Amarcord: Ezio Glerean, il fautore del calcio più offensivo d’Italia
Si sa che l’estremismo porta dei rischi. Nel calcio, poi, chi poco si uniforma ai dettami classici viene spesso etichettato come strano, come bizzarro, come vulcanico. Basti pensare a presidenti come Costantino Rozzi o Romeo Anconetani, o calciatori come Gianfranco Zigoni o Paul Gascoigne. E poi ci sono gli allenatori: Zdenek Zeman, ad esempio, da sempre il portabandiera del calcio offensivo, della difesa alta e dei gol fatti direttamente proporzionali a quelli subiti.
Ezio Glerean ha una sua storia particolare, è meno conosciuto di altri tecnici ed ha avuto anche meno possibilità di mettersi in mostra ad alti livelli, nonostante una conoscenza tattica maniacale ed un enorme amore per il calcio. Buon calciatore di serie C e B, Glerean, veneto classe 1956, si afferma come allenatore in Seconda Categoria conducendo la minuscola Marosticense a vincere due campionati consecutivi. Nella stagione 1993-94 guida il Sandonà alla vittoria della serie D portando i veneti fra i professionisti dopo quarant’anni; a sorprendere è soprattutto il gioco di Glerean, improntato sull’offensività, con gli attaccanti che devono essere rigorosamente quattro e devono aiutare anche in fase di non possesso palla e di difesa, come l’Ajax, formazione da cui il tecnico veneto ha preso ispirazione grazie anche alla moglie, originaria di Amsterdam. Al primo anno di C2 il Sandonà di Glerean vola e chiude il campionato al secondo posto, perdendo il primo (e quindi la promozione) alla penultima giornata con la sconfitta per 4-2 a Montevarchi dopo essere stato in vantaggio per 2-0; ai playoff il Sandonà viene eliminato in semifinale dal Fano, scottato ancora dall’incredibile beffa della regular season, una delusione che si ripercuote anche l’anno successivo quando i veneti non vanno oltre il decimo posto in classifica. Ma è a Cittadella, dove approda nell’estate del 1996, che Glerean trova la sua consacrazione: la squadra del paese padovano, infatti, è sempre stata una formazione di basso profilo, relegata nei dilettanti e mai in grado di lottare per la promozione in serie C; con l’avvento di Glerean, però, il Cittadella acquista organizzazione e coraggio, sale in C2 e al primo anno fra i professionisti raggiunge clamorosamente i playoff dove è eliminato in semifinale dal più esperto Lecco. Ma i granata sono una formazione matura, organizzata, guidata con sapienza da un tecnico che continua a ripetere che per vincere si deve attaccare; il Cittadella torna ai playoff nella stagione seguente, il 1997-98, e stavolta vince la finale contro la Triestina portando i veneti in C1 fra l’incredulità di un paese che mai si era ritrovato così in alto nella sua storia. Di Glerean iniziano ad interessarsi i giornali, il Cittadella in C1 assieme a squadre che hanno giocato anni in serie A come Como e Cremonese fa scalpore, così come l’atteggiamento offensivo della sua compagine, improntata su un 3-3-4 mai visto prima in Italia. Il campionato 1998-99 è interlocutorio, il Cittadella manca i plyaoff per un soffio, ma l’anno successivo li centra e, nonostante nessuno dia nemmeno un credito ai ragazzi in maglia granata, vince la semifinale col Varese e approda alla finale di Verona contro il Brescello. E’ una sfida fra piccoli, lo stadio Bentegodi può ospitare 40 mila spettatori, i tifosi di Cittadella e Brescello sono meno della metà, eppure stanno per coronare un sogno, una promozione in serie B che ha dello stupefacente, chiunque sarà a conquistarla. Il Brescello segna l’1-0, ma a tempo scaduto il Cittadella batte un calcio d’angolo e nella mischia che ne sussegue l’attaccante Mazzoleni riesce a spingere la palla in rete: è l’1-1 finale che, grazie al miglior piazzamento in campionato, spedisce i veneti in serie B e regala ad un piccolo paese una gioia immensa.
