ottimo precedente campionato. Ci hanno capito poco quell’anno a Bergamo, tanto i calciatori in campo quanto i tifosi in tribuna, attoniti di fronte ad uno spettacolo triste e deludente. Il buongiorno, dunque, non sempre si vede dal mattino.

di Marco Milan

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