Noi, il Kazakistan e il dissidente
di Alessandra Vitullo
RELAZIONI PERICOLOSE – Nel 2012 l’Italia si riconferma il secondo paese europeo fornitore del Kazakistan e sesto fornitore al mondo, dopo Russia, Cina, Ucraina, Germania e Stati Uniti. Sono un centinaio le joint-ventures italo-kazake, a partire dal settore oil & gas (si pensi che i giacimenti del Kazakistan da soli valgono l’1,8% delle riserve mondiali) con importanti investimenti e attività da parte di Eni, ma anche nel settore delle industrie e della infrastrutture, con Italcementi. L’Eni è presente nel paese dal 1992 ed ultimamente è anche rientrata nel progetto di sviluppo dell’enorme giacimento offshore di Kashagan, un’area di 4600 chilometri quadrati nel nord del Mar Caspio. L’intero progetto, che occupa 19mila operai locali, è affidato al consorzio North Caspian Sea Production Sharing Agreement (NCSPSA) a cui Eni partecipa con poco meno del 20 per cento.
REGIME PETROLIFERO – Nel 2010 l’Economist Intelligence Unit, istituto che valuta tra le altre cose lo stato della democrazia in 167 paesi, ha posizionato il Kazakistan al 132esimo posto, dichiarandolo un paese autoritario. Da quando, nel 1992, è stata formalizzata indipendenza del Paese dall’Unione Sovietica, il Kazakistan ha, infatti, visto un solo presidente, Nursultan Nazarbayev, rieletto lo scorso anno, con oltre l’80% delle preferenze, con delle votazioni che secondo l’Ocse “non hanno rispettato i fondamentali principi di un’elezione democratica”. Con le ultime elezioni, per la prima volta dopo 23 anni di partito unico, agli 83 membri del partito del Presidente, Nur Otan, si sono affiancati altri 8 parlamentari del Democratic Party of Kazakhstan Ak Zhol e 7 del Communist People’s Party of Kazakhstan.
DA OLIGARCA A DISSIDENTE – Mukhtar Ablyazov, nominato nel 1998 dallo stesso Nursultan Nazarbayev ministro dell’Energia, l’industria e il commercio, nel 2001 insieme altri uomini politici e di affari forma un gruppo di opposizione, Scelta Democratica del Kazakistan e l’anno successivo viene subito condannato per abuso di potere a 6 anni di carcere; rilasciato dopo dieci mesi, alle condizioni che non si sarebbe mai più presentato in politica, nel 2003 si trasferì a Mosca e due anni dopo venne nominato presidente del Consiglio di amministrazione di BTA, una delle più importanti banche kazake. Secondo il governo kazako da questa posizione Ablyazov utilizzò milioni di dollari per sostenere gruppi di opposizione e finanziare mezzi di comunicazione indipendenti. Quando nel 2009 la BTA fu nazionalizzata, per motivi di insolvenza, Ablyazov ne perse il controllo, mentre veniva accusato di aver sottratto illegalmente alla banca circa 5 miliardi di dollari; a quel punto scattò in 170 paesi il mandato di cattura internazionale, emesso dalle autorità kazake. Per questo motivo nel 2012 Ablyazov si era trovato di fronte all’Alta Corte di Londra, che lo giudicò colpevole sia per oltraggio alla Corte, sia per avere mentito sulle sue proprietà, condannandolo a restituire 1,63 miliardi di dollari più gli interessi e a scontare 22 mesi di prigione. Dopo l’emanazione della condanna di Ablyazov si persero le tracce, fino a che la scorsa settimana il suo nome è tornato a imbarazzare stavolta la nostra politica nazionale.