Addio a Cesare Maldini, campione e uomo d’altri tempi
Domenica mattina, dopo la scomparsa di Johan Cruyff, un altro grande del calcio mondiale ci ha abbandonati: Cesare Maldini. Prima di tutto è bene segnalare come è stato bello ed emozionante vedere come quest’uomo, dal carattere schivo come i Friulani sanno essere, sia stato omaggiato in tutti gli stadi della Serie A. Nulla di scontato per un uomo che ha legato indissolubilmente la sua carriera soprattutto ad una squadra, il Milan.
Per chi è nato negli anni ottanta Cesare Maldini è stato sopratutto l’allenatore della nazionale, erano i tempi in cui i Ct erano persone della Federazione. Maldini, dopo essere entrato nello staff di Bearzot nell’80, ebbe la sua prima grande occasione nel 1986, quando gli fu affidata la guida dell’under 21. Rimase alla guida degli azzurrini per 8 anni: 8 meravigliosi anni in cui ha portato per 3 volte consecutive la nazionale italiana sul tetto d’Europa. La prima nel 1992 battendo in finale la Svezia grazie alle reti di Buso e Sordo. Poi nel 1994 contro il Portogallo nella prima finale in gara unica della storia del torneo, grazie al golden goal di Orlandini ed infine nel 1996, quando l’Italia era un dream tema e in finale sconfisse a Barcellona i padroni di casa della Spagna ai calci di rigore, prendendosi la rivincita contro quella squadra che quattro anni prima aveva fermato la rincorsa alla medaglia d’oro degli azzurrini nelle Olimpiadi svolte proprio a Barcellona. Quella rimane forse la nazionale italiana con più talento di sempre c’erano: Buffon (riserva di Pagotto), Cannavaro, Totti, Nesta, Panucci, Tacchinardi, Morfeo, Galante, Del Vecchio, Tommasi. Ma se l’U21 è un esempio da seguire l’Italia di Sacchi nel 1996 tocca il suo punto più basso e dopo l’eliminazione agli Europei inglesi la FIGC chiama proprio Cesare Maldini a gestire il biennio che porterà a Francia ’98: il primo campionato mondiale della storia con 32 squadre partecipanti. Già alle qualificazioni si capisce che Maldini punterà su molti di quei giovani che avevano fatto la fortuna dell’U21, così nonostante la vittoria per 1-0 a Londra con goal di Zola, lo 0-0 del match di ritorno a Roma ci obbliga ai playoffs tra le migliori seconde dei gironi per la qualificazione, gli azzurri, con un esordiente Buffon tra i pali, sotto una tormenta di neve, strappano un 1-1 a Mosca e sanciscono la qualificazione vincendo a Napoli 1-0. In Francia poi nonostante lo scetticismo generale, l’Italia è gran protagonista, trascinata dalle reti di Vieri e dalla genialità di Baggio. Unica pecca di Maldini è quella di preferire nella staffetta tra Baggio e Del Piero lo juventino non del tutto recuperato dopo il primo grave infortunio in carriera. Una traversa colpita ai rigori ci fa terminare ai quarti di finale un campionato del mondo in cui l’Italia oltre a molto cinismo fece vedere del bel gioco.
Di fatto qui termina la carriera da allenatore di Maldini che disputerà un altro mondiale da CT del Paraguay (quello nippo coreano), senza far brillare troppo la squadra sud americana. Ma questa seconda parte della sua carriera non descrive a pieno la storia di questo ragazzo che iniziò a giocare a pallone nella Triestina del maestro Nereo Rocco nel ruolo di difensore di fascia, poi 12 anni con la maglia rosso nera, una vita calcistica, diventa una bandiera e con la squadra meneghina vince quattro scudetti ed una coppa campioni: la prima per un club italiano e lui è il primo italiano ad alzarla al cielo. Dopo anni di sgroppate sulla fascia diventa un elegante libero, nel 1966 il Milan decide di non rinnovargli il contratto, ma Maldini vuole giocare ancora una stagione e così per un anno si accasa a Torino, sponda granata. La sua storia con il Milan non è però finita, tornerà nel 1971, prima come vice allenatore e poi come allenatore, ma non solo questo rende indissolubile il suo rapporto con il Milan: alla fine degli anni ’70 il figlio Paolo entra nelle giovanili del club e come il padre diventerà bandiera, capitano ed idolo per i tifosi milanisti, se contare che anche il nipote sembra stia seguendo le orme di papà e nonno.
Ma la grandezza di Maldini non sta in quanto di favoloso fatto in campo, ma nella semplicità con cui si è sempre mostrato, portatore di valori di altri tempi, ormai romantici e proprio per questo il tributo dopo la sua morte non può che essere il più genuino per una persona amata da tutti compagni ed avversari e che a suo modo rappresenta ciò che noi romantici vorremmo rivedere sul terreno di gioco, ma che per via di altri fattori esogeni allo sport, sarà sempre più difficile vedere ed allora in questi casi non resta che dire una parola nei suoi confronti.
Di Flavio Sarrocco