Amarcord: il leggendario rifiuto dell’India ai mondiali del 1950
Molti brasiliani sostengono che giocare a calcio con le scarpe limiti il talento di tanti ragazzini carioca che, abituati a dribbling e giocate a piedi nudi sulla spiaggia, una volta indossati gli scarpini coi tacchetti, sentano i piedi pesanti e intrappolati da quella barchetta di cuoio. Curiosità, miti, luoghi comuni, forse scuse per non ammettere che alcuni ragazzi hanno talento per strada ma poca stoffa per fare i professionisti. Sarà un caso, o forse no, ma proprio in Brasile nel 1950 la diatriba piedi nudi-scarpini sconvolse i mondiali che culminarono poi con la clamorosa sconfitta dei padroni di casa contro l’Uruguay. Protagonista la nazionale indiana, al primo ed ultimo acuto all’ombra della Coppa Rimet.
In India il calcio è tutto fuorchè lo sport nazionale, anzi, fra Bombay e Nuova Dehli di palloni se ne vedono ben pochi, ci si adopera invece per il Cricket e per il Polo, discipline in cui la patria di Gandhi ha molto da dire. Alla vigilia dei mondiali di calcio del 1950, però, lo sport è ancora grezzo, artigianale, le qualificazioni alla coppa del mondo sono quasi esclusivamente ad invito, non ci sono criteri ferrei come successivamente accadrà, del resto le partecipanti alla fase finale sono 16 e molte nazionali non sono neanche affiliate alla FIFA, mentre altre non dispongono dei requisiti adatti per giocare la più importante competizione internazionale esistente, altre ancora devono riorganizzarsi dopo la guerra e le carestie, e non hanno tempo di pensare ai mondiali di calcio, perchè la Coppa Rimet torna dopo 12 anni di assenza e la Seconda Guerra Mondiale di mezzo: le ultime due edizioni le ha vinte l’Italia nel 1934 e nel 1938, e la nazionale azzurra viene ammessa di diritto a Brasile 1950 come detentrice del trofeo e come premio per aver custodito la coppa negli uffici della federazione nonostante i problemi legati al conflitto mondiale. Proprio a causa della guerra e delle enormi responsabilità militari fra il 1939 e il 1945, vengono chiuse le porte a Germania e Giappone, mentre la Scozia si ritira nonostante la qualificazione in quanto offesa per non esser stata inserita fra le teste di serie del torneo e capitata nel girone con il fortissimo Uruguay, futuro campione del mondo. Dà forfait anche la Turchia, impossibilitata ad affrontare una trasferta lunghissima come quella in Brasile, idem per le nazionali di Filippine, Indonesia e Birmania, invitate dalla FIFA ma restie a partecipare perchè poco organizzate a livello logistico e probabilmente anche tecnico.
L’invito viene così esteso anche alla nazionale dell’India, una scelta non casuale da parte degli organizzatori del torneo mondiale, perchè gli indiani due anni prima alle Olimpiadi di Londra avevano mostrato un gioco spettacolare e divertente, venendo battuti solo dalla forte Francia e per di più di misura (2-1). L’India accetta, ma pone una condizione che diventerà poi il pomo della discordia e porterà la vicenda ad entrare nella storia e nel mito: i calciatori del paese asiatico parteciperanno ai mondiali ma dovranno essere autorizzati a scendere in campo scalzi perchè loro con gli scarpini ai piedi non sanno giocare. I vertici dello sport mondiale sono sbigottiti: “Scalzi?”, rispondono accigliati. “Si, scalzi, altrimenti in Brasile non veniamo”, rispondono i capoccia del calcio d’India. Balaidas Chatterjee è l’allenatore della selezione indiana ed è fermamente convinto che i suoi calciatori possano dar del filo da torcere alle squadre europee e sudamericane, di certo più organizzate e più esperte (del resto l’India è indipendente da soli tre anni dopo la liberazione dalla colonizzazione britannica del luglio 1947), ma indossando le scarpe non riuscirebbero neanche a correre: i giocatori indiani sono abituati così, a sgambettare scalzi per le strade delle città, dribblando e scattando senza i piedi trincerati e attufati in scomodi attrezzi con i tacchetti sulla suola. La nazionale indiana è capitanata dal ruvido difensore centrale Sailen Manna, unico esemplare senza baffi delle tigri del Bengala, mentre in attacco c’è il bravissimo Raman che ai Giochi Olimpici del ’48 ha fatto gol ai francesi. Insomma, l’India è pronta ad esordire ai mondiali ma vuole giocare senza scarpe, a piedi nudi, volontà confermata anche dallo staff tecnico e dai calciatori. La FIFA è però irremovibile, anzi, proprio nel 1950 ha ratificato un regolamento sottoscrivendo una serie di punti che le federazioni devono seguire scrupolosamente e, ironia della sorte, uno di questi punti è l’obbligo della divisa in ordine ed identica per tutti i partecipanti, compresi calzettoni e scarpette idonee. Il braccio di ferro fra FIFA ed AIFF (la Federazione Calcistica Indiana) è aspro e va avanti per qualche giorno senza che nessuna delle due parti receda dai suoi passi; alla fine non la spunta nessuno, o forse la spuntano entrambi: l’India dà l’ultimatum agli organizzatori che restano inflessibili nel loro “o venite con le scarpe o state a casa”, così l’AIFF resta a casa per davvero e ritira ufficialmente e con tanto di comunicato agli atti, la nazionale dalla Coppa Rimet del 1950.
Sono passati oltre sessant’anni dal ritiro più strambo che una manifestazione sportiva abbia mai subìto, il mito ha tramandato la storia degli scarpini ricamandoci probabilmente molto, anche approfittando del tempo che lentamente è trascorso impedendo a testimoni oculari e protagonisti dell’epoca di confermare o smentire l’accaduto. La leggenda narra che la nazionale dell’India, possibile sorpresa dei mondiali del 1950, si sia rifiutata di scendere in campo perchè voleva giocare senza scarpe, qualcun altro sostiene invece che il governo indiano prima avesse stanziato parecchi soldi per la spedizione calcistica in Brasile e poi li abbia ritirati su consiglio di qualche genio che sosteneva come la coppa del mondo di calcio fosse un appuntamento sportivo poco rilevante. Altri ancora dicono che l’India, una volta appreso che nel girone avrebbe trovato i campioni del mondo dell’Italia, avrebbe rinunciato per timore di una figuraccia che ne avrebbe compromesso l’immagine sportiva. La verità, probabilmente, non si saprà mai e forse ha poca importanza, perchè le leggende sono belle anche con un velo di mistero ed oggi, a fronte di una nazionale indiana mai più qualificata per i mondiali e considerata una delle federazioni più deboli del pianeta, è intrigante pensare e sognare che nel mondiale che vide il dramma sportivo del Brasile sconfitto in casa al Maracanà dal roccioso Uruguay, a dare il colpo di grazia ai brasiliani sarebbe potuta essere proprio l’India, la neonata nazione indipendente così promettente con la palla fra i piedi, ma rigorosamente senza le scarpe.
di Marco Milan