La maledetta leva del 1982

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di Pierfrancesco Demilito

Esistono anni in cui nascere non conviene. L’esempio classico è il 1899, i giovani nati in quell’anno furono costretti a passare dai banchi di scuola alle trincee della Prima Guerra Mondiale, non proprio un bel modo per festeggiare il compimento dei diciotto anni.

Ma nel nostro secolo esiste un altro anno in cui nascere non è stato proprio conveniente, questo dato non è ancora inserito nei libri di storia ma vedrete che ben presto ci finirà. Sto parlando del 1982, la leva eletta a cavia di ogni riforma della scuola e del lavoro e poi abbandonata a se stessa alla fine degli esperimenti di cui è stata vittima.

Intendiamoci, la loro non è stata certo una guerra di trincea, ma chi è nato nel 1982 già dalla scuola elementare, grazie ai nuovi programmi didattici del 1985, ha dovuto convivere con le novità introdotte dall’abbandono del maestro unico in favore dei “moduli” e dei team di insegnanti.

In fondo, però, all’epoca avevano solo sei anni e tra di loro quasi nessuno si è accorto di essere una piccola cavia.

Erano più grandicelli, invece, quando per primi si sono dovuti scontrare con il nuovo esame di maturità, i crediti, la terza prova e l’orale con tutte le materie. Ormai erano grandi abbastanza per ricordare per sempre gli occhi impauriti della professoressa d’italiano costretta a rispondere a domande su come si scrive un saggio breve.

E con questo svezzamento hanno potuto agevolmente combattere, per primi tra tutti i giovani italiani, con la riforma universitaria del 3+2, la laurea triennale e poi la specialistica, i crediti formativi a scelta, gli esami a scelta da selezionare tra quelli di altre facoltà, gli stage obbligatori, ma che devi trovarti tu perché l’università non riesce a garantirli per tutti gli studenti iscritti. E così, oltre a quanto già elencato, per cinque anni hanno dovuto fronteggiare  anche l’ego di alcuni docenti universitari che hanno vissuto la riforma come una diminutio, e per un corso di tre mesi (e quattro miseri crediti) hanno dovuto preparare programmi di oltre duemila pagine.

Finalmente, una volta laureati, hanno ritenuto di essere fuori dalle sperimentazioni, hanno pensato di esserne usciti vivi. Ma si sbagliavano.

Una volta pronti per entrare nel mondo del lavoro hanno trovato ad attenderli la riforma Biagi, che li ha condannati ad anni e anni di precarietà sottopagata, spesso travestita da stage formativi. “Inizi ad entrare in azienda e ti viene data un’opportunità per farti conoscere”, dicevano. L’idea in sé poteva anche sembrare vincente, quello che però non ti dicevano era che l’azienda per periodo di conoscenza, in cui  nel migliore dei casi ti avrebbe pagato solo il cosiddetto “rimborso spese”,  intendeva quattro, anche cinque anni.

Ma finalmente il fallimento di un mondo del lavoro fondato sull’instabilità è risultato evidente anche ai nostri politici, il lavoro è diventato una delle priorità del governo Letta e così, per una volta, gli ormai trentunenni nati nel 1982 hanno pensato che questa volta una riforma li avrebbe aiutati, li avrebbe avvicinati in qualche modo alla tanto sospirata stabilizzazione. Illusi. Nei provvedimenti adottati dal “Governo del fare” per favorire il lavoro giovanile vengono sì incentivati i contratti a tempo indeterminato, ma solo per gli under 30.

Coraggio leva 1982, “chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai”.

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