All’inizio della serie B 2000-2001 il Cittadella è dato come spacciato: senza esperienza, con una campagna acquisti che ha puntato a mantenere l’organico che fortunosamente ha acciuffato la promozione e con un tecnico che non ha esperienza e che butta scriteriatamente la squadra all’attacco, le speranze di salvezza sembrano poche. Il piccolo stadio Tombolato, poi, non è omologato per la serie B e la squadra è costretta ad emigrare a Padova coi tifosi sperduti nel capiente Euganeo. L’annata è speciale per il Cittadella e per Glerean che non snatura il suo gioco ed i risultati gli danno ragione: ad inizio campionato si gioca Cittadella-Salernitana, la sfida fra Glerean e Zeman, i tecnici più offensivi d’Italia; manco a dirlo, la gara finisce 4-4 e nel dopo partita sono complimenti reciproci, anzi, Zeman arriva ad affermare con convinzione: “Questo Glerean attacca più di me”. Un’investitura incredibile per l’allenatore veneto che dimostra di farsi valere anche in serie B e col Cittadella ottiene la salvezza al primo anno fra i cadetti e senza soffrire mai nell’arco dell’intero torneo, alla faccia di chi dava i granata già per retrocessi. E’ quello, però, l’ultimo acuto di Glerean, perché l’anno successivo il Cittadella non si ripete, va subito in difficoltà e non riesce a liberarsi dalle sue paure, cadendo in C1 al termine di un campionato anonimo e deludente, copia sbiadita della bella squadra ammirata dodici mesi prima. Ezio Glerean capisce che a Cittadella ha dato tutto e lascia la squadra, chiamato da Zamparini per allenare il Venezia, appena retrocesso dalla serie A in serie B; ma nell’estate del 2002 il presidente veneziano vende la società lagunare, acquista il Palermo e si porta dietro mezza squadra, allenatore compreso. Glerean si ritrova così allenatore del Palermo e con un presidente che dice a chiare lettere di voler portare subito i rosanero in serie A nonostante l’organico non sia esattamente da promozione immediata. C’è fermento in città, il pubblico aspetta la massima serie da trent’anni, Zamparini è ambizioso e con poca pazienza, pressa Glerean per tutto il ritiro: “Voglio vedere il Palermo attaccare, entusiasmare e vincere”, dice il presidente all’allenatore.
Ma Palermo non è Cittadella, l’ambiente non è ovattato, i tifosi sono calorosi ma anche esigenti e se Zamparini ha promesso la serie A, ebbene, quella vogliono. Il campionato inizia e il Palermo è di scena ad Ancona, in casa di un’altra formazione che ambisce al salto di categoria; la gara nelle Marche è una mattanza per i palermitani che perdono 5-2 senza riuscire a frenare le avanzate dei biancorossi che li prendono letteralmente a pallonate. Zamparini, in una delle sue tante reazioni frettolose, si fa dominare dalla rabbia e senza tanti complimenti esonera l’allenatore dandogli del folle e dello spregiudicato, inadatto ad una piazza come Palermo. Glerean si ritrova così a casa e il Palermo, nonostante altri cambiamenti in panchina, arriverà quinto fallendo la promozione. Dopo quell’esperienza, Glerean perde entusiasmo e non riesce più ad imporre il suo gioco frizzante ed offensivo, nessuna squadra riesce a seguire i suoi dettami: prima il Padova in serie C, poi il Venezia in B, quindi il Bassano in C2, tutte avventure chiuse con esoneri dopo prove non esaltanti, ad eccezione del penultimo anno a Bassano del Grappa col secondo posto finale e l’eliminazione agli spareggi promozione. L’ultimo incarico di Glerean è nel 2010 a Cosenza, formazione di serie C presa ad aprile dopo l’esonero di Toscano, e lasciata a fine stagione col decimo posto in classifica.
Dopo Cosenza, Glerean ha atteso invano una nuova occasione in panchina, ma nessuno si è ricordato di lui e del suo calcio. Nel 2014 ha scritto un libro, “Il Calcio e l’isola che non c’è”, nel quale descrive la sua idea di calcio. Recentemente ha affermato che il calcio libero non esiste più perché, a suo dire, la figura dell’allenatore è stata delegittimata e nessun tecnico sa insegnare più alcuni fondamentali a partire dalle scuole calcio; per Zeman anche l’ultima frase: “E’ un delitto che non alleni in serie A – ha detto Glerean con rammarico – è grazie a lui se Immobile, Insigne e Verratti sono usciti dall’anonimato e si sono affermati”. Peccato che nessuno abbia ancora aiutato Glerean a ritrovare una panchina e far rivedere all’Italia uno dei moduli più offensivi e divertenti della storia del pallone”.
(di Marco Milan)
lo stimo incondizionatamente, ho un anno meno di lui e forse lo ho affrontato da calciatore, nel 74-75 ma non ne sono certo, ho seguito da sempre la serie D veneta e quel San Donà è stato una meteora, per non parlare di quel Cittadella…lo ho ascoltato con grande interesse a Verona e la conferma che lui fosse un tranquillo rivoluzionario è venuta dopo 10 min di concetti, ricordo con vivo interesse la sua disposizione sui calci d’angolo in fase difensiva, io che ho giocato anche da Libero ne fui allora catturato…per non parlare delle 4 punte e delle sue collegate convinzioni sulle transizioni…ma la cosa che più mi ha favorevolmente colpito era lo stile, la serata organizzata da Gigi Fresco è stata memorabile e per me rigenerante.
Mia mamma è di Romano d’Ezzelino e credo che lui sia di quelle parti, trovavo naturale e mi spiegavo anche per questa ragione geografica la genuinità del suo pensiero calcistico. Manca da troppo a questo calcio e si vede.